Disabili, handicappati, diversamente abili, qual è la giusta denominazione per definire una persona che si trova al di fuori dal concetto di «normalità»? Tutti gli appellativi vanno benissimo, perché sono stati coniati non per giudicare la persona, ma per descrivere la situazione in cui vige. Sono quasi tutti termini tradotti dall’inglese, disabile deriva da disable e handicappato da handicap, l’unico di origine italiana è diversamente abile.
Molte persone hanno timore a usare questi vocaboli nei confronti di chi ha un handicap ma non sanno che molto spesso non sono le parole a ferire, ma i gesti. Sono i gesti che affondano la lama nelle cicatrici, l’indifferenza è una poesia che ci viene spesso dedicata; quando siamo in giro con qualche amico/a tutti si rivolgono a lui/lei perché nessuno vuole perdere tempo a parlare con chi magari ci mette un po’ di più ad esprimere il proprio pensiero. A volte, quando chiediamo aiuto, la gente pur di non fermarsi e dimostrare di non avere un briciolo di umanità, accelera il passo, oppure fa finta di ricevere una telefonata. Il disabile inoltre, è considerato alla pari di un vegetale, intorno alla sua figura sono stati costruiti molti tabù, la mitologia popolare narra infatti, che un disabile non può vivere da solo, non può viaggiare in autonomia, non può conoscere cos’è l’amore di coppia e soprattutto non può mettere al mondo dei figli.
Capirete bene che sono questi comportamenti e preconcetti, nati dalla scarsa conoscenza, a sentenziare la vita sociale di un disabile, e non di certo delle terminologie assolutamente innocue. Il portatore di handicap è costretto, dunque, a dimostrare con le sue forze giorno dopo giorno, di poter condurre una vita assolutamente normale. La differenza è che la persona diversamente abile deve ingegnarsi per sopperire alle sue difficoltà.
Andrea Bocelli, nel film La musica del silenzio, per far capire questo concetto dice: «Se gli altri riescono a superare un ostacolo, io devo superare una montagna, se gli altri montano un cavallo, io devo cavalcare una tigre, se voglio essere come gli altri devo essere molto meglio di loro». La vita di un disabile non è tutta rose e fiori, eppure ognuno trova il modo di vivere la propria quotidianità normalmente, ogni tipo di handicap con un po’ di astuzia e di esperienza diventa solo ed esclusivamente un compagno di viaggio. Mi piace paragonare le persone handicappate a degli ingegneri meccanici, a dei bodybuilder, a degli orologiai. Ingegneri meccanici, perché per vivere dobbiamo trovare i giusti ausili, le combinazioni ideali tra i limiti fisici e una meccanica che viene incontro alle nostre esigenze; una persona, se non trova modo di esprimere il suo potenziale, è paragonabile a un tesoro sotterrato nelle viscere della terra, i giusti ausili e di conseguenza la meccanica in generale, sono come un minatore che dona nuova vita all’oro.
Bodybuilder, perché bisogna sfruttare al massimo ogni singolo senso, ogni singolo muscolo per far sì che la parte compromessa non diventi indispensabile; alcuni tipi di esercizi, alcune allenamenti mettono a dura prova il fisico, ma soprattutto la mente e la volontà: il 99% dei disabili non si allena per partecipare a Mr. Olympia, si allena per conquistare nuovi gradini di autonomia e quando riesce a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato, si sente un po’ come Arnold Schwarzenegger. Un disabile è un orologiaio, perché in un’era dove il tempo è il padrone del mondo, deve trovare le giuste azioni che gli permettano di recuperare minuti preziosi annullando i ritardi causati dai vari deficit. Chiamateci Handicappati, Disabili, Diversamente abili, ma prima di elaborare pregiudizi, immedesimatevi nelle nostre vite. Io mi sento diverso da tutti, io mi sento di aver raggiunto i miei obiettivi, chiamatemi dunque Schwarzenegger.