Associazione Espera, per i genitori che non mollano mai

Autori:

La commovente storia di Edo e i suoi genitori, fondatori di Associazione Espera che aiuta le famiglie e i bambini con disabilità gravi.

di Gabriele Belloni

Era il 7 giugno 2018 quando, pieni di gioia, io e mia moglie Jessica ci preparavamo ad accogliere il piccolo Edoardo che sarebbe nato di lì a poco. È sera e finalmente Edo viene alla luce, ma subito notiamo che qualcosa non va: il piccolo fa solo un breve urletto e poi silenzio, ce lo affidano dicendo che va tutto bene, ma noi notiamo che è flaccido, non si muove.

Ci rassicurano «la signora è stanca dal parto, il bambino anche». Dopo circa un’ora e ben tre volte che chiamiamo i sanitari per venire a controllare, finalmente qualcuno si decide a verificare veramente come stava nostro figlio e… l’ostetrico sbianca, afferra il piccolo e corre in rianimazione.

Edoardo aveva avuto una sofferenza cardiocircolatoria durante o subito dopo il parto, cosa relativamente comune, che però, ignorata e trascurata con superficialità dal personale di sala, ha fatto sì che rimanesse in una condizione di arresto per probabilmente un’ora.

La nascita di Edo

Risultato: tetraparesi spastica con totale assenza della deglutizione, crisi epilettiche, continui vomiti, ipovisione e ipoacusia, e chi più ne ha più ne metta. Inizia così la nostra battaglia, per tenere in vita Edo e, altrettanto importante per noi, per dargli una vita BELLA.

I primi due mesi li passiamo in terapia intensiva, letteralmente viviamo lì. Subito ci rendiamo conto che Edo è considerato così grave che i medici ritengono che quasi sicuramente morirà, e ci fanno capire che così ci converrebbe, perché la nostra vita altrimenti sarà totalmente distrutta e annullata dalla disabilità di nostro figlio. Ci dicono che se anche dovesse sopravvivere sarà sempre un vegetale, non avrà mai la minima funzione cognitiva, ci dicono che possiamo portarlo in Svizzera volendo, dove in qualche modo lo si può «accompagnare».

Quando chiediamo perché non stia facendo le stimolazioni logopediche o fisioterapiche che facevano altri bambini in terapia intensiva, ci convocano, e ci fanno notare quanto siamo pazzi a voler insistere su un corpo che per loro non si può quasi considerare vita. Non capiscono come dei genitori possano semplicemente amare il proprio figlio. Non capiscono che, pur consapevoli che con tutta probabilità non ci sia nulla da fare, due genitori vogliano dare tutti se stessi per dare al figlio l’opportunità di fare un minimo miglioramento, se mai ne esistesse la possibilità più remota.

Durante la terapia intensiva vediamo succedere di tutto: a un certo punto Edo era collegato a un macchinario che causa un dolore atroce, il che si poteva vedere dalla tachicardia estrema che aveva da quando aveva iniziato il trattamento, ma la dottoressa di turno aveva deciso di non dargli antidolorifici nè sedativi, «tanto non sente nulla». Abbiamo dovuto lottare perché nostro figlio non fosse considerato un semplice corpo inerme, ma una persona.

Gli anni successivi

Gli anni successivi sono stati duri: una volta venuti a casa facevamo avanti e indietro fra pronto soccorso, terapie intensive, ambulanze e ogni tanto elicotteri. Giorno e notte non si distinguevano perché dovevamo continuamente rianimare Edo, a volte riuscivamo in autonomia (siamo attrezzati a casa come una piccola terapia intensiva), a volte si doveva chiamare il 112. Era devastante.

Ma da subito abbiamo puntato in alto. Ogni giorno, sabato, domenica, Natale e Capodanno, facevamo 4-5 sessioni al giorno di riabilitazione per Edo, appigliandoci ad ogni micro miglioramento che vedevamo e supportandoci a vicenda quando aveva delle regressioni e vedevamo mesi di lavoro e dedicazione totale andare in fumo.

Edo oggi è un bambino ancora pieno di problemi: non deglutisce la sua saliva, il che comporta che dobbiamo broncoaspirarlo ogni pochi minuti per evitare che la sua saliva gli riempia i polmoni e lo soffochi, continua ad avere una tetraparesi spastica, continua ad avere una forte attività epilettica nel suo cervello.

Alcune cose invece sono migliorate, per fortuna con una complessa operazione allo stomaco abbiamo per ora risolto il problema dei 4-5 vomiti giornalieri, che portavano ad altrettante inalazioni di materiale gastrico e sessioni di rianimazione.
I risultati di tutte le sessioni di riabilitazione e stimolazione che facciamo, invece stanno portando frutti pazzeschi: se ci seguite sui social vedete che Edo ora ride, piange, si arrabbia, è in grado, grazie al percorso fatto con la nostra logopedista, di COMUNICARE, a modo suo, usando una tabella, dei vocalizzi e l’alzata di un braccio, ma può comunicare.

E ci chiede di uscire, ama andare al parco, ama fare i lavoretti con il pongo e i pennarelli, ama leggere le favole con papà e fare le coccole con mamma. Come un qualsiasi altro bambino di tre anni e mezzo.

Gabriele e Jessica Belloni con i loro figli.

Associazione Espera

Per aiutarci e per aiutare altre famiglie e bambini con il nostro stesso percorso, da una parte sfiniti e in cerca d’aiuto, dall’altra per canalizzare tutta la rabbia e frustrazione che deriva dallo stare in una condizione così particolare, abbiamo fondato Associazione Espera.

Con Espera quello che vogliamo passare a chi si trova nelle nostre condizioni, a chi si trova catapultato nel mondo della disabilità gravissima, è di non mollare, di ascoltare sì quello che vi dicono i medici, ma anche di seguire il vostro cuore, solo voi sapete cosa volete e cosa è giusto per vostro figlio, per cui non fatevi mettere in testa che un figlio disabile vi rovinerà la vita e che vada gestito come un problema. La vostra vita sarà diversa, questo non lo mette in dubbio nessuno, ma non siete soli, e l’amore che possono dare questi bambini è immenso, le lezioni di vita che vi danno sono infinite, e non c’è da stupirsi se a un certo punto vi ritroverete semplicemente felici di condividere la vostra vita con dei bimbi con bisogni così speciali e allo stesso tempo così normali.

Con Associazione Espera il nostro focus è sui bambini disabili, quelli così gravi da non poter fruire dell’offerta socio-sanitaria sul territorio, ma che necessitano di prestazioni domiciliari in modo continuativo e intensivo, cosa che il sistema sanitario non garantisce, o non abbastanza. Questi bambini hanno tantissimo potenziale da esprimere e tantissima voglia di vivere la vita. Vogliamo dare a loro e alle loro famiglie questa possibilità, fornendo la formazione, il supporto e le prestazioni domiciliari di cui hanno bisogno!

Ti è piaciuto ciò che hai letto?

Ricevi adesso l’ultimo numero del nostro mensile “Il Bullone”, uno spazio in cui i temi cardine della nostra società vengono trattati da un punto di vista “umano” e proposti come modello di ispirazione per un mondo migliore.

Ricevi ultimo Bullone
 
 
 
 

Diffondi questa storia

Iscriviti alla nostra newsletter

Newsletter (sidebar)
 
 
 
 

Potrebbe interessarti anche:

Torna in alto