Animenta: “Non c’è bisogno di parlare, basta uno sguardo.”

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Animenta, no-profit che informa e sensibilizza sui DCA, è animata dai suoi volontari. Ecco cosa pensano alcuni di loro di questa famiglia "allargata"

di Cristina Procida, B. Liver

Animenta è un’associazione no-profit che si pone l’obiettivo di sensibilizzare e informare sui Disturbi del Comportamento Alimentare. Attiva sul territorio italiano dal 2021, il suo lavoro coinvolge circa duecento volontari da tutta Italia tra professionisti, genitori e ragazzi che decidono di supportarne le attività attraverso le loro storie e competenze, provando a divulgare speranza e condivisione.
La collaborazione tra Animenta e Il Bullone nasce dall’obiettivo condiviso di raccontare la vita dopo la malattia, ma anche dal
tentativo di provare a interpretare o reinterpretare il mondo con cui si interfacciano i ragazzi di oggi, soprattutto in caso di vissuti importanti, partendo, in primis, dalle loro parole. Rubrica scritta e curata da Cristina Procida.

Una famiglia

Per molti, me compresa, Animenta non è solo un’associazione o un modo per attirare l’attenzione su un problema, ma è una famiglia. Una famiglia in grado di farci sentire collegati, «un filo rosso che ci unisce», mi dice Caterina, una volontaria che conosco da tempo e che seguo sui social da altrettanto, dove ha condiviso la sua recovery e dove parla della sua esperienza:

«Animenta mi ha aiutata tantissimo per due motivi: per parlare in pubblico della mia storia, ad esempio, perché finché ne parli con qualcuno che ha vissuto la stessa cosa è facile, invece parlare con qualcuno che non sa è più complesso. Vi è sempre il timore di non essere capiti, di essere giudicati o presi in giro.

Animenta mi ha aiutata a capire qualcosa di più sulla mia malattia. Mi ha aiutata il senso di collettività perché ti senti a casa; a volte non c’è bisogno di parlare perché basta uno sguardo, basta un abbraccio. Un filo rosso che unisce tutti i cuori. Negli abbracci e nelle strette di mano senti tutto: capisci che non sei sola. Anche se ti sei sentita così».

Animenta ha colmato, anche per me, il vuoto lasciato dalle istituzioni e dagli specialisti: quello della solitudine estrema di chi soffre di disturbi del comportamento alimentare, trasformando la rete di volontari sparsi sul territorio in una grande famiglia allargata.

Anche Federica, un’altra volontaria, la pensa così: «L’associazione mi è stata d’aiuto per comprendere meglio ciò che mi è accaduto e per conoscermi meglio come persona. Mi ha aiutata anche tanto come professionista, però: io sono un’educatrice, e ho trovato in Animenta dei valori che condivido in pieno, e rafforzarli nel mio lavoro da volontaria, ha fatto sì che si rafforzassero anche nel mio lavoro personale. È una grande famiglia. Sono molto felice di far parte di un’associazione che si occupa di parlare agli altri come vorrebbero che gli altri parlassero a noi».

E per quanto riguarda l’importanza di ridefinire i contorni del proprio vissuto, dice: «Animenta mi ha aiutata a ridefinire la mia storia, dando un senso a elementi che prima erano confusi. Un approfondimento sia su di me come persona, che sulla mia malattia».

E Kevin, che abbiamo conosciuto prima, volontario con un grosso senso dell’aiuto per gli altri, definisce Animenta come una casa senza giudizio e tanto amore. Un posto dove essere accolti e dove essere sé stessi: «Mi sento proprio un pezzo di famiglia, una mentuccia insieme ad altre mentucce meravigliose. Animenta ha dato un grandissimo sprint alla mia vita sotto tantissimi aspetti. Eternamente grato a questa grandissima famiglia».

“a volte non c’è bisogno di parlare perché basta uno sguardo, basta un abbraccio. Un filo rosso che unisce tutti i cuori. Negli abbracci e nelle strette di mano senti tutto: capisci che non sei sola. Anche se ti sei sentita così.”

– Caterina, volontaria di Animenta

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