Amadou viene dal Senegal, Yarisma dal Venezuela, Azadeh dall’Iran, Susana e William da El Salvador, Regbe dall’Eritrea, Danijela dalla Serbia. Si trovano tutti intorno a un tavolo, nella sede di Roma di Intersos Lab, a dialogare con Attilio De Gasperis.
L’occasione è un articolo ritrovato, scritto dallo stesso nel marzo 1991, dopo aver lasciato Baghdad per l’inizio della guerra del Golfo. All’epoca funzionario del Ministero degli Esteri come Direttore dell’Istituto di cultura Italiana, gli venne chiesto di commentare gli accadimenti. Oggi, trentuno anni dopo, le riflessioni sono più che mai attuali.
Amadou: «Professore, perché scrive che in Medio Oriente la verità è molto più complessa?»
Attilio: «La storia è sempre più complicata della divisione netta tra buoni e cattivi che viene raccontata; per fare la guerra bisogna non vedere questa complessità, ci sono tanti interessi, ci sono tanti Stati in campo, c’è l’Iran, ci sono gli Stati Uniti, c’è il Kuwait, c’è Israele, c’è la questione palestinese. In Medio Oriente ci sono tante culture diverse, tante religioni diverse, e allora la guerra si fa semplificando».
Yarisma: «C’è il petrolio…».
Attilio: «Sì, c’è il petrolio in Venezuela e anche in Iraq c’è n’è molto. Voi avete esperienza di questa complessità nei vostri Paesi?».
Azadeh: «Anche in Iran abbiamo questo problema. In Iran ci sono musulmani e cristiani, per i cristiani a volte è complicato. In Iran il petrolio disturba il nostro percorso di civilizzazione, perché tutto il mondo vuole utilizzare questa ricchezza. Noi adesso siamo in una sorta di guerra per questo petrolio, e tutti hanno una responsabilità su questo. Tutto il mondo vuole usare questo petrolio».
Susana: «La guerra nel mio Paese c’è sempre stata, è una guerra interna dettata dall’ingiustizia tra i poveri e i ricchi. Il motivo di una guerra è sempre economico».
Yarisma: «Professore ma si fida ancora delle Nazioni Unite?»
Attilio: «È una domanda difficile. Le Nazioni Unite sono sempre state importanti e utili perché fatte per negoziare e confrontarsi, però hai ragione a pensare che le decisioni della guerra sono sempre prese fuori da questo tavolo di discussione. Resta per me importante però, che ci siano organismi che prevedono e vincolano al dialogo. Non sempre questo tavolo è sufficiente».
Yarisma: «Io non mi fido. Credo che siano decisioni conformate a chi ha più potere».
Attilio: «Ma ogni Stato può esprimere un voto, però è vero che al Consiglio di Sicurezza non partecipano tutti…».
Regbe: «In Africa non c’è un tavolo di dialogo, l’80% sono dittatori e la comunicazione della guerra all’interno dei Paesi è diversa da quella che esiste fuori dal Paese, ad esempio, la guerra tra Eritrea ed Etiopia, che continua da 50 anni e ancora oggi non c’è uno stato di vera e totale pace. La disinformazione è parte della guerra».
Amadou: «Perché l’Iraq ha accettato che venisse data questa immagine, che parlassero male?»
Attilio: «Purtroppo l’informazione è sempre in mano a chi ha i mezzi di comunicazione. L’informazione quando c’è la guerra è parte della guerra. Tu ne hai esperienza Yarisma?»
Yarisma: «Questa cosa in Venezuela è molto complessa, perché ci sono sempre delle voci di dissenso contro il regime di adesso, però vengono silenziate, quello che dicono ha delle conseguenze… ma posso farvi una domanda? Come si può parlare o negoziare con un dittatore?»
Regbe: «Io penso che in alcuni casi avere un dittatore vada bene. Non sempre, non dappertutto. Forse pensate che la mia idea non sia giusta, ma quando non c’è educazione, le persone non vanno a scuola, un dittatore è meglio. Io sono cresciuta 30 anni nella guerra, fuori magari era diverso».
Danijela: «Anch’io penso che alcune cose vadano meglio quando c’è un comandante forte».
William: «Molto difficilmente si può evitare la guerra, chi ha il potere lo vuole tenere e la manipolazione è una strategia continua, io devo lavorare tutto il giorno, devo correre dietro al lavoro tutto il giorno per poter mangiare e quando ho finito devo pensare a come mangerò il giorno dopo, non come i ricchi».
Amadou «Io penso che la guerra non finisca mai. C’è la guerra per la religione… in questo secolo non è come con le guerre antiche, adesso c’è la guerra dentro la testa. Ci sono i pregiudizi e le discriminazioni. Quando finisce la guerra in un Paese poi ne inizia una in un altro».
Attilio: «Ma secondo voi non possiamo fare qualcosa contro il pregiudizio? Non possiamo lavorare sul rispetto?»