Intervista Impossibie al giornalista Giorgio Bocca

Autori:
Giorgio Bocca interpretato da Max Ramezzana
Giorgio Bocca interpretato da Max Ramezzana

Intervista Impossibile a Giorgio Bocca, interpretato da sua moglie Silvia Giacomoni. Ci racconta dlla sua vita e della sua carriera.

di Irene Nembrini

Giorgio Bocca interpretato da Silvia Giacomoni, giornalista per Repubblica, traduttrice e scrittrice, nonché moglie di Giorgio e Milanese doc.

Giorgio mi aspetta sul divano con due tazze di caffè fumanti. Con lui ci sono la gattina Bria, accoccolata sulle sue gambe, e sua moglie Silvia, che mi fa notare la camicia azzurra di suo marito. «Vedi», mi dice, «è un po’ sbiadita sul fianco. Non so perché ha questo vizio di toccarsi sempre lì, dove c’è il fegato». Lui ridacchia, poi mi incalza a fargli la prima domanda.

Lei ha scritto molti articoli come cronista, ma ha anche scritto dei libri. Si sente più giornalista o scrittore?

«Io sono un giornalista, un cronista. I miei colleghi che si mettono a scrivere i libri e pensano di essere degli scrittori, magari scrivono pure dei libri bellissimi, ma per me sono un po’ ridicoli».

Qual è il ruolo del giornalista oggi? E come è cambiato rispetto a quando lei ha iniziato a scrivere?

«La carriera da giornalista non è più così attraente: si guadagna pochissimo, si è trattati in modo burocratico. C’è un ricambio continuo, dove anche i giornalisti bravi vengono mandati via, e non si guarda più alla qualità come una volta. Nel giornalismo dei miei tempi queste cose erano inconcepibili. Bisogna cambiare il modo di fare il giornale, per renderlo più competitivo e più al passo con i tempi, senza sacrificare la qualità, perché ora i giornali non li compra più nessuno».

Illustrazione di Emanuele Lamedica
Illustrazione di Emanuele Lamedica

Ha scritto un po’ di tutto, dai libri agli articoli, ma che cosa scriverebbe oggi? Che temi tratterebbe?

«Penso che prenderei un’Alfetta e andrei a fare un giro per l’Italia. Vorrei vedere l’Italia di oggi, perché i mezzi d’informazione attuali non ci spiegano in che Paese viviamo. Io, come cronista, questo lavoro l’ho già fatto negli anni 60, ma da allora l’Italia è cambiata, e dei mutamenti del nostro Paese si sa poco o nulla».

Qual è il processo creativo per gli articoli?

«È un processo molto spontaneo. Ad esempio, d’estate c’erano i servizi estivi e si partiva in macchina all’avventura. Si andava in giro, poi si vedeva il nome di un paese che era il nome di un vino, e allora si andava a vedere come facevano il vino lì. Poi si scopriva che di fronte c’era una fabbrica di fisarmoniche, e allora si andava a parlare con quello che fa le fisarmoniche. Poi scrivevo quello che si era raccolto e lo dettavo: ai miei tempi non c’erano i computer e le altre tecnologie, c’erano i dimafonisti che trascrivevano gli articoli che dettavo loro».

E invece quello dei suoi libri?

«Vado dal cartolaio e compro dodici cartellette di quelle arancioni. Poi a casa le numero e ci scrivo sopra quello che mi serve per il libro, faccio una sorta di scaletta dei temi da trattare. E poi mi metto a lavorare, ma soprattutto faccio lavorare mia moglie. Io vado in giro a intervistare le persone e mia moglie va negli archivi, mettendo il materiale dentro le cartellette. Quando le cartellette sono abbastanza gonfie, mi metto a scrivere e ad elaborare il materiale. Le ricerche d’archivio e le interviste le possono fare tutti, ma il problema poi è decidere come interpretare le informazioni che si vanno raccogliendo».

Giorgio Bocca, (Cuneo 1920 – Milano 2011) Giornalista e scrittore. Dopo aver partecipato attivamente alla lotta partigiana, inizi  a collaborare, già nel 1943, a Giustizia e libertà , scrivendo poi sui più  importanti giornali italiani, tra cui L’Europeo, Il Giorno, La Repubblica, L’Espresso. Con i suoi libri ha segnato il dibattito politico e civile. (Illustrazione a cura di Max Ramezzana)

Lei è stato partigiano per molti anni e ne ha spesso parlato. Quanto ha inciso questa esperienza su di lei e sulla sua scrittura?

«Tutto nasce da lì. Per me la Resistenza è stata come l’università. Se non ci fosse stata la guerra partigiana forse sarei diventato uno sciatore. Invece c’è stata la resistenza e sono diventato giornalista. Alla fine della guerra partigiana sono andato a lavorare al giornale Giustizia e Libertà, e da lì poi in varie testate. Tutta la mia vita nasce dalla guerra partigiana. La mia spinta non era tanto il desiderio di voler informare, bensì quello di conoscere: il giornalismo è una professione che ti permette di conoscere da vicino le cose che ti interessano. Per me la curiosità è una molla importantissima».

C’è stato un incontro o un’intervista che ricorda come importante?

«Forse quella al Generale Dalla Chiesa. Ero in vacanza in Valle d’Aosta, e mi ha telefonato il Generale Dalla Chiesa dicendomi che aveva bisogno di parlarmi. Allora ho preso l’aereo e sono andato a Palermo, dove ho trovato quest’uomo completamente solo: sono arrivato alla sera e non c’era nessuno. Nessuna guardia all’ingresso, solo lui. Una cosa molto bella che mi ha raccontato mia moglie è che nel film La Mafia Uccide Solo d’Estate c’è questo bambino che va da solo a intervistare Dalla Chiesa, come ho fatto io. Quell’intervista è stata molto importante non solo perché è stata l’ultima testimonianza prima della sua uccisione, ma perché lì il Generale Dalla Chiesa ha potuto esprimere la sua idea di come era strutturata in quel momento la mafia, permettendo a quelli che sono venuti dopo di lui di constatare le cose che aveva indicato».

Nel suo ultimo libro Grazie no. Sette idee che non dobbiamo più accettare, lei dice: «oggi la gente è più ricca, ma è peggiorata culturalmente e mentalmente». Stiamo ancora continuando il nostro declino? O forse c’è ancora una speranza?

«Nella mia vita sono passato attraverso molte fasi terrificanti. Negli anni del terrorismo volevo addirittura comprare una pistola, ma mia moglie mi ha detto: “passo la giornata a cercarti gli occhiali, dovrò cercarti anche la pistola”, e allora non l’ho comprata. Ecco, adesso non voglio comprarmi una pistola ma un Kalashnikov!»

Ti è piaciuto ciò che hai letto?

Ricevi adesso l’ultimo numero del nostro mensile “Il Bullone”, uno spazio in cui i temi cardine della nostra società vengono trattati da un punto di vista “umano” e proposti come modello di ispirazione per un mondo migliore.

Ricevi ultimo Bullone
 
 
 
 

Diffondi questa storia

Iscriviti alla nostra newsletter

Newsletter (sidebar)
 
 
 
 

Potrebbe interessarti anche:

Torna in alto