Il viaggio nel tempo alle Reali Ferrerie Borboniche di Mongiana

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Il B.Liver Salvatore ci racconta oggi il viaggio nel tempo a cui ha assistito alle Reali Ferrerie Borboniche di Mongiana, insieme al sindaco Francesco Angiletta. Una fedele riproduzione, con attori speciali, hanno scavato aldilà del tempo per recuperare i ricordi di qualcosa che, nel tempo, è andato perduto.

di Salvatore Cristiano Misasi, B. Liver

Il B.Liver Salvatore ci racconta oggi il viaggio nel tempo a cui ha assistito alle Reali Ferrerie Borboniche di Mongiana, insieme al sindaco Francesco Angiletta. Una fedele riproduzione, con attori speciali, hanno scavato aldilà del tempo per recuperare i ricordi di qualcosa che, nel tempo, è andato perduto.

Il nostro viaggio nel tempo

22 Luglio, continua il nostro viaggio nel tempo insieme a Casa di Deborah. Oggi abbiamo avuto l’opportunità di visitare la Reali Ferrerie Borboniche di Mongiana, accolti dal sindaco Francesco Angiletta.

Lo stabilimento edificato intorno al 1770 da parte dei Borboni di Napoli era parte integrante del complesso industriale e militare del Regno Delle Due Sicilie, la produzione come si può immaginare era concentrata sulle armi, armi conservate ed arrivate in ottimo stato fino ai giorni nostri. Nel primo edificio molti erano i fucili custoditi nelle vetrinette blindate, tutti con il cane esterno, c’erano anche pistole a canna lunga proprio come erano richieste un tempo. Altri manufatti provenienti dal passato erano presenti nel museo, come i pezzi di binari che servivano a trasportare delle materie prime oppure, altro reperto più unico che raro, era un mantice di circa 2 metri di lunghezza che serviva a far raggiungere la giusta temperatura agli alti forni.

La Ferreria

Una ferriera per poter vivere aveva bisogno di tre elementi: il ferro, il carbone, l’acqua. Ecco perché i Borboni decisero di costruire proprio a Mongiana, la zona infatti era ricca di boschi (quindi carbone), di miniere di ferro e di numerosi corsi d’acqua, pian piano con questa visione riuscirono a creare un moto produttivo che durò fino al 1881. Nel secondo edificio adiacente al primo erano fissati ad una parete tre schermi che mostravano le tre facce della società Mongiana, nel primo riquadro compariva un’attrice che riproponeva la vita delle casalinghe dell’epoca, descrivendo minuziosamente com’era strutturata l’abitazione e le umili condizioni in cui vivevano, nello schermo centrale un altro attore raccontava l’esperienza di chi lavorava in ferriera e nel terzo riquadro una terza comparsa raccontava la vita dei giovani ragazzi che per aiutare le famiglie andavano a caccia nei boschi.

Queste tre testimonianze mi hanno avvicinato molto a quel mondo cosi lontano, perché è difficile immedesimarsi in un’epoca vedendo solo oggetti ormai in disuso, quando invece a raccontare la vita di persone vissute in un’altra epoca sono personaggi che indossano gli stessi abiti il confronto è più diretto.

Queste tre testimonianze mi hanno avvicinato molto a quel mondo cosi lontano, perché è difficile immedesimarsi in un’epoca vedendo solo oggetti ormai in disuso

-Salvatore Cristiano Misasi

Successivamente siamo andati a vedere i resti della ferriera, dopo esser passati per la piazza e aver percorso 300 metri in una strada in discesa, abbiamo iniziato a vedere sulla destra, sotto strada, i ruderi del colosso industriale. Scendendo ancora la discesa iniziò a farsi ancora più ripida: ora avevamo il sito museale di fronte, giunti nel cuore ormai spento dell’industria l’unico alto forno ancora riconoscibile si prostrò al nostro cospetto (o viceversa), in origine erano ben tre, battezzati rispettivamente San Francesco, Santa Rita e San Ferdinando.

Lo smottamento

In seguito ad un’enorme smottamento due alti forni vennero distrutti e per parecchi anni il sito riposò sotto i detriti, intanto in superficie le persone del luogo cercavano di rendere funzionale la nuova forma del rudere, coltivando l’orto e prendendo pietre e lastre per costruire nuove abitazioni. Molto tempo dopo si decise di riportare in gloria l’ormai decaduto impianto, e con l’aiuto delle cartine che disegnavano i muri della struttura si iniziò a togliere tutta la terra.

Allo stato attuale sono molti i muri rasoterra che fanno immaginare l’edificio dall’interno, a limitare l’uso dell’immaginazione.

Invece l’alto forno è rimasto integro ed esaltato in tutta la sua magnificenza dalla cisterna dell’acqua, un po’ più bassa ma allo stesso tempo imponente, un tempo serviva per abbassare la temperatura dell’alto forno e per attivare alcuni ingranaggi meccanici tipo il mantice che era posto alla sinistra dell’alto forno. Il ferro veniva gettato da sopra, insieme al carbone e alla paglia e una volta raggiunta la temperatura, veniva aperta una botola sul fondo che canalizzava il metallo fuso negli stampi. In base alle quantità di paglia e carbone il ferro variava la sua durezza. Le opere di quell’epoca fanno riflettere perché sono state realizzate pur non avendo attrezzature che al giorno d’oggi sono indispensabili, l’interno della cisterna è oggi accessibile ai visitatori ed è proprio in quel luogo che il passato si mischia al presente generando mille domande.

“è proprio in quel luogo che il passato si mischia al presente generando mille domande”

-Salvatore Cristiano Misasi

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