di Cristina Procida, B. Liver
Animenta è un’associazione no-profit che si pone l’obiettivo di sensibilizzare e informare sui Disturbi del Comportamento Alimentare. Attiva sul territorio italiano dal 2021, il suo lavoro coinvolge circa duecento volontari da tutta Italia tra professionisti, genitori e ragazzi che decidono di supportarne le attività attraverso le loro storie e competenze, provando a divulgare speranza e condivisione. La collaborazione tra Animenta e Il Bullone nasce dall’obiettivo condiviso di raccontare la vita dopo la malattia, ma anche dal tentativo di provare a interpretare o reinterpretare il mondo con cui si interfacciano i ragazzi di oggi, soprattutto in caso di vissuti importanti, partendo, in primis, dalle loro parole. Rubrica scritta e curata da Cristina Procida.
«Mio padre è stato per me l’assassino,
fino a vent’anni che l’ho conosciuto»,
Umberto Saba, Mio padre è stato per me l’assassino.
Mio padre è stato per me l’assassino da cui mi ero salvata
Quando andavo al liceo, più o meno verso la fine del quinto anno, mi scontrai con una poesia di Umberto Saba che recitava queste esatte parole nei primi due versi di un sonetto. Ricordo che le guardai e le riguardai per ore, fissandole per bene nella mia mente e pensando a quando, due anni prima, mio padre era stato per me, letteralmente, un assassino. Un assassino da cui mi ero salvata e dal quale cercavo ancora di scappare mentalmente, per evitare che bussasse alla mia porta e tornasse a tormentarmi. La legge era stata dalla mia parte, ma i paesani non abbastanza da consegnarlo alle autorità. Invece, lo nascosero per non permettergli di scontare i suoi anni di condanna.
Ho avuto l’alto privilegio di essere ancora in vita, nonostante tutto. Altre non erano state così fortunate come me, penso a Giulia Cecchettin, che proprio mentre scrivo queste righe è stata ritrovata nei pressi di un lago. Senz’anima.
Mi ero tenuta l’anima stretta: così ho fuggito la violenza di mio padre, ma non è scontato
Io la mia me l’ero tenuta stretta per evitare di perderla nel percorso di allontanamento dalla violenza. Non è così scontato: l’oscurità arriva fino al senso di colpa per quanto mi era successo.
Quando mi sono ammalata di anoressia nervosa mio padre avrebbe dovuto essere la prima persona ad accorgersene, perché, come racconto sempre, era stato lui a sedersi davanti a me mentre spezzettavo quel petto di pollo, a sedici anni. Quando avevo deciso, come raccontai nella mia B.Liver Story, che non volevo mangiare più.
E forse è stato proprio per questo che ho deciso di non mangiare più.
Quando ero piccola mio padre era solito comprare del cibo e chiuderlo nella dispensa. Nessuno poteva mangiarlo tranne lui, e mia madre fu costretta a fare la stessa cosa nascondendo la spesa nei nostri armadi. Almeno finché lui non lo scoprì. Esperienza sulle quale sono costretta a glissare, in quanto la sua reazione fu talmente terribile che mi spinse a non provare mai più a comprare e mangiare del cibo senza il suo consenso. Ricordo che, crescendo, arrivai a comprare lo stesso cibo spazzatura e a finirlo in fretta, senza lasciare tracce, ingozzandomi fino a star male, pur di non fargli vedere che l’avevo mangiato. Pur di non affrontare la sua furia.
Il mio disturbo alimentare si è manifestato per la prima volta quando mi sono riempita di cibo
Credo sia stato quello il momento in cui il mio disturbo alimentare si è manifestato realmente per la prima volta: quando mi sono riempita di cibo fino a scoppiare, per tristezza e solitudine. Ma soprattutto, per combattere una guerra di potere su chi poteva controllare il cibo che ingerivo. Volevo essere io e basta. Volevo decidere io quanto e come mangiare. Senza dispense chiuse e senza colpi dritti in faccia.
Nonostante la sua attenzione maniacale su cosa usciva ed entrava dalla dispensa, mio padre non si rese conto che sua figlia non stava mangiando. Forse. O forse provava un sottile piacere a vedere quanto poteva tenermi in pugno, quanta sofferenza riusciva a crearmi. Forse. O forse aveva già escogitato il piano perfetto: mettersi a dieta con me, per vedere chi riusciva a perdere più peso. Fu questo che fece: iniziò una gara, una gara di nuovo, di potere.
Il mio disturbo alimentare era diventato una gara di potere e di controllo, specchio della violenza domestica
Il potere di decidere quanto mangiare, per me, per lui, per chi riusciva ad avere più controllo sul cibo: uno specchio della relazione famigliare, un tranello nel quale sono caduta e che mi ha fatto ammalare.
Mio padre è stato per me l’assassino. Perché la guerra che ho cominciato con me stessa, quando dieci anni fa ho deciso di non mangiare più, è stata la guerra di potere che lui aveva iniziato e che io non riuscivo a finire. Specchio delle violenze, vetro trasparente attraverso il quale vedevo solo il mio corpo andare in fumo, un fumo negli occhi che serviva per non farmi vedere la realtà per quello che era.
Mio padre è stato per me l’assassino.
“Nonostante la sua attenzione maniacale su cosa usciva ed entrava dalla dispensa, mio padre non si rese conto che sua figlia non stava mangiando. Forse. O forse provava un sottile piacere a vedere quanto poteva tenermi in pugno, quanta sofferenza riusciva a crearmi. Forse. O forse aveva già escogitato il piano perfetto: mettersi a dieta con me, per vedere chi riusciva a perdere più peso. Fu questo che fece: iniziò una gara, una gara di nuovo, di potere.”
– Cristina Procida