di Sofia Segre Reinach, B.Liver
La B.Liver Sofia ha intervistato Maura Latini, presidente di Coop Italia, che racconta come, da donna, abbia inseguito le proprie passioni nel mondo del lavoro e della grande distribuzione, curando le relazioni con la clientela e la qualità dei prodotti offerti.
Maura Latini è manager e presidente di Coop Italia: i supermercati sono luoghi di interazione
Che cosa vuol dire fare carriera in una delle più grandi aziende di distribuzione in Italia?
«Coop è una realtà atipica perché non è un’impresa nel senso comune del termine, ma è un insieme di cooperative. Per questo in realtà è sia una grande azienda che un agglomerato di entità di dimensioni minori, ma comunque importanti e collegate tra di loro dagli stessi valori della Missione cooperativa. Questo ha fatto sì che fare carriera in una realtà come Coop mi abbia permesso di attraversare tutti i livelli di professionalizzazione: dal riempire gli scaffali con i prodotti, quando iniziai la mia attività, fino a sedere a capo del Cda oggi, nel quale ci occupiamo di attività comuni per tutte le Cooperative.
Diciamo che le dimensioni estese mi hanno permesso di avere una lunga strada davanti da percorrere in un viaggio che si è rivelato pian piano molto adatto a me. I supermercati sono innanzitutto i luoghi dell’interazione con le persone, dove serve però anche razionalità e organizzazione.
Questo lavoro è sempre attuale, perché si rivolge alle persone, che per loro stessa natura sono mutevoli e vanno comprese: ogni giorno è una nuova storia da comprendere e da interpretare. Serve una costante capacità di analisi e questo mi ha sempre affascinato. In Coop non si tratta solo di vendere prodotti che soddisfino bisogni primari, ma di migliorare la qualità di vita delle persone: una volta capito, questo principio è stato la mia guida, quello che mi ha spinto ad impegnarmi ad avanzare per avere più autonomia e, grazie a questa, contribuire a fare ancora di più la differenza».
Maura Latini: non mi sono sentita discriminata, ma se fossi stata un uomo sarei salita al vertice più velocemente
Quanto ha contato per lei la consapevolezza di essere persona, oltre che donna? Un ostacolo che ha trovato nell’esercizio della sua professione?
«Devo dire che non mi sono mai sentita discriminata in modo particolare. L’unica cosa che credo, ripensandoci, è che se fossi stata un uomo sarei salita al vertice più velocemente. Nel periodo in cui ho lavorato nel supermercato, ad esempio, i gradini della scala organizzativa me li sono dovuta fare tutti uno alla volta, senza saltarne nessuno. Ma in tutto il mio percorso ho sempre creduto che esempio e gentilezza fossero due strumenti utili per occupare qualsiasi mansione e livello.
Chi guida un’azienda non guida un’entità astratta, ma le persone che la compongono, cioè cerca di capirne le potenzialità, le inclinazioni e tenta di mettere in campo quel contesto e quel clima che portino gli individui a dare il meglio di sé. Perché guidare significa comprendere, capire in primo luogo le risorse più preziose di una azienda, figuriamoci poi di un movimento cooperativo e cioè le persone.
Una guida che non è infallibilità ma accettazione e ammissione della possibilità di errore. Nei colloqui delle risorse umane statunitensi mi è capitato di sapere che spesso si indaga sui fallimenti del candidato. Perché chi non ha fallito almeno una volta non può essere di esempio agli altri su come rialzarsi. Non può essere di ispirazione».
Come possiamo fare in modo che una donna al vertice non venga considerata un caso isolato?
«Noi per primi in Coop ci impegniamo affinché una donna al comando non sia un esempio isolato. Rispetto a quando ho iniziato a lavorare, il dibattito sul tema è molto evoluto e di conseguenza anche le cose hanno iniziato a cambiare, in generale in Italia, e non solo. Purtroppo troppo lentamente per le necessità evolutive del Paese.
Noi in Coop, con la nostra campagna Close the Gap ci impegniamo ogni anno ad accrescere non solo la conoscenza delle pratiche dell’inclusione e della non discriminazione, ma anche, fattivamente, il numero delle donne nei vari ruoli apicali. Nei tre anni di campagna è giunta al 70,2% la quota femminile delle dipendenti Coop e al 34,7% la percentuale delle donne presenti in ruoli direttivi (il 34% nel 2022 e il 32% nel 2020). Stabile la quota femminile nei Cda delle cooperative (41,5%), mentre aumenta sensibilmente fra i soci eletti nei vari organismi rappresentativi dei territori (52,6%, + 1,6%). In linea con gli anni precedenti il numero delle nuove socie (circa 120.000) pari al 55,3% del totale. Passo dopo passo continuiamo a percorrere la strada della parità».
L’ispirazione? Ho conosciuto caratteristiche rilevanti per me sia nelle donne che negli uomini, ma ho apprezzato Tina Anselmi, Lella Golfo e Margherita Hack
C’è una donna che l’ha ispirata, nel corso della sua carriera?
«In realtà ho ricevuto ispirazione da donne e uomini che ho incontrato nel mio percorso e nei quali ho riconosciuto caratteristiche per me rilevanti: conoscenza, capacità di coinvolgimento degli altri, coerenza nei comportamenti, rispetto ed equità; capacità messe al servizio della crescita di un’impresa, così come della crescita delle persone.
Mi fa piacere, però, citare tre donne in particolare che ho molto apprezzato per le loro scelte e caratteristiche: Tina Anselmi, che prima di tutti parlò della necessità di istituire le “quote rosa” nelle imprese; all’epoca non compresi il valore di questa sua posizione, ma adesso penso che fu molto lungimirante, visti i tempi infiniti dell’avanzamento della presenza di donne in ruoli di responsabilità; Lella Golfo, per il suo coraggio e determinazione riuscendo a far approvare la Legge 120/2011 che ha introdotto in Italia le quote di genere nei consigli d’amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate in borsa e delle società a controllo pubblico; Margherita Hack, grande scienziata che aveva l’immensa capacità di studiare le stelle e di parlare con chiarezza alle persone, senza dimenticare i diritti degli animali».
Un tema che stiamo affrontando è «Noi non sogniamo, progettiamo». Quali sono i suoi progetti per il futuro? Ha realizzato i suoi sogni?
«Non appena non sarò più in Coop mi dedicherò a tutte quelle cose che ho scelto di rimandare per lasciare spazio a questo lavoro così affascinante ma allo stesso tempo impegnativo. Certamente sarà bello stare più vicino ai miei affetti, forse tornerò a disegnare a carboncino e a lapis, sicuramente mi dedicherò ai miei sei gatti, e a tutti i libri che non sono ancora riuscita a leggere. Sul lavoro sarò felice di lasciare spazio ai giovani e di seguire alla giusta distanza i mutamenti sociali».
Ad oggi mi pento di aver lasciato gli studi: ai giovani dico “continuate“
Qual è stato il punto di svolta che l’ha spinta a investire sulla propria carriera e sul proprio progetto?
«L’unico obiettivo che avevo all’inizio era di dipingere, però volevo anche conquistarmi un’autonomia di azione nel mondo, perché ero piena di passioni e interessi, dal cinema alla pallavolo. Ho iniziato, quindi, a lavorare non appena è stato possibile: durante le vacanze scolastiche dal liceo artistico, a 15 anni, proprio come cassiera. Durante l’università ho invece scelto di lavorare come cassiera a tempo pieno e l’impegno mi ha poi portato ad abbandonare gli studi.
Il liceo artistico è stata una scelta giusta, perché ho dato voce a una mia passione, ma non completare gli studi per togliermi delle soddisfazioni nel presente è stata una scelta sbagliata e subito dopo sofferta. Guardando il lato positivo, però, questo errore, nel tempo mi ha rafforzata, mi ha insegnato a riflettere meglio e a ragionare in prospettiva.
Oggi, come è giusto che sia, diviene sempre più importante presentarsi nel mondo del lavoro con un bagaglio culturale composito, profondo e accurato, quindi non mi rammarico per come si è evoluto il mio percorso, ma esorto ragazzi e ragazze a concludere i loro studi, ad arricchirsi più che possono».
La passione che ha dimostrato vince su tutto?
«La passione è importantissima, perché si ha passione se si ama quello che si fa, e la piacevolezza migliora la qualità della vita in generale, e dà forza e perseveranza, ma non vince su tutto. La preparazione è essenziale. Il mio lavoro mi ha spinto e permesso di affrontare nuove sfide, mi ha condotta a dovermi preparare approfondendo le mie conoscenze in alcuni casi, in altri costruendole perché quanto conoscevo non era sufficiente al compito da svolgere. Impegnativo ma fantastico».
La sua è una storia di riscatto e determinazione. C’è un messaggio che vorrebbe lanciare alle giovani donne che stanno entrando nel mondo del lavoro?
«I giovani subiscono una grande disparità salariale, nel Rapporto Coop a settembre raccontavamo come in sostanza un giovane tra i 18 e i 34 anni prenda in media la metà di un suo collega over 50, a parità di inquadramento. Cinque milioni di giovani 18-34enni hanno dichiarato di aver dovuto fare almeno una rinuncia importante nella propria vita nello scorso anno. Il 44% dei 18-29enni pensa che avrà difficoltà a raggiungere i propri obiettivi e il 40% vede davanti a sé prospettive di lavoro negative.
Purtroppo “l’ascensore sociale” funziona molto meno adesso di quando sono entrata io nel mondo del lavoro e questo rappresenta un’ingiustizia per loro e una perdita di opportunità prospettiche per l’Italia, cosa che tutti insieme dobbiamo combattere. Detto questo, i giovani devono essere ottimisti perché il futuro è loro. Non si devono accontentare, devono investire su sé stessi, devono essere critici e informati, appassionati e generosi. Il futuro lo hanno sempre delineato le giovani generazioni e quindi anche i giovani di oggi possono farlo».
“[LA GUIDA DI UN’AZIENDA è] Una guida che non è infallibilità ma accettazione e ammissione della possibilità di errore. Nei colloqui delle risorse umane statunitensi mi è capitato di sapere che spesso si indaga sui fallimenti del candidato. Perché chi non ha fallito almeno una volta non può essere di esempio agli altri su come rialzarsi.”
– Maura Latini