di Fiamma C. Invernizzi, B.Liver
La B. Liver Fiamma ha intervistato Riccardo Sorrentino, giornalista del Sole 24 Ore e Presidente dell'ordine dei giornalisti della regione Lombardia, il quale riconosce l'importanza del giornalismo sociale in Italia e in Europa.
Esiste una data, nella storia della cultura italiana, in cui il sapere umano ha fatto una capriola, invertendo la rotta di marcia.
Nel 1564 – e ancor più precisamente a tre giorni di distanza, il 15 febbraio e il 18 febbraio – nasce Galileo Galilei e muore Michelangelo Buonarroti. È il momento esatto in cui il mondo della scienza e del calcolo «uccidono» l’umanesimo, separando piano piano i saperi in compartimenti stagni che, con il passare dei secoli, smettono di dialogare.
Lo spirito ritorna appannaggio della religione, la letteratura dei letterati e il computo traduce l’essere umano in un lavoratore instancabile, affamato di numeri. In questo eccesso di sviluppo (in)sostenibile, alla ricerca di autenticità e di un Homo humanus oltre che sapiens, il giornalismo di settore diviene emblema di una nuova inversione di marcia in direzione di un rinnovato umanesimo contemporaneo. Parlarne con Riccardo Sorrentino, giornalista del Sole 24 Ore e Presidente del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti, è un onore.
In un tempo in cui parole come incertezza e fragilità sono all’ordine del giorno, che valore può avere il giornalismo sociale?
«Il giornalismo sociale, quando è autentico come nel caso del Bullone, è un arricchimento molto importante per il giornalismo tradizionale, che si trova ad affrontare dei temi nuovi, tra cui proprio quello dell’incertezza. La pandemia più di ogni altra cosa ha dimostrato come il giornalismo debba fare i conti con questa incertezza, trovandosi nell’impossibilità di dare delle risposte assolute.
C’è una gran fame, oggi, di certezza. È una cosa reale, seria e non va dimenticata. Il giornalismo sociale, in questo, può dare un contributo importante proprio per la sua funzione di grande apertura nei confronti di quel segmento di società civile e del mondo che un tempo non faceva parte della torre d’avorio del giornalismo tradizionale».
Quali sono le caratteristiche che deve avere un giornalista sociale, oggi?
«Ciò che risulta fondamentale è acquisire sempre maggiori competenze. Quella del giornalista diventa sempre di più la figura di un traduttore culturale: qualcuno capace di tradurre le competenze degli esperti nel linguaggio di altre persone, magari esperte in altri settori. In questo senso, il giornalista sociale si trova ben attrezzato, poiché attinge spesso a un mondo – o a più realtà – che non sono strettamente legate al settore professionale».
Il giornalismo sociale – caro a noi del Bullone – tratta spesso temi come la solidarietà e il dialogo, che non sempre saltano alla mente quando si tratta di giornalismo tradizionale. Come possono intrecciarsi queste due strade?
«Il giornalismo sociale può davvero fare molto in questo senso, essendo naturalmente aperto nei confronti di ciò che non fa parte del mondo del giornalismo tradizionale, in cui talvolta domina un cinismo un po’ sterile che proprio non aiuta.
Nel mondo anglosassone è profondamente riconosciuta la forma di giornalismo dell’advocacy journalism, che adotta in maniera trasparente un punto di vista di parte, sebbene basato sui fatti, per scopi sociali. Non ha una traduzione letteraria in italiano che ne trasmetta accuratamente la raffinatezza, purtroppo. È il momento che il giornalismo sociale e tradizionale si “incontrino”.
O, meglio ancora, più che di incontro, intenderei parlare di concorrenza. Quella buona. Quella che stimola la corsa insieme, affiancati, con modalità diverse, in un continuo stimolo a migliorare. È tempo che qualcuno si renda conto del fatto che esiste un altro modo di fare le cose, di raccontarle e portarle alla luce».
All’InVisibile Festival – svoltosi lo scorso 20, 21 e 22 ottobre presso gli IBM Studios di Piazza Gae Aulenti – è stato presentato il Bullone.eu, una nuova testata, nonché un progetto pilota per sviluppare un magazine sociale europeo costruito sull’incontro e sul dialogo, che parte proprio dall’esperienza del Bullone. Lo abbiamo fatto con grande entusiasmo ed emozione, ascoltando non solo le parole nel nostro fondatore, Bill Niada, ma anche quelle del commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, e il consigliere per la stampa e la comunicazione della presidenza della Repubblica, Giovanni Grasso. A suo parere, che valore ha questo lancio?
«Sono contento di vedere anche altre iniziative – differenti da quella del Bullone e ancora poco conosciute – muoversi in una direzione simile a questa. Percepisco – e ormai è lampante – una necessità sempre maggiore di avere stampa e dei canali media di qualità, capaci di affrontare sempre di più e sempre meglio la pluralità dell’Europa. Progetti che superino i confini e i limiti dati dalle pluralità linguistiche e culturali.
Per questo motivo auguro grande successo e futuro a questo importante progetto del Bullone, in tutte le sue forme e scale. Come dicevo, il nostro caro e vecchio continente risulta ancora molto segmentato dal punto di vista dei media, e una soluzione va al più presto trovata. Condividere esperienze simili – come può fare il Bullone – permette di incontrarsi in un terreno comune sempre fertile, in grado di trasformare l’Europa da un recinto a una rete di confronto costruttivo. Manca ancora l’Europa dei cittadini, ma il cambiamento è ormai in atto e il Bullone ne è un tassello fondamentale».
“C’è una gran fame, oggi, di certezza. È una cosa reale, seria e non va dimenticata. Il giornalismo sociale, in questo, può dare un contributo importante proprio per la sua funzione di grande apertura nei confronti di quel segmento di società civile e del mondo che un tempo non faceva parte della torre d’avorio del giornalismo tradizionale.”
– Riccardo Sorrentino