di Cristina Procida , B. Liver
Animenta è un’associazione no-profit che si pone l’obiettivo di sensibilizzare e informare sui Disturbi del Comportamento Alimentare. Attiva sul territorio italiano dal 2021, il suo lavoro coinvolge circa duecento volontari da tutta Italia tra professionisti, genitori e ragazzi che decidono di supportarne le attività attraverso le loro storie e competenze, provando a divulgare speranza e condivisione. La collaborazione tra Animenta e Il Bullone nasce dall’obiettivo condiviso di raccontare la vita dopo la malattia, ma anche dal tentativo di provare a interpretare o reinterpretare il mondo con cui si interfacciano i ragazzi di oggi, soprattutto in caso di vissuti importanti, partendo, in primis, dalle loro parole. Rubrica scritta e curata da Cristina Procida.
Quando parliamo di coraggio, riferendoci ai Disturbi del Comportamento Alimentare, dobbiamo ricordarci sempre quanto ce ne vuole per sciogliere la mano dalla malattia e stringerla a qualcuno che ci vuole aiutare davvero; quanto complesso sia riuscire a vedere la verità.
Il confine è labile: la malattia ti pone davanti a ciò che Lei ritiene coraggioso, come digiunare, restringere, abbuffarsi e compensare. Così, l’intero concetto di coraggio viene stravolto e ribaltato.
Alice, però, è guarita. E per questo ci tiene a fare una riflessione importante:
«Non sono soltanto ciò che avete fatto di me.
Vorrei essere le mie nuove scelte consapevoli,
il mio intrepido coraggio di rinunciare,
la forza fragile di dire no,
la debolezza disarmante di dire «Ho paura»,
l’umana accettazione di afferrare una mano protesa,
prima vederla, riconoscerla,
poi non incolparla,
magari accarezzarla e dirsi che, in fondo, io ne ho bisogno. Che anche io me lo merito.
Smetterla di far finta di non aver mai bisogno di niente per poi maledire tutto quello che ho.
Frenare la macchina in corsa della tua vita in cui ti senti solo e soltanto un passeggero, e mettersi finalmente al volante. Decidere la destinazione.
Ho voluto così tanto andare dove qualcun altro voleva andare, essere come qualcun altro voleva essere.
(…)
Ho fissato fuori dal finestrino, inerme, e desiderato essere proprio
uguale uguale
alla figlia del vicino,
quella che ha fatto le valigie e se n’è andata a vivere a Dublino.
Solo che io, se sono io, ho paura.
E così ho finto tanto a lungo di essere diversa che alla fine ci ho creduto anch’io. Io non ho più paura di niente. Io non ho più bisogno di nessuno.
(…) Dicotomie costanti, equilibri precari, vivere in bilico tra un treno che sta partendo e uno che è già andato via. Dove vado adesso?
Fermarmi, fare un passo indietro, essere sincera con me stessa.
Oggi io ricomincio da me».
A volte, essere coraggiosi significa accettare la mano che ti viene porta in segno di aiuto. Anche quando ti sembra di non averne bisogno; soprattutto quando la tua visione di come la vita dovrebbe scorrere ha contorni poco lucidi, sfocati, indefiniti, quasi ti mancassero gli occhiali. E così ce lo racconta Alice: Il coraggio di chiedere aiuto. Il coraggio di dire «Ho paura», e l’intrepido, ma fortissimo, coraggio di rinunciare.