di Riccardo Berton, B.Liver
Il giovane B.Liver Riccardo racconta la sua lotta contro una malattia complessa, una lesione spinale. Leggi la sua storia!
«A volte sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno può immaginare», (The Imitation Game).
Un’operazione difficile appena nato, i medici non sapevano se sarei stato in grado di camminare. Poi un giorno è successo, un segno che forse qualcosa era già scritto.
Un segno che forse qualcosa era già scritto…
Sono Riccardo e sono nato con una lesione spinale; nella mia vita ho affrontato ostacoli sin dall’inizio, ho attraversato molti momenti di crisi in cui mi chiedevo perché gli altri mi evitassero, perché mi guardassero; per anni sono stato visto da molte persone come il classico «poverino» incapace di fare le cose che facevano i miei coetanei e per questo venivo escluso, lasciato in un angolo.
Fino all’adolescenza i miei «amici» sono stati principalmente di famiglia, persone adulte, se devo trovare qualcosa di positivo in questo, è forse il fatto che ciò mi ha aiutato a sviluppare una mentalità diversa e a crescere prima del tempo.
Per chi ha visto il film, alle elementari la mia vita è stata come quella del bambino di Wonder, ho sperimentato da subito cosa vuol dire subire atti di bullismo in un’età in cui non si hanno ancora tutti gli strumenti necessari per elaborare quello che sta accadendo.

Dopo la parentesi felice delle medie, tra liceo e università speravo ormai di poter riporre fiducia nelle persone e nella loro capacità di vedere in modo diverso la disabilità, ma evidentemente mi sbagliavo, anzi, al liceo ho vissuto forse la fase più buia con alcuni ragazzi che mi oscillavano dietro imitando il mio modo di camminare e mi insultavano. È stato disarmante sentire che si giustificavano dicendo che non pensavano di aver fatto nulla di grave.
Per finire, il mio «felice» percorso di studi si conclude con l’università in cui pochissimi si sedevano vicino a me e alcuni manifestavano invidia per il fatto che riuscivo a raggiungere i loro stessi risultati, cosa per loro inspiegabile.
Le azioni degli altri
Quello che le persone non capiscono è che gli effetti delle loro azioni su di noi permangono e ci vogliono molti anni per uscire dal nostro «nascondiglio» creato sulla base del loro comportamento, e ciò influisce su tutto il resto, compresa la difficoltà di sviluppare relazioni con le persone a tutti i livelli.
Da entrambi i punti di vista è solo una questione mentale: da una parte, fortunatamente, oggi anche la società è in larga misura cambiata, c’è una nuova consapevolezza su cosa sia la disabilità, una sensibilità maggiore rispetto alla tematica dell’inclusione e sono cambiate anche le conoscenze scientifiche rispetto al destino infausto ipotizzato anni prima; dall’altra, con l’avanzare dell’età si valuta in maniera diversa la propria situazione e si sviluppano dei punti di forza per cui si riesce poi ad essere apprezzati; una delle cose più difficili è stata mantenere il sorriso, cosa che molte persone continuano a riconoscermi tuttora.
In risposta a tutti quelli che non avrebbero scommesso nulla su di me, il «poverino» oggi si è laureato, nuota, partecipa a gare di pesca sportiva, guida, lavora, fa volontariato… e prova a scrivere anche articoli di giornale!
Oggi, mentre andavo al lavoro, è passata in radio la mia canzone preferita e ogni volta mi fa pensare a quello che ho attraversato dalla prima volta che l’ho sentita e alla persona che sono. Ho avuto in primis la fortuna di sviluppare quella «forza silenziosa» citata in Wonder che mi ha aiutato a non cadere nell’autocommiserazione e a cedere, e sicuramente è stata fondamentale la vicinanza della famiglia e degli amici vecchi e nuovi, alcuni dei quali mi hanno rivelato di essere stato per loro un riferimento, mentre attraversavano periodi bui, per il fatto che io ce l’avevo fatta.
Per concludere, volevo condividere con voi questa frase che mi ha fatto molto riflettere:
«Se poniamo a confronto il fiume e la roccia, il fiume vince sempre non grazie alla sua forza ma alla sua perseveranza», (Buddha).