Intervista a Paolina Consiglieri, content specialist, divulgatrice e fondatrice di “Non è tutto rosa”, che parla dei rischi derivati dall’uso eccessivo dei social
Paolina Consiglieri, che abbiamo conosciuto all’InVisibile Festival, è content specialist, divulgatrice e fondatrice di «Non è tutto rosa», un’associazione non profit che si occupa di supportare le donne nel loro percorso di crescita personale e professionale, attraverso contenuti ed eventi di ascolto, confronto e formazione, dove al centro, sopra a tutto, ci sono sempre l’empatia e l’umanità. Dall’esperienza dell’associazione, sono nati anche due tour on the road in tutta Italia con l’obiettivo di raccontare in due docufilm le storie delle donne che stanno lasciando il segno e incontrare la community per portare momenti di confronto e supporto con una squadra di counselor, mental coach e imprenditori.
Nel 2023 Paolina inizia «Itaca Lab», un percorso di formazione di Progetto Itaca, per parlare consapevolmente di salute mentale. In questo numero del Bullone parliamo insieme a lei di social media, relazioni, salute mentale e molto altro ancora.
Nel 2020, da un momento di crisi personale, hai fondato «Non è tutto rosa» l’associazione no profit a supporto dell’empowerment femminile. Leggendo i contenuti che posti, si può apprezzare la tua necessità di raccontarti e di condividere. Che emozioni porta in te il fatto di esporti su una piazza digitale come i social?
«Recentemente in una seduta di terapia, ho dovuto parlare alla me di 25 anni, quindi tornare indietro di 4 anni e rendermi a mano a mano conto di come ero e come sono oggi, e ogni volta che mi guardavo indietro vedevo quanto sono cambiata: prima ero una persona molto più chiusa, comoda nella mia bolla, avevo paura di espormi troppo e stringere rapporti con persone nuove. Nel momento in cui mi sono ritrovata emotivamente a terra per una situazione sentimentale, in un certo senso sono rinata e ho scoperto parti di me che non conoscevo: ho cominciato a comunicare di più, perché mi sono sentita finalmente sicura di me stessa, responsabile della mia mente e della mia vita e questo mi ha portata a voler tirare fuori la mia voce e farla arrivare a più persone possibili. I social sono stati in quel momento non solo un megafono, ma anche un ponte tra me e tutte le persone che volevo far entrare nella mia vita attraverso il progetto».
«Nella vita non è tutto rosa» lo hai in prima persona raccontato tu e soprattutto ogni giorno attraverso la tua associazione affronti tematiche importanti. I social negli ultimi anni stanno sdoganando sempre più i pregiudizi sulla salute mentale, raccontando anche le difficoltà (ovviamente con tanto lavoro da fare). Che impatto pensi possa avere su ognuno di noi il mostrarsi così come si è? Pensi possa aiutare anche solo un ragazzo a capire che non è solo?
«Il lato oscuro dei social media è che purtroppo generano una vera e propria dipendenza: ogni giorno vediamo vite costruite, oppure solo piccolissime parti delle vite delle persone che seguiamo. Ci sembra sempre tutto perfetto, meglio di quello che siamo o abbiamo e questo molte volte genera grandi divisioni tra le persone, piuttosto che unirle. Il mondo, però, ha bisogno di senso di comunità, supporto reciproco, ascolto, tolleranza e queste possono nascere solo nella verità. L’autenticità è ciò che ci rende umani e spero che i social possano un giorno diventare il megafono della verità, anche se probabilmente è un desiderio utopico. Ciò che oggi possiamo fare, è vivere la vita vera, fuori dagli schermi, quella fatta di abbracci, cadute, sorrisi e difficoltà da superare e sfruttare i social per trovare comunità con cui condividere questo viaggio. Per il resto, basta spegnere il telefono e uscire dai propri confini, un passo alla volta».
Viviamo in un’epoca in cui tutto è veloce, non c’è tempo di fermarsi altrimenti si resta indietro. Siamo costantemente concentrati su quello che verrà, dimenticando di vivere il momento. Però più che viverlo pensiamo a condividerlo, perché solo così potremo dire agli altri di averlo vissuto. Che impatto ha sulla salute mentale questa necessità di mostrarsi?
«La costante ricerca del confronto con le vite delle altre persone, ma soprattutto il desiderio di conferma dall’esterno, ci porta a vivere sconnessi da noi stess* e finiamo per non conoscerci più. Vogliamo essere qualcun altr* o avere la vita di qualcun altr*, smettendo di chiederci cosa vogliamo noi. Questo è il problema, sappiamo (quasi) tutto di chi vediamo sui social, ma non ci viviamo la nostra vita. E come possiamo pensare di vivere felici, se non sappiamo chi siamo?».
I social possono anche essere considerati dei compagni nei momenti vuoti. In metro, alla fermata dell’autobus, o semplicemente quando non abbiamo nulla da fare. Così non esistono più i momenti di noia e siamo sempre impegnati. Prendendo spunto dalla canzone vincitrice del festival di Sanremo, La noia, di Angelina Mango, come vivi questo sentimento?
«Mi sono sempre sentita in colpa nel momento in cui mi fermavo. In una società in cui siamo bombardati da una miriade di informazioni, vogliamo riempire ogni momento per non rimanere indietro, per non essere quell* tagliat* fuori dal mondo. Sto capendo con il tempo che ogni momento sprecato inutilmente sui social, semplicemente scrollando, è un’opportunità che togliamo a noi stess* di vivere ciò che la vita ci può regalare, come anche l’ozio, prezioso per rigenerare la mente, sviluppare la creatività e mettere in pace anima e corpo».
La tecnologia, i social media, non hanno solo lati negativi, come molti raccontano. Uno smartphone può essere un mezzo per sentirsi capiti e meno soli, un mezzo per conoscere, ci si può confrontare con persone che vivono situazioni simili. Con il tuo podcast hai iniziato un po’ così, raccontando storie di donne. Pensi che senza questi mezzi, in un altro periodo, il tuo progetto avrebbe avuto lo stesso impatto?
«Il grande vantaggio (e molte volte lo svantaggio, allo stesso tempo) è che con i social puoi raggiungere una quantità di persone immensa. In tempi brevi puoi creare una comunità di persone unite, comunicare con tutte e farle conoscere tra di loro, ed è chiaro che senza i social media questo processo sarebbe stato completamente diverso e molto lento, sicuramente però, non impossibile. Le comunità e i movimenti sono sempre esistiti, anche senza social, però le modalità erano diverse così come i tempi, forse un po’ più umani».
Che cosa diresti alla Paolina di qualche anno fa?
«Le direi di non avere paura di cadere e di ritrovarsi da sola, perché ci sarà sempre qualcuno pronto a darle una mano per rialzarsi, basta tenere il naso all’insù».
– Paolina Consiglieri
“L’autenticità è ciò che ci rende umani e spero che i social possano un giorno diventare il megafono della verità.”