Riuscire a perdonare l’altro è importante per essere in pace, ma anche perdonare sé stessi lo è. Non sono credente e non ho bisogno che il buon Bog mi assolva. Sono io che mi perdono. Perché ho capito che nessuno lo farà per me, non per delle pene che mi sono auto-inflitta.
A tutti è capitato almeno una volta nella vita di essere delusi da qualcuno. Riporre fiducia e amore in una persona che non è arrivata a comprendere quanto quelle cose fossero importanti per noi. Tutti ci siamo aspettati almeno una volta di ricevere un segno da qualcuno per noi importante.
Il perdono è il condono di una pena, e per i cattolici questo è un atto dovuto a chi ci ha fatto del male. Non infliggere una punizione a chi nella nostra testa la meriterebbe.
Io credo nel perdono, ho perdonato amici, ex, i miei genitori; ho sempre cercato una via diplomatica affinché la mia vita avesse meno drammi possibili con l’altro, nonostante a volte questo sia stato difficile.
Quello che non avevo mai fatto, però, fino a poco fa, è stato perdonare me stessa.
Io ho sbagliato, ho commesso errori, innumerevoli errori. Ho toccato il fondo andando ad implorare per dell’alcol laddove ne vedevo un po’.
Mi sono fatta del male, ho sofferto di depressione perché mi imputavo tutti gli sbagli e i fallimenti sia miei che degli altri. E più sbagliavo e più mi sentivo in colpa e più sbagliavo di nuovo.
Perdonare sé stessi è riuscire ad amarsi
Perdonare sé stessi è riuscire ad amarsi. È riuscire ad accettarsi. Per troppo tempo sono rimasta arrabbiata col mondo perché credevo che il mondo ce l’avesse con me. Sono stata arrabbiata con i miei genitori, e ahimè, ho avuto poco tempo per scusarmi e perdonare. Sto lavorando anche sul perdonarmi questo.
Quando qualcuno ci fa del male, il perdono che diamo non allevia il dolore di quello che è successo, ma ci aiuta ad accettarlo. Anche col dolore che ci hanno causato le nostre mani.
Perdonare sé stessi significa riuscire ad abbracciarsi. Non è un atto di edonismo o egocentrismo. Per chi (come me) guardandosi allo specchio si è vergognato del proprio riflesso, riuscire a perdonarsi è come riuscire a respirare di nuovo dopo essere stato in apnea per troppo tempo.
Vorrei poter tornare indietro nel tempo e abbracciare forte la Ada di diciotto anni e dirle «Non è colpa tua!», così forse ci saremmo evitate tanti problemi inutili.
«È tutta colpa mia!» mi ripetevo. La fame nel mondo, era colpa mia; un’amica era arrabbiata, era colpa mia; i miei non stavano bene, era colpa mia; io non stavo bene, era colpa mia.
Sono io che mi perdono
Mi dicevo che non ero depressa, perché la depressione era una cosa stupida, che non esisteva davvero, che era colpa mia se c’era il caos nella mia testa. Non mi concedevo di provare emozioni perché dovevo dimostrare di essere forte e, quando arrivavo al limite, piuttosto che chiedere aiuto, – e perché no? farmi un sano pianto – esplodevo di rabbia, perché era tutta colpa mia! Perché non riuscivo ad essere forte abbastanza e in quel momento stavo deludendo tutti.
Ma tutti chi?
Chi mi imponeva di essere così?
Mi ci sono voluti anni per riprendere a respirare. Per potermi concedere di essere fragile. Per potermi dire «tranquilla, non è colpa tua».
Non ho mai rubato o ucciso, ho sempre cercato di mantenere un comportamento tale da non offendere o lasciare da parte qualcuno, perché io stessa so quanto è brutto essere lasciati indietro.
Non sono credente e non ho bisogno che il buon Bog mi assolva. Sono io che mi perdono. Perché ho capito che nessuno lo farà per me, non per delle pene che mi sono auto-inflitta.
Riuscire a perdonare l’altro è importante per essere in pace, ma anche perdonare sé stessi lo è.