Io classe ’89 vi parlo della fatica che ho fatto per fermarmi e della felicità di ricominciare a camminare.
Fermarsi per camminare
Io classe ’89 vi parlo della fatica che ho fatto per fermarmi e della felicità di ricominciare a camminare. Sono nato e cresciuto nella società dei consumi. Un sistema, che crea bisogni indotti, che si basa sull’obsolescenza degli oggetti e sul finto bisogno che abbiamo noi di essi. Questo sistema spinge le persone alla ricerca di una felicità fittizia. Come se la nostra felicità potesse essere misurata in quanto possediamo; o in quanta invidia suscitiamo negli altri mostrando ciò che abbiamo o ciò che facciamo. Come tante formichine lavoriamo per poterci permettere acquisti di cui non abbiamo reale bisogno; alla ricerca di una felicità che così facendo si allontana sempre di più.
Di fatto il sistema si regge proprio sull’impossibilità di raggiungere quest’ultima o di essere appagati. Ciò ci impedisce di fermarci e ci spinge verso il prossimo acquisto, o nel mostrare l’esperienza che facciamo, più che a vivercela davvero. Ciò crea un profondo disagio perché ci sentiamo continuamente inadeguati in un mercato che corre sempre più veloce. Come belve insaziabili azzanniamo di qua e di là dei bocconi che non ci sfamano mai. E anche quando ne troviamo uno buono, non riusciamo a godercelo presi dalla smania e dalla frenesia della ricerca del prossimo. In questi anni ho trasformato la passione per le barche a vela e le regate, in un lavoro. Ho costruito quella che si direbbe una bellissima carriera lavorativa che mi dava la possibilità di essere autonomo sul piano economico.
Ho inseguito lo scintillio della vita mondana, le luci rosse delle serate senza limite, andando ad aumentare un vuoto che si ingrandiva dentro di me. Sempre più alla ricerca del limite, sono caduto nell’uso di sostanze che hanno ancora di più aumentato la fame dell’animale insaziabile dentro di me. Arrivato a questo punto, ho sentito la necessità di fermarmi e ho avuto la fortuna di trovare chi mi ha teso una mano per aiutarmi. Ho incominciato un cammino di rinascita presso la sede elbana di Exodus. Questo percorso comunitario mi ha dato la possibilità di fermarmi davvero; soprattutto mi sta aiutando a ricominciare a camminare in un modo e in una strada diversi da prima.
Ho fatto molta fatica all’inizio a prendere questa decisione. Nonostante ne sentissi il bisogno mi sentivo in colpa a rallentare in una società in cui si deve correre; inseguire una carriera, con lo scopo di aumentare il nostro possesso. Con questa mia decisione mi sono allontanato da tutto questo scegliendo non più il possedere ma l’esperienza. Esperienza non da mostrare sui social, ma da viversi profondamente. Da un anno quindi, vivo questa avventura comunitaria all’isola d’Elba e con gioia mi sono lasciato alle spalle l’uso di sostanze e di alcool. In questo cammino per essere libero e non dipendente ho smesso con i vizi che imprigionano tanti miei coetanei, come le sigarette; soprattutto mi sono liberato dall’uso del cellulare, piaga dilagante in questa società.
Siamo difatti diventati dipendenti da questo strumento e spesso non ci rendiamo nemmeno conto di quanto ne siamo condizionati. Vivo a un ritmo più collegato alla natura che stona con la frenesia che troviamo nelle nostre grandi città. Ho così ritrovato la gioia per le cose semplici. Attraverso la dinamica con gli altri sto imparando ad ascoltarmi e a capire meglio i miei bisogni e stati d’animo. Non sto vivendo da eremita ricercando un distacco da questa società, anzi, sto coltivando i semi e costruendo un progetto per rientrarci in maniera più salutare e umana, con lo scopo di vivere meglio io e di contagiarla verso una direzione più giusta. Vorrei una società che fosse più indirizzata verso i reali bisogni delle persone, in cui le persone non debbano indossare delle maschere per stare al passo di un sistema malato. Scegliere questa esperienza mi sta arricchendo.