L’incontro “IL CENTRO DEL MONDO, Italia nell’arte e nella cultura” ha avuto come protagonisti Maria Cristina Messa, Ministro dell’Università e della Ricerca durante il governo Draghi. Le sono state poste alcune domande sull’università e l’istruzione.
di Alice Nebbia
L’incontro “IL CENTRO DEL MONDO, Italia nell’arte e nella cultura” ha avuto come protagonisti Maria Cristina Messa, Ministro dell’Università e della Ricerca durante il governo Draghi. Le sono state poste alcune domande da parte dei rappresentanti di diverse fondazioni e redazioni. Tra queste anche quella de Il Bullone, Eleonora Lorenzini, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali Politecnico di Milano; Luisella Mazza per Google Arts&Culture; Francesca Sborgi della Galleria degli Uffizi di Firenze, Gabriel Zuchtriegel, Direttore Parco Archeologico di Pompei. Mediatore dell’incontro il professor Luciano Floridi.
In termini di accessibilità e inclusione, su quali aspetti dovrebbero lavorare maggiormente le università italiane?
«L’inclusività nelle università italiane è cresciuta negli ultimi anni. Così come i finanziamenti per il diritto allo studio; l’esclusione del pagamento delle tasse universitarie per coloro che hanno ISEE più bassi; l’aumento delle borse di studio grazie al PNRR e crescerà; credo in maniera veloce la possibilità di affittare stanze a costi non proibitivi come spesso accade. Accesso e inclusione sono due punti fondamentali su cui lo Stato deve continuare a investire. Oggi siamo cresciuti nel dare più possibilità di accesso a tutti, ma credo si possa migliorare ulteriormente. Accesso da migliorare e da garantire a tutti, non solo in termini economici ma anche di ricchezza nel vivere l’esperienza del campus universitario; poter sperimentare tutte le opportunità che l’università può dare. L’insegnamento a distanza ha fatto risvegliare la voglia di vivere l’insegnamento in presenza».
È vero che il problema del carente rapporto tra impresa e territorio è uno dei motivi per cui i giovani sono in difficoltà nella scelta e, in generale, nella prosecuzione degli studi?
«È una delle motivazioni che da un lato ha perso peso perché le università si sono maggiormente inserite nei territori rispetto a dieci anni fa; c’è molta attenzione al territorio e all’orientamento al lavoro. Al tempo stesso, si è però creato un fenomeno di sfiducia sulle opportunità che è in grado di offrire una laurea o un determinato territorio. Direi anche un senso di disorientamento. Un punto fondamentale oggi è lavorare con i giovani delle scuole superiori. Ma anche prima, partendo dalla scuola primaria, per costruire percorsi con i ragazzi; orientandoli in un mondo ormai senza confini. Ci sono vocazioni che però non trovano riscontro; né nell’idea di un lavoro futuro, né nella possibilità di trovare un percorso formativo. Infine, c’è una grande preoccupazione sull’autonomia e sull’indipendenza che un lavoro può dare. Questo è particolarmente rilevante nell’ambito della cultura e dell’arte».
Ci può spiegare alcuni fenomeni come quello dei Neet, del numero di laureati in Italia, in calo rispetto all’Europa e il numero considerevole di ragazzi che abbandonano gli studi alle superiori?
«I Neet sono un fenomeno particolarmente grave nel nostro Paese. Dilagato anche a seguito della pandemia e rappresentano una criticità che deve essere assolutamente affrontata. Credo esista un bisogno di comunicazione verso i giovani diverso da quello a cui siamo stati abituati. Una comunicazione che viaggia sui social, che può sembrare superficiale ma non lo è necessariamente. Esiste anche un problema di attrattività; non solo nelle università, ma anche nei centri di formazione e negli istituti tecnici superiori. Devono essere più attrattivi. Devono convincere i ragazzi a intraprendere gli studi; questi serviranno loro sia a livello individuale, che di soddisfazione e ambizione personale. Per diventare più attrattivi bisogna pertanto lavorare su un’offerta formativa più brillante, più vivace e più trasversale; in grado di dialogare con un territorio locale e internazionale».
Una partita importante che possiamo giocare riguarda il patrimonio artistico e culturale del nostro Paese; non dovremmo puntare decisamente su questo per guadagnare un primato indiscutibile, anche nell’universo digitale dove siamo periferici?
«L’offerta formativa delle università a carattere umanistico ha un forte impianto a livello storico e culturale del nostro patrimonio. Non bisogna mettere in antitesi il percorso umanistico con quello delle discipline STEM, ossia scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Per un’offerta formativa flessibile bisogna saper valorizzare entrambi i percorsi formativi. Per esempio introdurre nei corsi d’ingegneria lo studio della filosofia; o nelle classi di laurea in lingua e letteratura straniera lo studio dell’elaborazione dei dati. L’Italia è conosciuta all’estero più per gli studi umanistici che non per quelli scientifici. Ciò non toglie che dal punto di vista scientifico sia comunque un grande Paese produttore di conoscenza scientifica. Gli studi legati al nostro territorio e al nostro patrimonio non possono prescindere dalla conoscenza tecnologica. Credo quindi che essere padroni di un sapere tecnologico sia indispensabile ai giovani che vogliono perseguire questo tipo di studi».
Ancora oggi pochi studenti si avvicinano alle discipline STEM, come si potrebbe incentivare lo studio delle materie scientifiche in Italia?
«Le lauree STEM sono un punto fondamentale; sul nostro territorio abbiamo una distribuzione molto disomogenea. Pochi corsi di laura STEM soprattutto nel Mezzogiorno. Le Università sono autonome e questo è un punto saldo. Recentemente abbiamo distribuito dei fondi aggiuntivi per l’assunzione di nuovi ricercatori e professori; caldeggiando anche il fatto di investirli per fornire agli studenti un maggior numero di lauree STEM. Il trend leggermente positivo di aumento relativo a corsi di laurea in informatica e ingegneria, credo sia insoddisfacente; ma assolutamente importante e da proteggere. A questo proposito abbiamo previsto un aumento delle borse di studio di tutti gli aventi diritto; ma le ragazze che si iscrivono alle lauree STEM hanno un ulteriore aumento del 20%. Possono apparire piccoli incentivi ma credo siano significativi».