di Fiamma C. Invernizzi, B. Liver.
Nudità, empatia, alleanza. Silvia Avallone la definisce così, una vera amicizia. Classe 1984 e originaria di Biella, circondata di divertenti ricci castani, ha un’energia luminosa che obbliga ad un immediato contagio. La voce squilla nel telefono, ricca di gratitudine ed emozione, in una conversazione che passeggia tra filari di letteratura e immaginazione.
Silvia, tu che scrivi di amicizia e ne racconti le più ampie sfaccettature, ritieni che anche i libri possano essere nostri amici?
«Per me il legame amicizia-letteratura è fortissimo. Forse, nella vita, l’amicizia è ciò che si avvicina di più alla letteratura. Ogni libro nella sua totalità – tra luoghi, personaggi e dialoghi – è capace di fare per noi solo quello che un grande amico è in grado di fare: permetterci di essere noi stessi, a nudo, nelle nostre fragilità.
Se ci pensi, un libro è proprio l’accesso all’invisibile. Quando leggiamo, quando conosciamo un personaggio e ci immedesimiamo, entriamo in contatto con la sua intimità più profonda. Ascoltiamo nelle anime letterarie i dolori e i segreti inconfessabili, senza curarci troppo del loro aspetto. Questo ci permette una relazione sincera, totale, autentica. Nessuno recita quando legge, così come non si può recitare all’interno di una valida amicizia».
“Ogni libro nella sua totalità – tra luoghi, personaggi e dialoghi – è capace di fare per noi solo quello che un grande amico è in grado di fare: permetterci di essere noi stessi, a nudo, nelle nostre fragilità.”
Silvia Avallone
Perché pensi che la letteratura e la lettura siano più che mai fondamentali nelle relazioni di oggi?
«Leggere serve a vivere nella misura in cui ti insegna l’empatia: tu impari a solidarizzare con i personaggi di un libro perché superi il loro aspetto, l’esteriorità e la competizione. Leggendo puoi diventare una, due o mille altre persone. Questo regala di volta in volta più attenzione, più ascolto e più cura dell’altro, anche nella vita reale.
E più ciò accade con i personaggi (e le persone), più accade anche con noi stessi. Mentre capisci i difetti del tuo personaggio, ecco che impari a perdonare anche i tuoi. Per questo la lettura ha una forza morale e politica ineguagliabile, che non ci isola (come fanno i social) ma ci unisce».
“Mentre capisci i difetti del tuo personaggio, ecco che impari a perdonare anche i tuoi. Per questo la lettura ha una forza morale e politica ineguagliabile, che non ci isola (come fanno i social) ma ci unisce.”
Silvia Avallone
Ecco, hai citato il mondo dei social, tema chiave all’interno del tuo libro Un’amicizia. Come avvicini questa realtà virtuale alla tua amata letteratura?
«Come puoi immaginare, quello dei social è un tema che mi ha molto interrogato. Ritengo che sia giunto il momento di liberarci completamente dall’idea che i social siano un fine per restituire loro la dimensione di semplici mezzi utili nella misura in cui sono al servizio della realtà.
L’essere umano non ne deve essere schiavo e deve avere la consapevolezza di usarli senza lasciarsi usare. Le più fondamentali esperienze della vita disubbidiscono alla logica del like, alla quantificazione numerica di cuoricini. Non dimentichiamolo.
L’amicizia è un’esperienza vivida e deve avvenire nella parola autentica, lontana dalla paura di piacere. Nella vera amicizia non v’è un interesse di seduzione; c’è invece la volontà di diventare sempre più liberi insieme, di esercitarsi nella ricerca della propria strada, di prendersi cura dei desideri e dei sogni dell’altro, accettandone l’interezza fatta di difetti e complessità.
Come ogni esperienza umana, l’amicizia ha bisogno di aria e di tempo, senza necessariamente bisogno di cose e, soprattutto, di like».
Tempo è una parola chiave nell’amicizia. Anche nei tuoi libri si raccontano storie di anime che si avvicinano e si annodano indissolubilmente, per poi allontanarsi, perdersi e, in qualche occasione, ritrovarsi…
«Guarda, io ho affrontato nello specifico l’amicizia durante l’adolescenza, che da sempre è il periodo di vita che preferisco da raccontare. Questo perché è una fase di grandi cambiamenti e di nuovi sogni: in un certo senso una seconda nascita che si alimenta di relazioni e alleanze ribelli fondamentali per il futuro.
È un tempo in cui si è contro tutto e tutti – i genitori, gli insegnanti, il sistema, gli obblighi – ed estremamente vicini al nostro migliore amico o amica, che ci fa sentire molto forti, quasi invincibili. Questo è un unicum dell’adolescenza che non sempre riesce a scavalcare nell’età adulta, momento in cui certi sogni si tradiscono, purtroppo. E come uno strappo, poi, si generano delle asimmetrie che difficilmente si colmano.
L’unico modo per mantenere stretto un rapporto è quello di riuscire ad accompagnarsi nel cambiamento, a patto di non possedersi mai, ma guardandosi come due libertà che camminano insieme. In questo, di nuovo, la letteratura ci viene in aiuto, rendendo il vivere un’esperienza più consapevole.
Noi non siamo i nostri singoli successi, le nostre singole paure. Noi non siamo delle istantanee, siamo delle storie. E in queste storie non siamo mai soli, perché la nostra vita non è narrata esclusivamente con la nostra sola voce. Siamo polifonie di complessità e l’amicizia si nutre proprio di questo: del nostro (im)perfetto racconto esistenziale».
Al concetto di tempo, nell’amicizia, possiamo anche legare quello di spazio. Esiste un luogo – o una dimensione – in cui le amicizie sono più strette e vere di altre?
«Per me, sulla vita, sui desideri, sulle paure e sulla storia, i luoghi hanno lo stesso impatto che ha la cerchia familiare più stretta. La realtà urbana in cui cresci è come se ti desse un genitore in più. Io sono una donna di provincia e sono cresciuta tra Biella e Piombino, per poi spostarmi a Bologna per l’università; così ho avuto modo di fare esperienza di contesti più o meno grandi, con il passare degli anni.
Inevitabilmente una piccola cittadina ti avvicina. Le vie, le piazze o gli spazi di ritrovo sono sempre gli stessi: se da un lato il senso di comunità e prossimità è molto forte, dall’altro è altrettanto forte quello di limitazione e (quasi) di soffocamento, soprattutto durante l’adolescenza. Ed è proprio per questo che le amicizie in quei luoghi sono quelle che ti portano a sognare di fuggire insieme, verso un mondo diverso, una città più grande, più stimolante e ricca di sfide da affrontare in compagnia.
A Bologna, poi, le relazioni di amicizia le ho vissute intorno al mondo dell’istruzione, tra studentati e biblioteche, in una dimensione che è sempre rimasta più intima rispetto a quella della città».
Biblioteche e luoghi riservati in cui i tuoi personaggi crescono e rafforzano la loro voce anche grazie alla letteratura. Ragazze che si fanno donne, accompagnate da una grande scrittrice, che è anche la tua preferita: Elsa Morante. Come entra questa componente femminile nelle tue parole?
«Prima di tutto ti confesso che sono convinta che la bellezza della scrittura sia proprio quella di potersi regalare le vite degli altri e quindi la possibilità di poter essere chiunque. A me piace molto la libertà di immedesimarmi in un personaggio, che sia esso uomo o donna, giovane o anziano, per raccontarne la complessità.
Detto questo, ho sperimentato sulla mia pelle lo stereotipo violento che purtroppo esiste nei confronti del genere femminile. Proprio per questo, ho voluto dar voce a dei personaggi che andassero contro la semplificazione dell’immagine della donna come una cosa sola. O siamo madri, o figlie, o lavoratrici, quasi mai ci è concesso di essere tutte queste cose insieme.
Siamo sempre giudicate, sotto esame, chiamate a fare un passo indietro, a sorridere, a piacere senza avere nostri piaceri, ad essere desiderate senza desiderare. La letteratura in questo offre un gigantesco strumento di liberazione.
Elsa Morante ne è un perfetto esempio. Lei, sempre controcorrente per pubblicazioni e modi di fare, alloggia nei suoi libri delle donne meravigliose, che non sono eroine. Sono invece delle donne complesse, sfaccettate, composte da tasselli differenti e stupefacenti, che raccontano un realismo composto anche di tabù, di cattiverie e difetti.
Solo così, l’immagine delle donne di Elsa Morante è davvero libera, lontana dalle maschere di – considerandone gli estremi – sante o poco di buono, che semplificano la complessità dell’universo femminile. Non più oggetti, non più gingilli o figure secondarie, con lei le donne tornano ad essere persone. Non dimentichiamolo mai».