National Geographic: informare, ispirare, agire per il pianeta

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Un momento del National Geographic Fest (Foto: Jeshua Saldana).
Un momento del National Geographic Fest (Foto: Jeshua Saldana).

Il National Geographic Fest 2021 è stato un esperimento. Un esperimento in cui si sono alternate sul palco realtà eterogenee, accomunate soltanto dalla loro visione della protezione dell’ambiente e della sostenibilità.

di Loredana Beatrici

«Vuoi fare una sintesi sul National Geographic Fest?». «Quante millemila battute ho a disposizione?», ho risposto al direttore quando mi ha chiesto di scrivere questo articolo. Sembra impossibile, infatti, racchiudere in poche righe tutto quello che ho sentito e scoperto durante questa bellissima esperienza. Si è concluso da poco il primo festival sulla sostenibilità, targato National Geographic: 7 giorni di incontri in cui scienziati, esploratori, giornalisti, leader illuminati, giovani attivisti, aziende virtuose e istituzioni hanno provato a spiegare il cambiamento climatico e gli effetti dell’inquinamento nel mondo. Un pianeta possibile il titolo di questa edizione.

Una posizione privilegiata la mia, che all’inizio ho temuto non essere all’altezza. Come potevo io «scrivere i testi» agli scienziati su materie di cui sapevo ben poco? Ed è lì che è arrivato il primo insegnamento. Ho capito che il primo grande scoglio a cui la crisi climatica deve far fronte è la comunicazione. La prima grande urgenza condivisa dagli esperti è di trovare un modo efficace per arrivare alle persone. Rendere maggiormente comprensibili i dati messi a disposizione dalla scienza, ma anche emozionare e spingere all’azione. Una comunicazione semplice e complessa allo stesso tempo. Un’informazione che deve coinvolgere un pubblico trasversale, ma che non deve «cedere alle logiche da talk show televisivo, perché quando si parla di scienza non esiste il dibattito, esiste la divulgazione», come sottolinea il giornalista Edoardo Buffoni, ospite del festival.

Locandina National Geographic Fest 2021
Locandina National Geographic Fest 2021

Insieme a lui la Vice President di Sky tg24, Sarah Varetto, ricorda come, rispetto ai primi meeting che erano più di nicchia, oggi «l’informazione sul clima ha lasciato spazio a toni allarmisti, che hanno paralizzato piuttosto che incentivare all’azione». Occorre un cambio di rotta, una comunicazione misurata, con l’obiettivo di promuovere comportamenti consapevoli e virtuosi. Tempo fa Peter Thompson, inviato speciale delle Nazioni Unite, alla domanda «Come investirebbe 1 miliardo di dollari per salvare l’Oceano?», ha risposto: «Li investirei tutti in istruzione», perché solo dalla conoscenza nasce la capacità di prendere decisioni consapevoli.

E in questa direzione va National Geographic, che dal 1890 offre borse di studio a esploratori affinché documentino l’impatto dell’uomo sulla natura e con un linguaggio chiaro coinvolgano un numero sempre più ampio di persone nel processo virtuoso del sapere. Un processo che ha bisogno sia dei giovani che scendono in piazza, sia di una regia sapiente che sposti poi il riflettore su chi può suggerire soluzioni, sia delle piccole scelte che ognuno di noi fa quotidianamente. Perché come dicono Adele Zaini e Alessia Iotti, giovani attiviste, «siamo tutti attivisti, tutti possiamo agire in modo consapevole».

Ricordo la luce negli occhi e l’entusiasmo di Adele e Alessia, impegnate a coinvolgere le nuove generazioni in questa presa di coscienza. Un entusiasmo che ho rivisto sul volto di un’altra giovane relatrice, Chiara Soletti, che si occupa di diritti umani e giustizia climatica per Italian Climate Network, e che si è collegata al Festival mentre prendeva un treno per andare a Glasgow a dare il suo contributo. E da lei arriva un altro insegnamento: sostenibilità non vuol dire solo inquinare di meno, ma costruire un mondo più inclusivo, più equo. I cambiamenti climatici, e purtroppo anche le soluzioni adottate per contrastarli, stanno impattando di più sulle fasce vulnerabili, esacerbando situazioni già complesse.

E come lei la fotografa Nadia Shira Cohen ci ricorda che le donne stanno pagando il prezzo più caro di tutti. Anche su questo tema National Geographic, che dopo 133 anni ha come CEO Jill Tiefenthaler, una donna, è molto attivo. La National Geographic Society ha, infatti, deciso di destinare la metà dei fondi proprio alle donne di tutto il pianeta.

Un altro insegnamento che mi porto a casa è l’umiltà di imparare ad ascoltare e la necessità di individuare i giusti interlocutori. Il rischio di fare una gran confusione è un po’ come quello a cui abbiamo appena assistito in pandemia. Un ortopedico non potrà mai essere competente come un virologo su un virus. Così come un biologo potrà parlare dello stato dell’oceano, ma non sarà mai preparato come un climatologo sugli eventi climatici estremi. Così come per le soluzioni: un botanico non potrà pensare che basti piantare degli alberi per assorbire tutte le emissioni di CO2. Questo sostiene Stefano Caserini, docente di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, ricordandoci che dal 1988 un gruppo di scienziati scelti lavora per creare delle sintesi di tutte le pubblicazioni scientifiche che vengono fatte sui cambiamenti climatici. Questo rapporto si chiama IPCC ed è una fonte attendibile e ufficiale. E dal rapporto IPCC di quest’anno sono uscite parole forti come «inequivocabile influenza umana sul cambiamento climatico». Mai prima d’ora era stato scritto nero su bianco in documenti così ufficiali.

Ora posso anche sciorinare qualche dato emerso dal Festival, ma ci tenevo prima a mostrare quale fosse il reale obiettivo di National Geographic: INFORMARE, ISPIRARE E SPINGERE AD AGIRE CONCRETAMENTE. E ce n’è bisogno perché siamo nel pieno della sesta estinzione di massa (un processo in cui almeno il 65% delle specie si estinguono), come ci spiega il paleontologo Federico Fanti, ricordandoci però, che a differenza dei dinosauri, noi ne siamo consapevoli e possiamo contrastarla. Ce n’è bisogno perché 2 gradi di surriscaldamento è una febbre che il nostro pianeta non può sopportare, come sottolinea il climatologo Michael E. Mann, spiegando come 0,5 gradi possano far perdere alla Terra la sua capacità adattiva e lasciar spazio al collasso della calotta polare, con conseguente innalzamento dei mari, siccità, incendi, danni che si ripercuotono su intere popolazioni, economie, alimentazione, biodiversità. Ce n’è bisogno perché i ghiacciai delle Alpi europee fra 70 anni rischiano di non esserci più, con conseguenze devastanti per l’agricoltura e non solo. Ce n’è bisogno perché i nostri mari sono diventati delle discariche sommerse, come documenta il videomaker Igor D’India e come ci insegna l’esperta di oceano e specialista UNESCO, Francesca Santoro.

Proprio la Santoro ci spiega che più di 8 milioni di tonnellate di plastica all’anno arrivano nell’oceano, come se venisse scaricato un camion al minuto. Anche il nostro Mediterraneo è un hotspot di microplastiche, proprio per la sua conformazione, ciò che entra fatica ad uscire. Questi rifiuti derivano per il 60% dall’utilizzo di plastiche monouso e per il 30% dalla pesca. Potrei continuare con i dati allarmanti, ma preferisco ricordare perché è tanto importante salvaguardare, per esempio, l’oceano. Dal 50% all’80% dell’ossigeno che respiriamo viene prodotto da piccole piante che fanno parte del fitoplancton marino. L’oceano regola il clima, la nutrizione e l’economia di molti Paesi. Dallo studio dei fondali (al momento abbiamo mappato solo il 20%), otteniamo importanti conoscenze anche per la medicina.

National Geographic Channel Logo

Ed ecco l’ultimo insegnamento: le parole «conversione» e «transizione» si portano dietro tutta l’inerzia di un sistema. Sono parole che ci fanno capire la fatica che occorre per cambiare, il tempo fisiologico necessario e la complessità del cambiamento. Per questo il nostro ruolo non è quello di sederci e aspettare che qualcuno prenda decisioni per noi. E forse neanche solo di continuare a denunciare i bla bla bla. Ma, come dice il giornalista Riccardo Luna, di porci la domanda «Cosa siamo disposti a fare, ogni giorno, per cambiare il pianeta?».

Chiudo questo articolo con le parole di Marco Cattaneo, direttore del National Geographic Magazine, nonché uno dei moderatori del festival. Un uomo illuminato che di natura, sostenibilità e ambiente scrive da anni e a cui ho chiesto di raccontarmi cosa gli è rimasto “appiccicato” di questa esperienza. «Il National Geographic Fest 2021 è stato un esperimento. Un esperimento in cui si sono alternate sul palco realtà eterogenee, accomunate soltanto dalla loro visione della protezione dell’ambiente e della sostenibilità. Da questi frammenti di diversità è emerso un mosaico di conoscenze, di interessi, di iniziative che guardano al futuro con attenzione, ma non con preoccupazione. E soprattutto con la consapevolezza che affrontare l’emergenza climatica è una sfida che dovrà coinvolgere tutti, dalla scienza alle istituzioni, dalle imprese ai singoli cittadini. Una sfida da cogliere con impegno e determinazione, per consegnare un pianeta in salute alle generazioni future. E proprio questo era uno degli obiettivi del National Geographic Fest, il dialogo tra generazioni. I movimenti giovanili nati dall’impegno di Greta Thunberg e di altri giovani attivisti hanno avuto il grande merito di stimolare l’attenzione dell’opinione pubblica di tutto il mondo sulla questione climatica, ma a volte il confronto è scivolato sul piano dello scontro generazionale. All’NGFest, invece, giovani e meno giovani hanno portato il loro patrimonio di conoscenze ed esperienze, cercando un terreno comune. E forse è questo il messaggio più importante che rimane da questa settimana di incontri: siamo davanti a un problema globale che dovremo affrontare nei decenni a venire, per il quale non ci sono soluzioni semplici e occorre il contributo di tutti. Perché o ne usciamo tutti insieme, o non ne uscirà nessuno».

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