Il ponte dell’informazione con Francesco Costa del Post

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Francesco Costa interpretato da Chiara Bosna
Francesco Costa interpretato da Chiara Bosna

Il vicedirettore del Post, Francesco Costa, intervistato dai cronisti del Bullone, suggerisce di non affogare nel mare delle news e di informarsi su giornali e siti che ogni giorno producono storie attendibili, controllabili con spirito positivo, senza lasciarsi andare al catastrofismo.

di Giulia Porrino

L’informazione di qualitĂ  è – e sarĂ  – la risposta alla crisi dell’informazione. Non ha dubbi il trentaseienne Francesco Costa, dal 2016 vicedirettore de Il Post, autore e ideatore della newsletter e del podcast Da Costa a Costa e Morning. Siciliano di nascita, ma trapiantato a Milano – «non senza esitazione degli amici romani», scherza – ogni mattina legge, seleziona e racconta agli ascoltatori, in circa venti minuti, le notizie del giorno.

Vicedirettore, quale ponte deve esserci tra il giornalismo e i lettori?

«Informare e informarsi in modo sano è possibile, considerando che, come esseri umani e persone che fanno parte di una societĂ  sempre piĂ¹ complessa, non abbiamo alternative, non possiamo scegliere di essere non informati. Anche se ci rifiutiamo di leggere il giornale o guardare il telegiornale, le informazioni raggiungono noi: basta aprire il telefono per guardare le foto degli amici in vacanza e che piaccia o meno, si ricevono notizie, si leggono commenti dei seguaci su qualcosa che è successo e le informazioni raggiungono noi. Il ponte tra l’informazione e il lettore deve esistere e bisogna fare in modo che questo legame ci porti ad avere una relazione sana con quello che ci circonda e con il modo in cui cerchiamo di capire cosa accade intorno a noi».

Questo legame riguarda entrambe le parti?

«Sì, riguarda chi per professione informa, perchĂ© ha il compito di trovare le notizie, trovarne un senso e divulgarle alle persone; ma riguarda anche chi le riceve, considerando che il confine tra chi legge le notizie e chi le pubblica, ormai è sempre piĂ¹ labile. Internet, che è l’acqua in cui nuotiamo, è pieno di contenuti prodotti dalle persone, che siano post, video, pensieri, questa è informazione. Ăˆ necessaria una presa di coscienza come individui che, sia che siamo giornalisti o giornaliste o persone che fanno altri mestieri, siamo tutti parte dell’ecosistema dell’informazione e quindi non possiamo pensare di fare un passo indietro».

fonte foto: https://www.lumsanews.it
fonte foto: https://www.lumsanews.it

Alla nascita de Il Post vi siete definiti «per metà aggregatore, per metà editore di blog», questa volontà è ancora parte della vostra anima lavorativa?

«In un certo senso sì, questa definizione era quella tu dai a te stesso quando sei appena nato, e che poi abbiamo molto superato perchĂ© siamo diventati un’altra cosa. Era anche generata dal fatto che eravamo pochi, in cinque giornalisti, quindi non potevamo fare un giornale. CiĂ² che potevamo fare di piĂ¹ e meglio, era selezionare e aggregare le notizie piĂ¹ interessanti prodotte da altri, che trovavamo in giro. In quella definizione perĂ², vi è l’idea che oggi un giornale non puĂ² pensare che le persone si informino leggendo soltanto quel prodotto e quindi una delle funzioni dei giornalisti deve essere aiutare le persone a fare ordine, a orientarsi in un ecosistema che comprende un miliardo di voci e un enorme rumore di fondo, segnalando magari che c’è una cosa molto interessante uscita su un altro giornale e che invece un’altra cosa uscita su un’altra testata è falsa, e quindi non bisogna fidarsi. Insomma, quel tipo di lavoro di mediazione, che se vogliamo usare un termine un po’ piĂ¹ pop, è il lavoro del dj: noi quando abbiamo iniziato non producevamo musica ma prendevamo le canzoni degli altri, quelle che ci piacevano di piĂ¹, e le mescolavamo in modo che secondo noi aveva un senso. Adesso siamo piĂ¹ grandi e cerchiamo di fare delle canzoni anche noi, di riprodurre del giornalismo originale. Sono passati ormai piĂ¹ di dieci anni dall’inizio, perĂ² sono convinto che le redazioni dei giornali non vivono dentro a dei compartimenti stagni, ma fanno parte di un unico ecosistema e quindi devono guardare quello che fanno gli altri e muoversi anche sulla base di cosa stanno facendo le altre persone attorno».

A un lettore come consiglia di muoversi all’interno di questo mare d’informazione?

«Secondo me sono due le cose che dovrebbero fare le persone: la prima, è un’assunzione di responsabilitĂ ; informarsi è un’attivitĂ  che va fatta con intenzione, se pensi che informarti sia alla fermata del tram e in quei dieci minuti che apri Facebook e vedi le foto degli amici, un meme, un pezzo del Corriere e poi un’altra cosa, ti arrivano anche tre o quattro notizie, perĂ² quello non è informarsi. Ăˆ necessario un investimento di tempo, non per forza un’ora al giorno, puĂ² essere anche un quarto d’ora, perĂ² devi decidere che questa cosa la vuoi fare, un po’ come andare in palestra. L’altra cosa importante è preoccuparsi della qualitĂ  dell’informazione che ricevi, io faccio sempre l’esempio, perchĂ© per me ha funzionato, di paragonare la nostra dieta alimentare alla nostra dieta mediatica, a me piacerebbe mangiare patatine fritte dalla mattina alla sera, è il mio cibo preferito e mangerei soltanto quelle, ma so che non è sano e il mio corpo a un certo punto mi dirĂ  di smetterla. CiĂ² richiede impegno, la dieta non è sempre la stessa, cambia nel corso del tempo, cambia per le mie esigenze, i miei desideri, come cambio io e quindi muta in continuazione, perĂ² me ne preoccupo e purtroppo, o per fortuna, quest’anno soprattutto ci siamo accorti di quanto non possiamo informarci in modo casuale e quindi dobbiamo cercare di metterci un po’ di testa. Ognuno è libero di comporre la propria dieta mediatica come vuole, non posso dirti io cosa devi leggere, perĂ² l’importante è che sia una scelta e non sia frutto del caso».

Per il panorama giornalistico italiano sei molto giovane e giĂ  vicedirettore, come sei arrivato a questo punto della tua carriera?

«Una serie di coincidenze strane. Sicuramente sono stato molto fortunato. Nella vita, da quando ero bambino, volevo fare il giornalista e quindi ho davvero realizzato un sogno. Nella mia famiglia e tra i miei amici nessuno faceva il giornalista, non conoscevo una sola persona in questo settore. A scuola scrivevo per il giornalino della scuola e avevo un blog che ottenne un microscopico seguito quando andavo all’universitĂ , perĂ² tramite il blog entrai in contatto con Luca Sofri, che ne aveva uno suo, all’epoca molto seguito. Cominciai a lavorare a Roma, dove facevo il moderatore dei commenti di un sito, e stando dentro alla redazione iniziai a capire come funzionava il mondo giornalistico e ad imparare. Quando Luca Sofri decise di avviare Il Post, mi chiese se avessi voglia di provare a fare questa cosa e di entrare nella prima redazione. Era totalmente un salto nel buio, era un giornale che nasceva da zero e poteva tranquillamente durare sei mesi. All’epoca vivevo a Roma e non avevo un lavoro fisso, facevo tre mesi da una parte, quattro dall’altra».

Una questione di coraggio e voglia di cambiare.

«Mi sono buttato e ho provato, mi trasferii a Milano, e ora sono ancora qua dopo undici anni. Tutta la mia carriera l’ho fatta in sostanza ne Il Post, quindi ho osato e sono stato molto fortunato a far parte di un giornale che, grazie a tutte le persone che ci lavoravano, ha trovato una collocazione, un pubblico e una stabilitĂ  economica, cosa che in questo momento storico non è facile».

Vicedirettore, quando una direttrice donna in Italia?

«Il problema è che secoli e secoli di sistematico squilibrio di opportunitĂ  e di libertĂ  nella scelta della propria professione e istruzione, ha comportato squilibri anche nella distribuzione delle risorse economiche e questo fenomeno non è cominciato ieri, probabilmente è cominciato tremila anni fa e adesso è una cosa che fa parte della storia degli esseri umani. Io credo che al di lĂ  delle leggi che ci possono aiutare, sicuramente le giovani generazioni oggi sono meglio e straordinariamente piĂ¹ sensibili a questi argomenti, credo e spero che giĂ  nel giro di dieci o vent’anni anni vedremo dei grossi cambiamenti».

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