B.Liver story: “Così mi sono aperta agli altri”. Il coraggio di Joelle e il suo raro tumore all’ipotalamo

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La B.Liver story di questo mese è quella di Joelle, una ragazza che si è ammalata di un raro tumore all'ipotalamo e che ci racconta come ha vissuto quegli anni cupi. Leggi la sua storia!
b.liver story Joelle Novelli
Uno scatto di Joelle Novelli.

di Joelle Novelli, B. Liver

Una diagnosi a vent’anni: craniofaringioma, un raro tumore all’ipotalamo

La mia storia parte 11 anni fa, all’età di 20 anni, da una diagnosi di craniofaringioma, un tumore raro all’ipotalamo di 5,5 centimetri che avevo sin dalla nascita e che è aumentato con il tempo. Mi mancava l’ultimo anno di maturità linguistica, in ritardo rispetto alla norma, in quanto avevo molte difficoltà scolastiche che, non sapendo del tumore, venivano attribuite a problemi psicologici e di immaturità. Non avevo una vita proprio come quella dei miei coetanei, nonostante ciò, ero abbastanza indipendente, ed ero stata a Londra per tre mesi da sola.

Dei segnali che c’era qualcosa che non funzionava nel mio corpo c’erano, ma solo dopo la risonanza magnetica si è potuto fare una diagnosi.

Nel 2013 un’operazione mi ha salvato la vita, ma le conseguenze sono state tantissime

Nel 2013 ho subìto un’operazione che mi ha salvato la vita, ma che ha comportato la rimozione dell’ipofisi, una ghiandola che produce tutti gli ormoni endocrini fondamentali, come conseguenza ho avuto grandi difficoltà di memoria e cognitive, un grande aumento di peso e sono costretta a fare uso di farmaci salvavita per tutta la vita.

Sono passati 10 lunghi anni dall’intervento, nei primi 7 dei quali c’è stato un rifiuto totale da parte mia dell’accettazione e della cura.

Avevo superato i 100 chili e venivo spesso ricoverata in psichiatria, poi la svolta

Avevo superato i 100 chili, dormivo tutto il giorno, spesso venivo ricoverata anche in reparti di psichiatria; per la notte mi era stato prescritto l’utilizzo del macchinario per l’ossigeno, perché il peso eccessivo schiacciava i miei polmoni. Nei primi anni di non accettazione, nonostante avessi un sostegno psicologico, non riuscivo a vedere la luce né prospettive di vita, volendo sopravvivere solo per mia mamma e non per me.

Parlavo solo di cibo e di ricette, non mi aggiornavo su quello che succedeva nel mondo e mi sentivo molto sola. Poi c’è stata una svolta: il rigore e la costanza hanno avuto la meglio sui miei istinti e compulsioni (alimentari e comportamentali), il soldatino e la robotizzazione erano entrati a far parte di me e vedendo i risultati positivi dei miei sforzi, assaporavo più da vicino le mie possibilità di vita. Queste risultavano ottimali agli occhi dei dottori, ma ancora non trovavo il mio posto nel mondo.

Ho iniziato grazie ad un’amica ad appassionarmi al sudoku, un gioco di logica che è stato un grande allenamento per il mio cervello.

“Ho iniziato grazie ad un’amica ad appassionarmi al sudoku, un gioco di logica che è stato un grande allenamento per il mio cervello.” Immagine generata con sistema di intelligenza artificiale Bing Image Creator.

Quest’anno ho ricominciato ad interagire con il mondo

Ho creato così la mia nicchia, distaccandomi, non dovendo così dipendere da nessuno e allontanando il mio pensiero dal cibo e dal confronto della vita dei miei coetanei, che allora era controproducente. La svolta a livello sociale, l’autonomia nell’uscire da sola, ma soprattutto la curiosità che pensavo di non avere, sono iniziate da quest’anno, in cui ho cominciato ad interagire con il mondo. Ho dovuto rallentare la presa del «rigore» e del «soldatino», per rendermi più elastica e provare a stare al mondo. Ora, ho ampliato i miei argomenti, con grande difficoltà, perché all’inizio cercavo solo la leggerezza, a cui comunque ho cercato di dare spazio.

Mi sforzo ogni giorno di organizzare la mia giornata «come se» fosse un lavoro, e questo mi fa sentire a posto.

Il mio presente non è tutto rose e fiori, in quanto le mie difficoltà ancora permangono.

Piano piano mi riprendo la mia vita

Vedo ancora lontana la possibilità di prendere il diploma di maturità: mi manca solo l’ultimo anno, ma non posso più usufruire del sostegno, perché per gli adulti non c’è la possibilità. Ho comunque cercato di impegnarmi in ciò che mi era possibile e sto riprendendo lo studio della lingua inglese con buoni risultati.

Per quanto riguarda il problema dell’alimentazione, io e mia mamma abbiamo rivoluzionato il nostro modo di mangiare, cosa che ha aiutato molto nella cura, ma ha portato ad avere grandi limitazioni nella mia vita quotidiana, trattandosi di un regime molto particolare che rende quasi impossibile mangiare fuori casa.

Sono arrivata alla conclusione, anche in questo campo, che in materia di alimentazione, per me è più facile rinunciare piuttosto che mediare.

Oggi ho 33 anni, spesso quando me lo chiedono sbagliano perché ne dimostro parecchi di meno, forse per le conseguenze di questo tumore e per essere stata costretta per tanti anni a rinchiudermi in una situazione casalinga «protetta», lontana anche dai social e dal confronto con il mondo, cosa che, secondo me, è stata la mia vera cura.

– Joelle Novelli

“Mi sforzo ogni giorno di organizzare la mia giornata «come se» fosse un lavoro, e questo mi fa sentire a posto.”

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