Confini cambiati, problema migranti, divisi ma in contatto

Autori:
Jannik Kiel
credit: Jannik Kiel

I confini sono cambiati nel tempo, presentano però ancora problemi legati ai migranti che li varcano a causa di guerre, carestie…

di Edoardo Albinati

Il concetto di confine introduce una serie di problemi storici e giuridici che non si possono liquidare a colpi di slogan. Le linee che spartiscono il mondo in entità statali sono il laborioso e sanguinoso frutto di guerre, trattati, deportazioni, migrazioni, secessioni. Basta osservare su un qualsiasi atlante storico i cambiamenti che hanno subito solo dall’inizio del Novecento ad oggi, in almeno tre continenti. Il loro assetto attuale non può certo dirsi definitivo.

Nazioni dissolte, imperi frantumati, frontiere che si spostano di centinaia di chilometri per poi tornare indietro come una marea che sale e scende. Come accade agli individui, anche gli Stati e i popoli si situano gli uni accanto agli altri. Un rapporto di vicinato che si svolge sotto il segno dell’amicizia, della diffidenza, della lite, del commercio e dell’odio. Si combattono, si intrecciano, si fondono in nuove famiglie, si eclissano o cambiano nome. La linea che li tiene separati l’uno dall’altro al tempo stesso li unisce, come il sentiero spartisce un campo tra due proprietari.

La separazione è al tempo stesso contiguità, contatto. Non c’è per forza bisogno di una muraglia o di filo spinato per segnare questa distinzione, che almeno sulla carta resta netta. La recinzione dovrebbe servire sia a tener fuori gli altri sia a tener dentro noi, conferendo un’identità a ciascuno con la reciproca esclusione. Una specie di catasto planetario, con tutte le controversie e gli errori di trascrizione tipici di un catasto. Sovranità nazionale e proprietà privata replicano su livelli diversi il medesimo principio, quello dell’appartenenza: la mia terra, se è mia, non può essere la tua. 

greg bulla
greg bulla

Confini cambiati e cose che contano più delle persone

A dissolvere da una parte e irrigidire dall’altra un reticolo di autorità e giurisdizioni diverse è intervenuto negli ultimi vent’anni. Sono scaturiti due fenomeni dal segno analogo ma dall’esito quasi opposto. Il primo riguarda le cose, ed è la globalizzazione del mercato su scala planetaria. L’altro riguarda le persone, ed è quello delle migrazioni. Entrambi riguardano il movimento e sono destinati nel tempo quasi inevitabilmente a crescere, mettendo in questione il concetto stesso di frontiera.

A parte le schermaglie protezionistiche giocate da qualche Paese, le merci sembrano avere avuto via libera, scavalcando la dimensione territoriale dei singoli Stati. Ci troviamo ora in un mercato universale formato da individui tutti appartenenti alla comunità dei consumatori. Mai vi è stata una simile libertà e facilità per le merci di raggiungere qualsiasi punto del pianeta senza incontrare ostacoli. Forse solo una crisi energetica di enormi proporzioni potrebbe mettere in crisi questo modello di scambio.

La sovranità dei singoli Stati nazionali impallidisce di fronte ad aziende planetarie che contano su un bacino di clientela numericamente più vasta di qualsiasi nazione. Se le frontiere paiono annullarsi per permettere il passaggio delle merci e delle informazioni, l’esatto opposto sta avvenendo per le persone. In mezzo mondo vengono eretti muri e muraglie, barriere di filo spinato e postazioni militari. Questo per impedire l’ingresso nei Paesi sviluppati di persone provenienti da “altri” Paesi.

markus spiske
markus spiske

Problema migranti, scavalchiamo i limiti!

Il confine torna a essere fortificato come l’antico limes romano, un vero sbarramento difensivo. Oltre a quello fisico viene eretto uno steccato fatto di argomenti culturali e religiosi. Come se l’ingresso di nuovi arrivati potesse pregiudicare e annacquare, se non addirittura distruggere, l’identità dei popoli che già lì risiedono.

Se ci limitassimo a registrare i grandi moti come necessità storiche, allora potremmo presumere che in qualche punto si intrecciano tra loro. Merci da un lato e persone dall’altro. Persone mescolate e ficcate tra le merci, come quando i migranti si nascondono nei container o sotto la pancia dei camion per passare le dogane.

Purtroppo non possediamo questo sguardo disincantato e olimpico. Le sofferenze che le frontiere e i loro sorveglianti infliggono a chi tenta di scavalcarle, ci spingono a ripensare al significato di questi limiti. Limiti che non sono né sacri né invalicabili. Creati dalla storia, dalla storia possono essere modificati. Il che occorrerebbe fare senza pregiudizi, senza infiammare gli animi, puntando a ridurre il più possibile il danno umano. Non ci dimentichiamo la duplice valenza della linea di confine: qualcosa che divide e al tempo stesso pone in contatto.      

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