Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro, autore del libro L’età tradita, dice che il tema è: quale futuro ci sarà per i ragazzi? Internet non c’entra e lo psicologo chiama in causa scuola e famiglia per l‘assenza di prospettive.
di Chiara Malinverno, B.Liver
Matteo Lancini è uno psicologo e psicoterapeuta esperto dell’età adolescenziale. Con la Fondazione Minotauro, da trent’anni si occupa di intercettare i bisogni dei più giovani, mettendosi in ascolto delle loro esigenze. Al Bullone parla di adolescenza, fragilità e fallimento e ammonisce: «Il problema dei ragazzi sono gli adulti, non è Internet».
Il fallimento fa parte della vita, ma cosa significa per un ragazzo fallire?
«Fallire è tutto. Siamo una società in cui l’individualismo e la competizione hanno avuto una diffusione straordinaria, alimentata dalle stesse istituzioni familiari, scolastiche e sociali che dicono di volerla contrastare. Tutto questo espone i giovani a ideali elevatissimi e quanto più l’ideale è alto, tanto più è facile cadere».
Il fatto che sia facile cadere non dovrebbe rendere accettabile il fallimento?
«La nostra società non tollera il fallimento. Ci sono enormi difficoltà a socializzare e a condividere il fallimento, tanto che fallire è considerato talmente devastante da spingere i ragazzi a voler sparire: c’è chi si isola dal mondo in un vero e proprio suicidio sociale, c’è chi si toglie la vita, lasciando vivo l’ideale da raggiungere, ma non la capacità di affrontare il fallimento insieme agli adulti di riferimento».
Chi ha la responsabilità di tutto questo?
«È la scuola, insieme con la famiglia, a doversi assumere la responsabilità del funzionamento dei ragazzi. Già dalla scuola primaria si inizia a inculcare nei ragazzi l’idea della competizione e questo, fondamentalmente, perché a nessuno importa più dell’altro. Se non si ha successo, popolarità, visibilità oggi è meglio scomparire».
Quindi, è la scuola la prima a sbagliare. Come deve fare la scuola per educare al fallimento?
«Bisogna rinunciare a una comodità scolastica spacciata per autorevolezza, in cui l’educazione al fallimento sembra passare dalla bocciatura e dalla sanzione. Ciò che serve ai ragazzi è trovare dei valori rispetto alla costruzione del sapere e alla crescita, capaci di contrastare la logica della competizione e di mettersi in ascolto.
Oggi ai ragazzi non serve una scuola che boccia, ma una scuola in cui trovare adulti con cui poter parlare».
“Oggi ai ragazzi non serve una scuola che boccia, ma una scuola in cui trovare adulti con cui poter parlare».
Matteo Lancini

Allora bocciare non ha senso? Eppure, vi è l’idea che più una scuola boccia più sia efficace.
«Bocciare non serve a nulla. Bisogna insegnare ai ragazzi a condividere le loro cadute e i loro dolori, senza voti continui. Il mio auspicio è che la scuola adotti un sistema valutativo capace di far comprendere al ragazzo i suoi punti di forza e di debolezza, abbandonando il ricorso a numeri e voti che non fanno che alimentare la competizione fra i giovani»
Dalle sue parole sembra emergere che il problema dei ragazzi siano gli adulti…
«In questo momento c’è una fragilità adulta senza precedenti. Perché un ragazzo oggi possa tollerare il fallimento, è necessario che gli adulti siano capaci di parlare del dolore e di dire che le cadute fanno parte della crescita e, persino, della scienza».
“è necessario che gli adulti siano capaci di parlare del dolore e di dire che le cadute fanno parte della crescita e, persino, della scienza».
Matteo Lancini
Invece gli adulti hanno paura di affrontare il dolore e, soprattutto, di parlarne con i ragazzi…
«Questo perché la nostra è una società che alimenta la competizione, ma rimuove il fallimento e il dolore. Pensate al tema della morte: con la pandemia, la morte è diventata protagonista, ma nonostante ciò, non si ritenuto di doverne parlare con i ragazzi. La morte è una delle grandi scoperte dell’adolescenza. Nonostante questo, gli adulti non parlano di dolore e di sofferenza con i ragazzi.
Le conseguenze di questa negazione sono tragiche: sempre più ragazzi penseranno alla morte e al suicidio e non avranno adulti con cui poterne parlare. Non è un caso che oggi molti ragazzi si suicidino con incidenti stradali pur di non far soffrire i genitori e gli insegnanti. Gli adulti oggi sono concentrati a pensare ai danni di Internet e sono troppo fragili per fare gli adulti e identificarsi con i bisogni dei giovani».
“La morte è una delle grandi scoperte dell’adolescenza. Nonostante questo, gli adulti non parlano di dolore e di sofferenza con i ragazzi.”
Matteo Lancini
Come si coniuga quanto ci ha detto con la propensione dei giovani a manifestare i propri disagi, rivolgendosi sempre più a psicologi e psicoterapeuti?
«Dobbiamo tener conto del fatto che le nuove generazioni sono molto più esperte in relazioni, rispetto ai giovani del passato. Questa attitudine a relazionarsi, insieme alla presenza di famiglie sempre più affettive, ha avvicinato i ragazzi a una cultura in cui parlare è ammesso. Così, quando un adolescente incontra un adulto che sa fare l’adulto ed è realmente disposto ad ascoltarlo e a identificarsi con i suoi bisogni, parla tantissimo. Il problema è l’assenza di adulti capaci di identificarsi con i bisogni del ragazzo».
Si torna sempre al tema per cui il problema dei giovani sono gli adulti…
«Oggi avanza una società un po’ oltre il narcisismo, in cui la fragilità adulta non solo non costruisce più sistemi ideali, ma fatica enormemente a pensare al bambino e ai suoi bisogni.
Oggi non viviamo più nella “società dell’ideale”, ma nella società del “sii te stesso a modo mio”, una società dissociata dove gli adulti fanno credere al bambino di star esprimendo sé stesso, ma in realtà sta crescendo esattamente secondo le modalità dei genitori. Non a caso, il corpo dei bambini oggi è tenuto sotto sequestro dalle angosce genitoriali che impediscono loro di muoversi, di saltare, di esprimersi.
Crescere così, per un bambino, significa prendersi carico della fragilità adulta e arrivare poi all’adolescenza senza sapere quale sia la propria identità, con un conseguente aumento delle ansie e della suicidalità».
Che adulti saranno gli adolescenti di oggi? Questo timore di fallire si ripercuoterà sulla società del domani?
«Anche il futuro è una grande fragilità per i ragazzi: non dimentichiamoci che l’idea di scomparire non deriva da traumi del passato, ma dall’assenza di prospettive future. Il tema è, quindi, non che adulti saranno domani i giovani di oggi, ma quale futuro ci sarà per i ragazzi.
Oggi gli adolescenti sentono che non c’è un posto per loro all’interno della mente degli adulti: non c’è una visione del futuro. Si pensi al fenomeno sempre più frequente per cui oggi molti ragazzi si ritirano completamente dalla vita sociale con la percezione, più o meno consapevole, che sia più conveniente rifugiarsi in Internet e nei videogiochi per costruirsi un futuro piuttosto che andare a scuola».
Il problema non è però Internet…
«Assolutamente, il problema non è Internet, ma la sensazione per cui non ci sia un futuro. Un ragazzo ha tanto futuro davanti, ma se lo vede come un luogo di fallimento, dove non c’è responsabilizzazione, ma solo una grande infantilizzazione allora si chiede che senso ha vivere».
Ci aiuti a capire cosa serve ai nostri ragazzi.
«Serve un’alfabetizzazione emotiva degli adulti.
Tutti si lamentano che manca un’alfabetizzazione emotiva dei ragazzi, ma questo non è dovuto altro al fatto che manca un’alfabetizzazione emotiva degli adulti. Agli adolescenti servono adulti capaci di identificarsi con loro, che abbiano realmente in mente i bisogni dell’altro. Non ha senso sanzionare i ragazzi, bocciarli, privarli di Internet o dei videogiochi. Questi sono tutti comportamenti che adottano gli adulti per evitare di agire sui bisogni profondi dei ragazzi.
Vi dico, riconsegnate il corpo ai vostri figli, avvicinateli a Internet e parlate con loro: ai giovani servono adulti capaci di identificarsi con l’altro. Puntate tutto sulla relazione».
“ai giovani servono adulti capaci di identificarsi con l’altro. Puntate tutto sulla relazione”
Matteo Lancini