La realtà di “Pane Quotidiano”
Spesso accade che certe realtà siano davvero molto distanti da noi, a tratti sconosciute, ma sono una parte della società e nemmeno così esigua. È quello che si può vedere al Pane Quotidiano, un centro dove i cittadini meno abbienti e che hanno più difficoltà a portare uno stipendio a casa, o addirittura non ce l’hanno nemmeno una casa, trovano un rifugio e un conforto non solo fisico, ma anche emotivo. Tramite le parole di alcune persone in fila ad attendere il loro turno, è stato possibile capire meglio cosa vuol dire andare al Pane quotidiano, percorrere ogni giorno quella via a passi lenti, aspettando che la fila si accorci sempre di più, fino a riuscire ad entrare per ricevere prodotti alimentari di vario tipo. I volti della gente sono sconsolati, tristi, a volte gli sguardi persi che si riempiono un po’ di più quando escono dal centro.
Vestiti di fortuna per molti, tanti stranieri, la maggior parte, ma un intento comune: mangiare. In queste condizioni troviamo Amina, una donna di 30 anni, marocchina, che nonostante sia arrivata 5 anni fa dal Marocco, parla e capisce molto bene l’italiano. In Marocco era casalinga e viveva coi suoi genitori, poi quando è arrivata in Italia per sostenere il marito che lavorava solo una settimana ogni due, ha cominciato a lavorare come operaia. Tuttavia, ora che ha partorito è tornata ad essere casalinga e si prende lei l’impegno di venire qui ogni giorno. Una prospettiva diversa ce la dà Dimitri, un giovane russo di 26 anni, arrivato in Italia per studiare nel 2013 con la madre. Il più sereno tra quelli intervistati è proprio lui, forse perché si è recato lì non tanto per sé, quanto per la parrocchia che lo ha ospitato in questi anni in Italia. Qui in Italia attualmente non ha impiego, anche se fino ad ora ha sempre lavorato nell’edilizia, oltre ad essere stato anche allestitore di fiere. La madre cerca di aiutare la famiglia con qualche impiego nel sud Italia. Lui qui è supportato dalla parrocchia e cerca di ripagarli mettendosi in fila e portando un po’ di cibo a casa.
Per cambiare prospettiva abbiamo chiesto cosa ne pensasse Aldo, un italiano di 70 anni, che ha sempre vissuto a Milano. Era un tecnico trasfertista prima di perdere il lavoro. A causa di ciò si è ritrovato senza alcuna retribuzione e quindi senza alcuna possibilità di comprare cibo e tantomeno di avere un tetto sotto cui ripararsi. A questo proposito, ci ha raccontato che ogni giorno parte da Piazza Fontana, dove vive, prende i mezzi per arrivare qui, in Viale Toscana, pronto a ritirare la sua dose di viveri. Difficile immaginare cosa voglia dire trovarsi in quella fila. Ognuno con problemi diversi, ma tutti accomunati dal fatto che tante persone siano costrette a recarsi in un luogo che mette a nudo le loro difficoltà e fragilità, convertite in rabbia, nervosismo, imbarazzo, abbattimento. Per mitigare questi sentimenti sono fondamentali i volontari come Riccardo, che lavora al Pane Quotidiano da 3 anni. Ha cominciato perché voleva aiutare la gente. Racconta che è mentalmente faticoso, perché arrivano tante persone arrabbiate, ma in fin dei conti è molto gratificante.
La giornata lavorativa comincia alle 7 e termina alle 11 e mezza, preparano i tavoli, portano dentro il pane e poi la gente comincia ad entrare. Nello staff ci sono circa 30 persone. C’è poi il turno pomeridiano che comincia alle 13,30 e termina alle 16,30. Portano dentro anche vestiti e giocattoli che sono comunque ben accetti. La mensa presente è utilizzata nelle occasioni speciali, come Natale, per creare unione e familiarità. Le parole con cui ha concluso Riccardo sono precise per capire lo spirito con cui si mettono a disposizione volontari, ma anche per capire le condizioni di questa povera gente: «quando vedi una persona senza scarpe, una che piange, una che ha problemi, una che viene scavalcata, non puoi non aiutarla».
– Alessio Bartolozzi
“Tramite le parole di alcune persone in fila ad attendere il loro turno, è stato possibile capire meglio cosa vuol dire andare al Pane quotidiano, percorrere ogni giorno quella via a passi lenti, aspettando che la fila si accorci sempre di più, fino a riuscire ad entrare per ricevere prodotti alimentari di vario tipo.”