Se li guardi bene non hanno nulla di diverso da chiunque altro eppure… sono gli eppure che cambiano la storia, cambiano il modo di stare nella storia.
È un lunedì di Pasqua qualunque, piazza San Pietro attendeva 50mila ragazzi, ne sono arrivati 67mila, persona più, persona meno. Tra le fila di adolescenti e preadolescenti ci sono anche delle famiglie, stanno sul sagrato del vaticano, o almeno dovrebbero, ma questa è un’altra storia. Se li guardi bene non hanno nulla di diverso da chiunque altro eppure… sono gli eppure che cambiano la storia, cambiano il modo di stare nella storia.
Bene, dicevamo, eppure queste madri e questi padri hanno uno sguardo diverso, un modo di stare tra la gente diverso. Un padre ha una figlia sulle spalle, un’altra la tiene per mano e lo sguardo cerca sempre il terzo; una madre si fa carico delle stanchezze della figlia, si toglie lo zaino e se la mette come zaino. Una famiglia adotta, solo per qualche giorno, un’altra figlia per custodirla in quel viaggio. Che poi è un cammino, un pellegrinaggio in gergo tecnico, che poi è la vita vissuta, spesa, mai persa, sempre donata.
È così che impariamo l’altruismo, quello strano sostantivo che cerchiamo ovunque, ma che infondo abita sempre dentro di noi. Altruismo è un’opera d’arte dell’umano, una perla preziosa che va condivisa, consegnata perché ne ritorni il trenta, il sessanta, il cento per uno. È quella capacità che abbiamo, ma che sempre va alimentata, di mettere al centro l’altro. Non dimentichiamoci però di noi stessi, facciamo in modo che anche il nostro esserci sia al servizio del bene dell’altro.
L’altro non come peso
Altruismo è farsi prossimi, farsi accanto, che non significa portare i pesi dell’altro o portare l’altro come un peso. Significa accompagnare l’altro nel suo cammino, passo dopo passo, sasso dopo sasso. Sapersi fermare se necessario e prendersi sulle spalle l’altro; solo per un tratto di strada, per farlo riposare, per far sì che possa riprendere le forze. Perché nessuno deve mai compiere i nostri passi, dirigere le nostre scelte. Significa fermarsi e guardare insieme cosa c’è nello zaino della vita e discernere su cosa è necessario e cosa è superfluo; cosa fa da zavorra al camminare e cosa dà lo slancio alla bellezza.
Altruismo è stare nella vita da vivi, stare dentro questa storia faticosa, in questo tempo che intercala pandemie a guerre e starci appieno, senza scappare. È stare in piedi davanti alla morte e saper trovare germogli di luce laddove ci sono solo sepolcri pieni; saper aspettare per far rotolare le pietre e vedere che la vita vince. Non c’è dono più grande di vedere un fratello, una sorella, una madre, un padre tornare alla vita.
Può sembrare più «facile» che questo slancio ci sia all’interno di una famiglia piuttosto che tra estranei; ma oggi ci viene chiesto di imparare cose nuove e in questo caso, più che imparare, di mettere in pratica cose nuove che dentro già conosciamo. Questo tempo ci chiede di non fermarci davanti al bene, ma di mettere in gioco il bene per un meglio, collettivo, in cui lasciamo che l’io si perda nel tu e trovi spazio nel noi. Non più l’uso singolare dei tempi verbali, ma il plurale che permette di ampliare lo sguardo all’orizzonte. Come quel gruppo di quaranta persone tra le 67mila in piazza, che nelle difficoltà ha trovato tanti io che si sono fatti carico di tanti tu per formare un noi, che ha fatto di quell’«eppure» il baluardo di bellezza che si è trasformato in perla di altruismo.