Intervista a Mister Helenio Herrera, il Mago

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Helenio Herrera interpretato da Max Ramezzana
Helenio Herrera interpretato da Max Ramezzana

Mister Helenio Herrera, il Mago, lei ha «inventato» la figura dell’allenatore moderno senta cosa scriveva di lei Indro Montanelli…

di Carlo Baroni

Mister Helenio Herrera, il Mago. Lei ha «inventato» la figura dell’allenatore moderno. Prima era solo un preparatore atletico. Senta cosa scriveva di lei Indro Montanelli: «Herrera non parla. Sentenzia. Come i profeti e gli apostoli, si esprime per massime e versetti, che non conia solo per i giocatori, anche per sé stesso». Tacalabala!, Vamos a ganar!, fino all’impareggiabile manifesto di un esasperato egocentrismo: «Che cosa sarebbe il calcio senza di me?».

«Esagerato. Però neanche tanto…».

Cito una delle sue frasi storiche: «Giocando individualmente, giochi per l’avversario; giocando collettivamente, giochi per te». Ma allora non è vero che il calcio totale l’hanno inventato gli olandesi?

«Il calcio si gioca insieme. Da sempre. Anche i fuoriclasse hanno bisogno dei compagni. Io appendevo negli spogliatoi i cartelli con le frasi motivazionali per invitare i miei giocatori ad essere altruisti. A passarsi la palla. E ad attaccarla». 

Il famoso «Taca la bala»…

«Appunto. Adesso lo chiamate pressing, ma è la stessa cosa».

Ci sono due parole che suonano come bestemmie a chi dice di amare il bel calcio: catenaccio e contropiede. Era così brutto il calcio difensivo?

«Bello, brutto sono concetti che non esistono. Io mi regolavo sulle caratteristiche dei giocatori che avevo. I miei dell’Inter erano grandi difensori. E là davanti avevo due “Ferrari” come Mazzola e Jair. Prenderli era dura. Ci pensava Suarez a raggiungerli con pennellate da cinquanta metri. Quindi difesa e contropiede».

Un’altra sua frase: «Il calcio moderno è velocità. Gioca veloce, corri velocemente, pensa velocemente, marca e smarcati velocemente». Certo che a guardare certe partite di oggi sembra tutto il contrario: con tutto quel partire dal basso, i mille passaggi in orizzontale. Insomma un tiki taka che è solo noia mortale.

«Copiamo le caratteristiche di chi vince. Guardiola ha inventato il tiki taka perché gli spagnoli hanno questa mentalità. Cerca di stanare le difese, che sono sempre più organizzate. Io preferivo verticalizzare. Arrivare prima sulla palla. Mente sveglia e piedi veloci».

Logo Interviste Impossibili di Emanele Lamedica
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Oggi si spendono ore davanti al video per preparare una partita. Non sarebbe meglio passare qualche ora in più sul campo?

«La tecnologia aiuta, ma le partite non si vincono a tavolino. Nei miei allenamenti c’era sempre il pallone. Ero l’unico. Al pallone bisogna dare del tu. Meglio averlo sempre tra i piedi. Gli schemi, la tattica, le strategie vengono dopo». 

La testa, le gambe, il cuore: cosa conta di più?

«Qui è facile rispondere: la testa. Che significa volontà, motivazione, voglia di arrivare. Un campione non lo riconosci solo dai piedi. Devi andare su. E testa è anche sensibilità. Capacità di non farsi schiacciare dagli errori. Devi fare tesoro degli sbagli e poi dimenticarli».

Helenio Herrera parla del calcio di oggi

Tutti dicono: questi ragazzi guadagnano troppi soldi. Non hanno più «fame».

«Metterei un paletto, un limite agli stipendi. Troppi soldi, è vero. Oggi in un anno guadagnano quello che un calciatore dei miei tempi portava a casa dopo una vita sul campo. Anche i contratti. Troppo lunghi. Meglio rinnovarli di anno in anno. E se giochi bene e vinci, c’è il premio partita. Così non ti siedi sugli allori».

Tatuaggi, fisico scolpito, vacanze esotiche, fidanzate da urlo: lei costrinse il presidente Angelo Moratti a vendere Valentin Angelillo, il Lukaku di quegli anni, perché aveva una relazione con una ballerina.

«I ragazzi di oggi sono figli di questa epoca. Tanta immagine e poca sostanza. Angelillo? Non era per la storia con la ballerina, ma perché volevo gente concentrata solo sulla partita. Una famiglia solida aiutava».

Lei era «ossessionato» dalle regole.

«Ci tenevo al rispetto per gli altri. Arrivare in ritardo agli allenamenti era una mancanza di rispetto. E allora al primo ritardo scattava la multa: 100 lire. Poi raddoppiava, 200, 400 e via così. Dico 100 lire per modo di dire…».

Regole che valevano anche per l’allenatore?

«Certo, soprattutto per l’allenatore. Una volta arrivai solo cinque minuti prima. I miei giocatori pensarono: come fa a cambiarsi e arrivare in tempo in campo? Ma io ero venuto in auto con la tuta sotto il cappotto: in tre minuti ero già lì».

Helenio Herrera interpretato da Max Ramezzana
Helenio Herrera interpretato da Max Ramezzana

La strada per diventare calciatore oggi passa dalle scuole calcio. Sempre di meno frequentano gli oratori o giocano per le strade. Per questo stiamo perdendo tutta la fantasia e la creatività?

«Quando un bambino vede un pallone gli viene sempre voglia di prenderlo a calci. La passione c’è ancora. Certo gli allenatori delle scuole calcio, questi ragazzini un po’ li stressano. Fino a una certa età è meglio farli divertire con il pallone. Come all’oratorio». 

A lei piaceva lanciare i giovani. Ne ricorda qualcuno?

«Sì, Carlo Muraro. Lo andavo a vedere nell’under 23 e lo facevo entrare in campo anche quando la società spingeva per altri giocatori. Era velocissimo, lo chiamavo il Jair bianco. Gli ho dato tanti consigli, tipo tirare sempre dal limite dell’area invece di passare. E lo facevo giocare anche da terzino, lui che era un attaccante. Per fargli capire cosa si provava e cosa pensava il suo avversario».

Argentino, francese, spagnolo, italiano. Ma lei di dov’è precisamente?

«Sono un cittadino del mondo. La mia vita è come un romanzo. Meglio non raccontare tutto…».

Qualcosa sì…

«Famiglia povera, padre falegname emigrato dall’Andalusia in Argentina. Per questo sono nato a Buenos Aires. Poi la Francia, il Marocco, e sì, l’Italia. Venezia la mia città. Rimpianti? No, se mi guardo indietro provo solo orgoglio».

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