Le lettere di Augustina al suo DCA
Il primo articolo che scrissi in vita mia era una lettera al mio disturbo alimentare. Fu pubblicato sul giornale della provincia, un mensile che trattava da poco tematiche sociali con noi ragazzi di una piccola redazione di Langa, sostenuta da un progetto chiamato YEPP.
Ricordo che, quando uscì, diverse persone mi scrissero per parlare con me di questo tema. Fu la prima volta, non avevo ancora compiuto 17 anni. Forse è per questo che, girovagando sul blog di Animenta, mi sono imbattuta nelle «Lettere di Agustina al suo DCA» e ho deciso di portarle qui, al Bullone. Perché una lettera è diversa da una storia, una lettera ha un messaggio, una persona che invia e una che riceve. Una lettera è il cuore della comunicazione con l’altro, e spesso i DCA non hanno parole.
«Cara Anoressia, sai mi hai tolto tanto… ma quando sei arrivata sei sembrata una salvezza. Ci sei sempre stata, come una fedele compagna. Ho sempre avuto e sentito il bisogno di nascondermi tra le tue braccia per difendermi dal mondo esterno. (…) Non mi lasci mai sola, giorno e notte. Ti dico grazie: grazie per il tuo proteggermi dal mondo. Grazie di aver urlato mentre io rimanevo in silenzio (…) Grazie per essere l’unica certezza in un mondo di dubbi. Tutti cercano di dividerci, ma a me lasciarti fa paura: non vedo un futuro senza di te. (…)».

La prima lettera di Agustina è la mano che attende di essere afferrata. È la luna di miele, quella condizione che ti spinge ad andare avanti, a seguire la mano sicura di un’amica in un mondo di incertezza. Anche la mia lettera iniziava così. Anche io la definivo la mia fedele compagna, e l’ho fatto per molto tempo; fino a quando, come per Agustina, la fedele compagna si è tolta la maschera per mostrarci il suo vero volto:
«Anoressia, hai bussato alla mia porta, hai rotto ogni barriera e hai invaso sia la mia testa che il mio cuore. Sei passata da sotto l’uscio, lentamente, senza che io potessi accorgermene. Mi hai sciupato nel corpo e nell’anima. (…) Mi hai tolto la bellezza del sognare e del desiderare. Mi hai trasportato in un mondo buio di schemi e organizzazioni precise e vincolanti, togliendomi ogni possibilità di errore e di spensieratezza. Mi fai sentire sola e triste. Mi hai portato via l’affetto per la mia famiglia e per i miei amici, riducendo la mia voglia di condividere con loro i miei giorni (…) Mi vuoi portare via la vita, mi vuoi togliere il futuro, mi vuoi far dimenticare la bellezza e il piacere di vivere. Perché mi tormenti così tanto? Ti chiedo di lasciarmi vivere come una persona normale. Vorrei non tenerti più dentro di me, dentro i miei pensieri. Vorrei dirti addio».
– Cristina Procida
“La prima lettera di Agustina è la mano che attende di essere afferrata. È la luna di miele, quella condizione che ti spinge ad andare avanti, a seguire la mano sicura di un’amica in un mondo di incertezza. Anche la mia lettera iniziava così. Anche io la definivo la mia fedele compagna, e l’ho fatto per molto tempo”