I ragazzi del Bullone hanno chiamato in causa il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, che è anche professore di Economia all’Università di Ferrara e titolare della cattedra Unesco Educazione, Crescita ed Eguaglianza.
di Alice Nebbia
I ragazzi del Bullone hanno chiamato in causa il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, che è anche professore di Economia all’Università di Ferrara e titolare della cattedra Unesco Educazione, Crescita ed Eguaglianza.
Ministro Bianchi, la scuola produce ancora diseguaglianze?
«Purtroppo sì. Tra Nord e Sud il divario è sempre più evidente: i Neet, cioè i giovani che non lavorano e non sono inseriti in un sistema scolastico o formativo, nel Mezzogiorno hanno un’incidenza doppia rispetto al Nord. Il Covid ha esasperato le fragilità del sistema in una scuola dove storicamente si evidenziavano le differenze sociali e si consolidavano le diseguaglianze fra classi».
La scuola al nord e al sud
In che modo si potranno arginare tali situazioni?
«Con il rilancio del diritto allo studio, che oggi significa permettere a ogni allievo non solo di disporre degli ausili necessari, ma anche delle condizioni per poter utilizzare tutti gli strumenti tecnologici utili all’apprendimento, evitando che si crei uno spartiacque tra chi ha questi strumenti e chi non li ha».

Lei ha già un piano?
«Nell’epoca dei Big Data bisogna evitare che nascano di nuovo i dualismi fra garantiti e abbandonati, fra esclusi e inclusi. Per questo serviranno più creatività, più lavoro di squadra, più capacità di astrazione e di sperimentazione. E se necessario, si potrebbe anche aumentare di un anno l’obbligo scolastico, da 16 a 17 anni, riducendo il ciclo secondario da cinque a quattro anni».
Come tornare a valorizzare il ruolo dei docenti?
«Mettendo l’educazione e la scuola al centro del nostro sviluppo».
La scuola di qualità
Nel volume Il Danno Scolastico (P. Mastrocola, L. Ricolfi), si denuncia come una scuola facile e di bassa qualità, allarghi il solco fra ceti alti e bassi. Cosa vuol dire scuola di qualità?
«Penso che una scuola di qualità debba far crescere capacità critiche e visioni del mondo oltre il presente, creare contenuti e didattiche adeguate alla complessità che stiamo affrontando, e trovare il modo di insegnare ai giovani come ricomporre diritti e solidarietà. L’educazione alla solidarietà deve essere l’asse portante della scuola». Che a suo giudizio va del tutto riorganizzata… «Non è tutto sgarrupato come a volte si vuol far credere. C’è molto di buono nella nostra scuola, ma bisogna uscire dallo schema novecentesco basato su programmi, orari e discipline che vengono da ordinanze e disposizioni centrali. In questa fase è emerso il bisogno di nuove competenze, nuove abilità, nuove capacità critiche per comprendere i processi di riorganizzazione dell’economia e della società».

Il PNRR ha stanziato una somma ingente di denaro per un bene così importante e fondamentale quale è la scuola: come verrà investita?
«La spesa per l’educazione è il motore per la spinta alla crescita e per questo noi cercheremo di contrastare la povertà educativa, varando un grade piano nazionale contro la dispersione scolastica, rilanciando la formazione e l’istruzione professionale, valorizzando le competenze. Pensiamo anche di lanciare un progetto di alfabetizzazione digitale da estendere a tutta la popolazione. Serviranno patti educativi, maggiore autonomia delle scuole e coinvolgimento dei territori».
Professor Bianchi, spesso l’abbiamo sentita parlare della sua idea di «scuola affettuosa»; è possibile creare un «imparare d’affetti», rivolto soprattutto agli studenti più fragili?
«Nei giorni del terremoto in Emilia la scuola è stato il primo segno di ripartenza. È lì che batte il cuore di una comunità – ho detto a insegnanti, genitori e studenti – ed è lì che si coltivano sviluppo, solidarietà e democrazia. Le differenze sono un valore, un serbatoio di umanità. Lo dico da economista: la ricchezza di una nazione è nelle diversità, non nelle materie prime. La fragilità è un grande insegnamento, imparare dagli affetti è una lezione di vita».