Il futuro è dei farmaci a bersaglio molecolare contro i tumori

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Roberto Cairoli interpretato da Chiara Bosna
Roberto Cairoli interpretato da Chiara Bosna

Il presente che verrà è rappresentato dai farmaci a bersaglio molecolare per la cura di alcuni tumori, come in questo caso le leucemie. Ci spiega tutto il dottor Roberto Cairoli, primario di ematologia all’ospedale Niguarda di Milano.

di Edoardo Hensemberger

Ogni tanto, per far star meglio un malato non servono grandi cose, grandi tecnologie o grandi studi, bastano un po’ di attenzione e di interesse; offrire un supporto psicologico o la possibilità di parlare facilmente con i propri medici.
Che poi, diciamocelo, non è vero che bastano, perché senza la ricerca, i nuovi farmaci e le nuove tecnologie non si guarisce, ma troppo spesso tutto ciò che non riguarda la medicina pura viene dimenticato.
Abbiamo incontrato il dottor Cairoliprimario di ematologia– nel suo ospedale, il Niguarda, e ci siamo fatti raccontare come l’ospedale e la sua Fondazione portino avanti un dialogo con un unico fine: far star bene il paziente sotto tutti i punti di vista e quando possibile, guarirlo.

Malattie del sangue, ce ne sono molte, quali sono e come si trasmettono?

«Le malattie del sangue si dividono tra quelle benigne e quelle maligne. Quelle maligne rientrano nell’oncoematologia, e le più famose sono le malattie del midollo osseo, come le leucemie. Quelle benigne invece, comprendono le piastrinopenie, le anemie, il disturbo della coagulazione; benigne significa che non sono oncologiche e dunque non hanno le caratteristiche del tumore. La prima regola in medicina è avere dei buoni genitori. Come per tante altre patologie, anche quelle del sangue possono essere genetiche; generalmente vengono evidenziate in età giovanile e trattate dalla pediatria. Per tutte le altre invece, la genetica c’entra solo in parte, così come l’ambiente in cui si cresce e lo stile di vita, proprio come nel caso delle malattie oncologiche, la comparsa di una malattia ematica ancora non è chiara, la familiarità è importante ma non determinante».

Il futuro contro le leucemie

Come va la ricerca nel campo dell’ematologia?

«La nostra neoplasia è facile da studiare e abbiamo sempre a disposizione il materiale patologico che ci serve, per trovare una leucemia non sono necessarie procedure complesse, come una biopsia, basta un semplice esame del sangue, motivo per cui i progressi della ricerca clinica e di base, negli ultimi anni sono stati clamorosi. Negli anni abbiamo visto che il vero problema è quello che sta scritto nel DNA; il DNA delle cellule cancerose porta un’informazione diversa rispetto a quello delle cellule normali, la difficoltà sta nel trovare le differenze e una volta individuate, è molto più semplice focalizzarsi solo su quelle. Quando hai capito qual è la sequenza differente, puoi risalire alla proteina, al suo funzionamento e al prodotto a valle dell’errore. Se segmenti tutto il meccanismo, poi puoi metterci le mani per provare a risolvere il problema. La Leucemia Mieloide Cronica è il primo esempio di come la biologia molecolare abbia guarito una malattia che fino a 15 anni fa si trapiantava e basta, oggi un paziente con questa leucemia è suscettibile di una cura a base di pastiglie che non comportano nessun effetto collaterale, e danno delle remissioni di malattia talmente profonde, che possono portare all’interruzione temporanea della cura. Un’altra leucemia molto nota per la sua aggressività, era la leucemia fulminante e si sono trovati almeno due composti NON CHEMIOTERAPICI che presentano delle curve di sopravvivenza e di guarigione di poco inferiori al 100%».

Come si rende più semplice la vita dei pazienti? So che lei è a capo di una fondazione, Fondazione Malattie del Sangue onlus, che punta proprio a questo.

«Partiamo sottolineando che il Niguarda è un ottimo ospedale pubblico, con una bella struttura in un contesto di grandissima specialità, e quindi il grosso è fatto. Servono però, a supporto, tanti microprogetti, di cui la sanità pubblica fa molta fatica ad occuparsi, che rendano migliore la vita del paziente. Per colmare questo “vuoto” abbiamo attivato, tra le altre cose, un servizio di supporto psicologico nei confronti del paziente, ma anche dei suoi familiari e soprattutto dei suoi figli, oltre che un centralino con cui è possibile comunicare con l’ospedale con semplicità, cosa che altrimenti sarebbe impossibile. Per quel che riguarda la ricerca, invece, abbiamo il nostro laboratorio finanziato completamente dalla Fondazione con dei ricercatori fantastici che lavorano giorno e notte; tra questi abbiamo anche assunto la figura dell’ingegnere bio informatico, fondamentale nell’analisi e nella selezione dei dati».

Roberto Cairoli interpretato da Chiara Bosna
Roberto Cairoli Direttore della Struttura Complessa Ematologia dell’Ospedale di Niguarda, Milano. Delegato Regionale della Societ  Italiana di Ematologia (SIE) e Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Malattie del Sangue (FMS). (Illustrazione a cura di Chiara Bosna)

I farmaci a bersaglio molecolare

La Fondazione Malattie del Sangue opera solo all’interno della divisione di ematologia dell’ospedale Niguarda e ha come mission il paziente stesso, la sua famiglia e la ricerca. Com’è cambiata negli anni la mortalità per leucemia?

«I vecchi libri di medicina dicevano che se viene trovata una leucemia acuta e il paziente non muore entro una settimana dalla diagnosi, allora la diagnosi era sbagliata. L’inserimento di due farmaci chemioterapici combinati, ha rivoluzionato la terapia della Leucemia Mieloide Acuta e dei linfomi, ma si tratta comunque di chemioterapia pura, attacca anche le cellule sane. Il bello viene con l’inserimento degli anticorpi monoclonali e dei farmaci a bersaglio molecolare, tutti figli dello studio del DNA. Confrontando le informazioni sbagliate all’interno del DNA, si risale al problema di fondo e si può essere precisi nella cura. È per questo che la figura del bioinformatico è necessaria, per confrontare migliaia di dati, trovare le informazioni sbagliate e portare una connessione diretta tra la clinica e il laboratorio. Tornando al discorso mortalità invece, considera che quando io ho iniziato a fare i trapianti l’età massima in cui un paziente era trapiantabile era 45 anni, oggi è 70; la Leucemia Mieloide Acuta sembrava una malattia dei giovani e invece si è scoperto esserlo dei vecchi. Oggi nel campo di tutte le leucemie, considerando giovani e vecchi, se ne salva uno su due, contro zero di trent’anni fa; nel campo dei linfomi se ne salvano circa 7 su 10».

Nei prossimi cinque anni che cosa succederà, lei che cosa si aspetta?

«Mi aspetto che molte delle malattie che ancora oggi curiamo con famaci efficaci ma non intelligenti (chemioterapici), possano arrivare a dei programmi di cura più precisi, per un tipo e un sottotipo di malattia, portando la caratterizzazione molecolare a un livello sempre più alto. Le molecole da sviluppare si chiamano prime in classe e nei prossimi anni ce ne saranno sempre di più, sempre più precise e sempre meno tossiche. Consideri che nel campo delle leucemie acute c’è stata un’unica chemioterapia dal 1973 al 2017, e solo negli ultimi 5 anni sono state scoperte 7,8 molecole assolutamente rivoluzionarie. Insomma, in conclusione credo che i farmaci a bersaglio molecolare rappresentino la più grande innovazione e la direzione da seguire nel campo dell’ematologia».

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