Momcilo Jankovic viviamo in tempi difficili ci sono 60 guerre nel mondo, compresa quella ucraina, perché non possiamo convivere in pace, civilmente?
Viviamo in tempi difficili ci sono 60 guerre nel mondo, compresa quella fra Ucraina e Russia, perché non possiamo convivere in pace, civilmente?
«È una domanda molto attuale, ma anche molto difficile; si basa su quello che, purtroppo, neppure il Covid è riuscito a insegnarci: pensare agli altri ed essere altruisti. Ricordo che una bambina, un giorno in cui mi ero arrabbiato dicendo “lasciatemi in pace, non ho bisogno di nessuno”, mi disse: “Dr. Jankovic, lei però è presuntuoso”. Io sono rimasto sbigottito e le ho detto: “Ma come, ma perché?”. “Perché se nel mondo siamo così tanti, un motivo deve pure esserci, quindi lei non vive da solo e ha bisogno degli altri”. Questo mi ha fatto riflettere che l’assolutismo è quello che purtroppo scatena l’indipendenza, l’egocentrismo, quel “tanto sto bene io” che ci impedisce la convivenza. Le guerre hanno motivi più profondi, sicuramente economici, politici e sociali, però alla base c’è sempre l’egocentrismo. Se si pensasse veramente al bene della popolazione non potremmo assistere nel 2022 a delle stragi e a distruzioni massive, come sta accadendo. La riflessione che faccio tiene conto di questa mancanza di pensiero verso gli altri che oggi caratterizza la nostra società».
Come possiamo educare gli uomini a stare insieme nonostante le differenze culturali, sociali e religiose?
«La cosa più difficile oggi è il cosiddetto gioco di squadra, formare delle equipe di azione, cosa significa? Se crediamo che l’obiettivo che abbiamo sia volto a superare un ostacolo, a raggiungere come squadra degli obiettivi, dobbiamo omogenizzare il nostro comportamento; fare un passo avanti e senza dubbio essere anche capaci di fare un passo indietro; vuol dire rispettare il pensiero dell’altra persona e quindi valutarla e accoglierla. Facile a dirsi, difficile a realizzarsi. Nel mio lavoro, c’è sempre una dissociazione, una discrepanza; l’umiltà è quella che ci deve far vedere l’obiettivo comune, l’obiettivo deve essere lavorare insieme per raggiungere una comunione di intenti. Non è facile, soprattutto se ci sono culture e considerazioni religiose diverse, ma non penso sia impossibile. È difficile. Purtroppo oggi manca un po’ la capacità e soprattutto la volontà di coordinamento e di organizzare un lavoro; non è che io creda alla piramide; cioè a un capo e poi tutti i subalterni, però penso che le direttive deve tenerle una persona di competenza. Sembra utopia, ma per me non lo è. Servirebbe lo sforzo di farlo; al momento la tecnologia non ci aiuta, dovrebbe farlo ma non lo fa, e questo rende tutto più difficile».
Momcilo Jankovic sull’altruismo
Quanto conta l’altruismo per la convivenza?
«È tutto. Se ognuno pensasse concretamente a chi gli sta accanto con la capacità di pensare che c’è l’altro, ti rendi conto che non sei solo; se non sei solo e un disegno divino e umano esiste, pensi davvero che l’unione faccia la forza. L’unione, volta a un obiettivo comune valido; che tenga conto di una società costituita da tante persone; da tanti uomini che possono rendere più difficile e più arduo (ma non impossibile) il cammino. Penso che se tutti ci impegnassimo nel nostro piccolo a dare ascolto alle esigenze dell’altro, o se potessimo superare gli eventuali limiti che per condizioni sociali, culturali o religiose si possono presentare, ecco questo potrebbe effettivamente centrare l’obiettivo di vivere non pensando solo a se stessi, ma anche alla comunità come forza e come impegno».
Come si è trasformato nel tempo il significato della parola «altruismo»?
«È andato purtroppo peggiorando. Prendo in esame il Covid e la guerra in Ucraina; la pandemia che ci ha coinvolto personalmente e la guerra che ci tocca per conoscenza, ma che non ci coinvolge direttamente. Il Covid, nella sua tragicità, poteva essere un’occasione di crescita umana; difatti come medico dico sempre che la malattia può essere un’opportunità di crescita. La pandemia doveva essere lo stesso; doveva essere il motivo per accomunarci, invece purtroppo quello che ho visto è stata una grande fiera delle vanità; è stato un grande esibizionismo personale; un grande egoismo del tipo “io sto bene e non me ne frega degli altri”; per alcuni, la possibilità di calpestare i diritti e i doveri altrui. Non dimentichiamoci che molti durante la pandemia si sono arricchiti; non solo economicamente. Hanno anche guadagnato alte posizioni sociali, acquisendo una visibilità che prima non avevano. Questa non è una comunione di intenti, non è pensare agli altri. La parola altruismo, che è nata col concetto di rispettare la comunità, è andata svilendosi nel significato, e l’attuale guerra ne è un’ulteriore dimostrazione. Se analizziamo le pretese e le esagerazioni dei responsabili di questo conflitto, ci rendiamo conto che purtroppo la parola altruismo ha perso i suoi petali».
Sono cambiati, rispetto al passato, i valori sul quale si basa l’altruismo?
«Io ho 70 anni. Non sono vecchissimo ma neanche giovane; quando penso a quando ero ragazzino, effettivamente l’altruismo era diverso ed era basato su principi educativi che sono andati perdendosi nel tempo. L’educazione civica; il rispetto nei confronti degli altri; il considerare il lavoro di gruppo e quindi la fusione delle proprie energie, dei propri interessi, quand’ero giovane erano molto più spiccati di adesso. Oggi vedo una personalizzazione dell’attività; un risolvere i problemi quasi singolarmente; la ricerca del successo personale, e quindi ho visto senz’altro negli anni un decadimento e un progressivo perdersi di questi valori».