di Lisa Roffeni, B.Liver
Francesco Battistini è un inviato del Corriere della Sera. Da quasi trent’anni scrive prevalentemente di Balcani, Europa dell’Est, Medio Oriente e Nord Africa. È stato corrispondente da Gerusalemme e ha raccontato una dozzina di conflitti, dall’Afghanistan all’Iraq. Lo hanno intervistato alcuni B.Liver circa le condizioni di guerra in Ucraina e sulla striscia di Gaza.
A Gaza hanno ucciso 35 giornalisti, possiamo chiamarla “una prigione a cielo aperto”
Giancarlo Perego: Francesco Battistini chi è? Oltre ad essere un collega e soprattutto un grande amico, ha fatto per anni il corrispondente per il Corriere della Sera, cominciando con la guerra in Bosnia a Sarajevo; successivamente in Afghanistan e Iraq. Recentemente è stato uno dei primi a seguire lo scontro, ed è tornato nei giorni scorsi dal Medio Oriente. Essendo un inviato di guerra, ha girato il mondo e credo che lo conosca bene. La prima domanda gliela pongo io, per rompere un po’ il ghiaccio: hanno ucciso trentacinque giornalisti, in questi giorni. C’è da avere paura?
Francesco Battistini: Sì, è pericoloso ovviamente per i colleghi palestinesi che stanno dentro, perché tutti i giornalisti morti sono morti a Gaza. Come sapete, è una situazione molto particolare, purtroppo, possiamo chiamarla prigione a cielo aperto; insomma, è un posto dove si sta chiusi lì dentro e quindi i colleghi palestinesi, che sono gli unici che in questo mese hanno garantito le informazioni internazionali, non sempre imparziali, devo dire, sono coraggiosissimi. Non è facile fare il giornalista a Gaza.
Hamas è comunque un regime, e come tale l’informazione libera non è ammessa, quindi è complicato. Nonostante questo, vi ricordate l’episodio dell’ospedale bombardato una settimana dopo l’inizio della guerra? Il balletto di cifre, la quantità di morti, per non parlare di tutta la discussione su chi avesse lanciato il razzo. Chi fa il giornalista sulla striscia, svolge il suo lavoro sul serio. È successo a molti di andare in ospedale e scoprire che tra le vittime erano presenti i parenti. A Gaza tutti si conoscono, quindi è normale trovare coinvolte persone che si conoscono.
Michele Fagnani: Secondo lei ci potrebbe essere il rischio di una terza guerra mondiale?
Francesco Battistini: In qualche modo è già in corso. Naturalmente sappiamo che Gaza non è l’unica crisi. Forse delle tre crisi accese in questo momento è quella paradossalmente più controllabile, poiché il Medio Oriente è un’area monitorata da tantissimi anni. Diciamo, non è sorprendente come lo è stata l’Ucraina, o non è un’incognita come può essere la crisi di Taiwan (altra grande crisi che potrebbe scoppiare da un momento all’altro).
Gaza è una situazione che gli israeliani hanno lasciato crescere e deperire in maniera anche irresponsabile. Diciamo solo che questa crisi è diversa rispetto alle altre guerre precedenti nella zona, dato che il massacro fatto da Hamas il 7 ottobre non ha precedenti. Forse era prevedibile, ma imprevista. C’è da dire che Gaza è sempre stata la bandiera che tutti hanno agitato e che poi nessuno in realtà mai ha fatto propria, né nel mondo arabo né in tutto il Medio Oriente. La questione palestinese, ma ancora di più Gaza, è una questione che fa molto comodo alle propagande.
Una solidarietà che si manifesta in grandi manifestazioni ma poco in atti concreti
Poi in realtà, questa solidarietà regolarmente si manifesta solo in grandi manifestazioni in giro per il mondo e/o all’interno di un’assemblea generale delle Nazioni Unite, ma poco in atti concreti, se non per gli aiuti umanitari, cose che, possiamo dire civicamente, in queste crisi non si negano mai. Ecco, per il resto un sostegno politico vero ai palestinesi in questi anni è mancato.
Dall’altra parte abbiamo un attore, Israele, che ha fatto di tutto per depotenziare gli unici interlocutori possibili tra i palestinesi, e quindi facendo crescere questo piccolo mostro di Hamas, ma soprattutto l’altro più vicino, Jihad, che forse è anche più pericoloso di Hamas. In questo modo è tutto lasciato alle decisioni che vengono di fatto delegate (precedentemente erano guerre periodiche) a Israele per la sua gestione di portare fuori gli ostaggi, e finché questo andrà avanti, la crisi verrà alimentata sempre di più. Terza guerra mondiale, non lo so, perché gli attori sono diversi in questa fase. Una grandissima guerra regionale, questo sì.
Edoardo Hensemberger: Come giornalista, crede che la narrativa delle guerre, da quando è iniziata la guerra in Ucraina, nonostante i due conflitti siano molto diversi, stia un po’ cambiando, contando anche che siamo passati da zero conflitti, perlomeno vicino a noi, ad averne due?
Francesco Battistini: Dunque, Gaza in comune con l’Ucraina ha poche cose come tipologia di guerra da seguire. L’ultima tra queste per i giornalisti è molto più rischiosa, essendo totale. Ovunque tu sia, a parte l’ovest di Leopoli, il rischio è molto alto, per cui è faticosa. Purtroppo, questa è la settima guerra a Gaza nel giro vent’anni, tra grandi e piccoli conflitti è una guerra che in qualche modo abbiamo purtroppo già maneggiato, anche se l’intensità e il numero sono nettamente diversi questa volta, basti pensare che i morti di questo mese di guerra eguagliano quelli delle precedenti.
Fatto sta che è diversa per intensità e per numero; con molta probabilità questa sarà la guerra definitiva per la striscia, nel senso che sicuramente arriveremo a una soluzione definitiva, in un senso o nell’altro. Una delle poche caratteristiche in comune, di questi due conflitti, è che noi riusciamo a seguirla da una parte sola ancora, e anche proprio per questo le informazioni che arrivano da Gaza naturalmente in molti casi sono gonfiate, ma essendo una propaganda un po’ fatta in casa è piuttosto facile da demolire. Quindi, è cambiato il modo di raccontare le guerre in questi due anni? Beh, aumentando il lavoro sul fronte, sono maggiori i colleghi che se ne occupano, quindi anche la qualità.
Loredana Beatrici: Qual è la cosa giusta da fare? Nel senso che io, nella mia ignoranza sui conflitti in Medio Oriente ho due sensazioni. La prima è che le posizioni internazionali, insomma, le grandi potenze stiano in qualche modo prendendo le distanze. In secondo luogo, che sarà una guerra molto più lunga del previsto. È davvero così? Prendendo l’esempio dell’America, dato che Biden si è pronunciato sull’esistenza della Palestina, lascerà che si «scannino»?
Francesco Battistini: È difficile prendere posizione contro Israele, soprattutto fino a che non verranno liberati gli ostaggi, e questo potrebbe definire la lunghezza della guerra; anche per Biden, che era stato pubblicamente umiliato quando andava a trattare al posto di Obama.
Giancarlo Perego: Grazie Francesco, ciao. Io preferisco sempre parlare con chi comunque ha visto, rispetto al giornalista che sta in redazione e che scrive per sentito dire. Vi auguro sempre di leggere chi racconta un pezzo di storia, questo è un pezzo di storia; sicuramente la Verità con la V maiuscola di uno che è li, e che ha ascoltato sia una parte che l’altra, è presentata meglio. Quindi, per il tema «Con chi stare?» lascio rispondere a chi vive le situazioni.
“questa solidarietà regolarmente si manifesta solo in grandi manifestazioni in giro per il mondo e/o all’interno di un’assemblea generale delle Nazioni Unite, ma poco in atti concreti, se non per gli aiuti umanitari, cose che, possiamo dire civicamente, in queste crisi non si negano mai. Ecco, per il resto un sostegno politico vero ai palestinesi in questi anni è mancato.”
– Francesco Battistini