Intervista impossibile a Salvatore Veca: “Solo insieme potremo salvare il mondo”

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Salvatore Veca è stato un filosofo italiano. Ha introdotto in Italia l’approccio alla filosofia politica di John Rawls, punto di riferimento filosofico della sinistra non marxista a partire dagli anni ‘70 e ‘80 del XX secolo.
Salvatore Veca illustrato da Max Ramezzana.
Salvatore Veca illustrato da Max Ramezzana.

Intervista a Salvatore Veca, uno dei più importanti filosofi italiani: ha insegnato Filosofia politica e scritto numerosi saggi

In una Milano assolata ho l’onore di incontrare il professor Salvatore Veca, il filosofo che coniuga libertà e democrazia.

Salvatore Veca (Roma, 31 ottobre 1943 – Milano, 7 ottobre 2021) è stato un filosofo italiano. Ha introdotto in Italia l’approccio alla filosofia politica di John Rawls, punto di riferimento filosofico della sinistra non marxista a partire dagli anni ‘70 e ‘80 del XX secolo.

I temi più evidenziati nei suoi scritti sono la giustizia, l’attenzione ai soggetti deboli, la riflessione sulla libertà. Come vede la società oggi? 

«La sensazione prevalente è un misto di incertezza e un senso di perdita. La scena urbana in alcuni luoghi è persino inquietante, stiamo perdendo qualcosa; l’impressione che ho oggi è di smarrimento».

Nel libro Una filosofia pubblica viene sottolineata la necessità di riconoscere a ogni persona le proprie esperienze, una pari dignità. La politica oggi va incontro a questo? 

«Non mi sembra che la politica sia diretta verso i bisogni reali del cittadino: la distribuzione di costi e benefici per la comunità urbana non è equa, ci sono troppe diseguaglianze. La lotta alle diseguaglianze dovrebbe essere il primo obiettivo della politica».

Cinzia Farina, laurea in Lingue e Letterature moderne, ha frequentato l’Istituto di medicina
psicosomatica, specializzata in alimentazione, cronista del Bullone.

In uno dei suoi libri, Qualcosa di sinistra, parla di un modo per riaprire la strada del progresso e dell’emancipazione, e di un presente che invece minaccia di chiudersi sul passato. Ci spiega meglio? 

«Il passato non deve suscitare un’inutile nostalgia, ma servire per fare memoria e per riagganciarci, soprattutto a Milano, verso temi di giustizia sociale e ambientale, che sono il fondamento di una comunità civile. Oggi questo squilibrio tra la città dei ricchi e quella dei poveri ha creato una distorsione, che si può superare lanciando anche una nuova visione di futuro. Un futuro in cui il “verde” e il “blu” riescono a creare dinamiche nuove rispetto al capitalismo rapace dominante in questi 20 anni del nuovo secolo. Parlando di “verde” intendo l’ecologia e quindi il bisogno di una nuova ecologia anche urbana; per il “blu” mi riferisco all’uso intelligente e utile delle tecnologie che ci vengono offerte». 

Il tema dell’uguaglianza è stato sempre un suo punto fermo. Oggi nel mondo predominano guerre e ingiustizie. Abbiamo chiuso gli occhi? 

«Direi che da un lato c’è una cecità: non abbiamo visto in tempo dove il processo di globalizzazione ci stava portando. D’altro c’è uno strabismo nel faticoso percorso per trovare nuovi equilibri. Mi spaventa molto ciò che vedo nel mondo. Ci dovrebbe essere un’idea di cittadinanza basata sulla lealtà ai valori e a quelle che sono sempre state le finalità della sinistra riformista e ambientalista. Ciò che avviene ci dà la ragione di una grande imperfezione, che ha bisogno di giustizia tra generazioni, un salto di qualità per arrivare alla società civile dei cittadini del mondo.

Bisogna immaginare qualcosa di nuovo, non adagiarsi al day by day, ma portare in evidenza quello che sta avvenendo in Ucraina e in Israele, rivedendo il nostro decalogo della vita. Mettere al primo posto alcune parole nuove: la gentilezza, l’umanità, battersi con l’arte della convivenza. Un altro problema che mi preoccupa come osservatore di fenomeni urbani, riguarda la struttura demografica che sta alterando i processi di crescita. Crolli della natalità, l’invecchiamento della popolazione unito ai fenomeni climatici richiede uno sguardo sul mondo assolutamente diverso». 

Giangiacomo Schiavi (Gragnano Trebbiense, 1955). Giornalista e scrittore italiano, è stato
vicedirettore del Corriere della Sera dal 2009 al 2015 di cui è oggi editorialista.

Lei ha spesso ripetuto, soprattutto ai giovani, riguardo alla bellezza vista come possibilità di pensare filosoficamente a un mondo più decente. Come possiamo aiutare i nostri ragazzi a «intravedere» un futuro meno brutto? 

«Prima di tutto dare degli esempi, la politica non dovrebbe essere “fast food”, ma intercettare anche i valori richiesti dai giovani: onestà, coerenza, serietà. Creare le condizioni per un cambiamento giusto: studio, esempio e innovazione, generare le condizioni per un cambiamento e tornare soprattutto a fare una buona politica». 

Mi ha sempre colpito la sua affermazione: «la compassione è una forma di connessione. Il modo in cui rispondiamo al mondo, rispondiamo a noi stessi». Ce lo può rispiegare oggi in un periodo così «inquinato»? 

«Dobbiamo ridurre la solitudine urbana, riguadagnare la virtù della prossimità e dell’accessibilità. Bisogna creare le condizioni affinché il cambiamento riesca a dare all’umanità il ruolo che le spetta, le ragioni oggi dell’uomo rispetto alla tecnica sono più forti di ieri. Il fatto è che non ce ne stiamo rendendo conto. Quindi il problema della comprensione e dell’ascolto diventano fattori determinanti. La società oggi implode nella mancanza di un vero ascolto». 

– Salvatore Veca

“Bisogna creare le condizioni affinché il cambiamento riesca a dare all’umanità il ruolo che le spetta, le ragioni oggi dell’uomo rispetto alla tecnica sono più forti di ieri. Il fatto è che non ce ne stiamo rendendo conto. Quindi il problema della comprensione e dell’ascolto diventano fattori determinanti. La società oggi implode nella mancanza di un vero ascolto.”

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