di Lorenzo Carpanè, B.Liver
Conosco S. da quando eravamo al liceo. Abbiamo condiviso l’alloggio universitario. Mi ha fatto da testimone di nozze. Lui conosce di me ciò che nessun altro conosce, mi sa interpretare meglio di quanto possa fare io. E la cosa è reciproca. Un paio di volte al mese facciamo colazione insieme e ci parliamo, discutiamo. Un tempo, molto di politica, da un po’ di anni di vita e di morte, del senso della vita, del valore della morte, fisica e interiore.
“Conosco S. da quando eravamo al liceo. […] Lui conosce di me ciò che nessun altro conosce, mi sa interpretare meglio di quanto possa fare io
– Lorenzo Carpanè
Sono, i dialoghi fatti con lui, un concentrato di senso e di valore, sono una parte fondamentale della mia vita. Ogni volta, quando se ne va, rimango con la percezione chiara di essere stato nella pienezza della vita. Anche se parliamo di morte. Bel paradosso, vero?
Ciò che ci lega non è un’ideologia, una percezione razionale della vita: abbiamo visioni diverse, abbiamo sentimenti diversi dell’esistenza e dell’umanità. Ciò che facciamo è ascoltarci, proporre, entrare in sintonia del reciproco sentire.
Ora, in nome dell’amicizia e della stima che nutro per lui, mi piacerebbe, vorrei spiegare qual è il suo senso delle cose, la sua anomalia che me lo fa, a ragione, con la ragione, definire un caso assolutamente unico, un’eccezione, un granello che inceppa la macchina dell’Essere.
Ma…
Ma non voglio farlo. Perché ogni spiegazione, ogni narrazione di ciò che S. è, di ciò che pensa sarebbe una banalizzazione, una riduzione al semplice di ciò che invece è così complesso e articolato e che si nutre di un insieme di passioni, sentimenti, ragioni che sfuggono alla mia capacità di rappresentazione.
O forse sfuggono e basta. Perché l’amicizia, come l’amore di cui è una manifestazione, è di per sé indicibile. È, c’è, e basta. Non può essere spiegata.
“Perché l’amicizia, come l’amore di cui è una manifestazione, è di per sé indicibile. È, c’è, e basta. Non può essere spiegata.“
– Lorenzo Carpanè
L’amicizia non vive di parole. Vive forse di azioni? Sì, si potrebbe pensare. S. è anche quello che, mentre ero in ospedale, venne a trovarmi e a farmi ridere così tanto che l’infermiera di turno venne a unirsi al coro.
Ma l’amicizia, al fondo, non è nemmeno questo. Per capirla, possiamo fare solo delle approssimazioni o trovare delle similitudini. Per essere poetici potremmo ricorrere a una serie di immagini: è fatta delle sostanze di cui sono fatti i sogni o le stelle. È pura energia, come il bosone di Higgs; è materia e antimateria, è luce, è la forza primordiale, il big bang da cui tutto ha origine. È il peccato originale e insieme la salvezza originale.
Ma sto divagando. È che non riesco a essere più preciso, non trovo la formula che la definisca. Ho provato a raccontarla, ma le parole sono riuscite deboli, le immagini fiacche, i suoni striduli.
Non mi rimane allora che ripensarla e riviverla dentro di me, custodirla e curarla come il più grande dei doni, quella forma d’amore che muove il sole con le altre stelle e che muove anche noi, verso l’altro, senza chiedere nulla, senza pretendere nulla. Quella che ti fa stare in una pace piena e non vuota. Quella che è, semplicemente è. Quella che, anche solo a provare di scriverne, dà pienezza di vita.