Giovani reporter: in montagna tra gli anziani che danno una mano agli altri, un antidoto alla loro solitudine

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Il B.Liver Marwan ci parla di Tonino e Michele, anziani che mantengono viva la memoria storica della loro città, rappresentano due realtà opposte: i volontari attivi che migliorano la comunità e i critici passivi che non ne comprendono il valore.
piazza di Mondovi
Sopra una foto della piazza di Mondovì (cuneoalps.it)

Mondovì: dove gli anziani custodiscono la storia e si aiutano l’un l’altro

«Qui si sta bene, si è stati meglio, si è stati peggio. Insomma, qual è la domanda precisa?». «La domanda è: se la sente di raccontarmi come ha visto cambiare questi posti e come l’ha vissuta, signor Tonino?».

«Sinceramente, sono un po’ confuso. Ma davvero le interessa questa storia e cosa abbiamo fatto qui? Non siamo mica a Torino».

«Non saremo a Torino, signor Tonino, ma a me la sua storia interessa, eccome».

«Da dove vuole iniziare?».

«Direi di partire da qui, da questo luogo in cui ci troviamo».

 «Voi giovani siete proprio strani, neh?».

 «Siamo curiosi, Tonino!».

Di Tonino sparsi in Italia ce ne sono tantissimi, uomini e donne, memorie storiche che ancora si battono con le forze che hanno per mantenere viva la flebile fiamma dei ricordi. C’è chi lo fa raccontando di sé, anche con una punta di autoreferenzialità e di esibizionismo, e chi invece, nel silenzio delle giornate più buie va a riparare statue, spostare quadri o libri di inestimabile valore, nel silenzio quasi religioso di chi ama ciò che fa e continua a farlo, alla propria veneranda età.

La nostra è una città fortunata, costellata di memorie storiche che si sono sempre messe in prima linea per raccontare, raccogliere e costruire occasioni per celebrare il passato e il presente. Storie di Reali transitati per la nostra piccola città, il vicino mausoleo, Giolitti che aleggia nell’ombra dei discorsi dei più anziani, Napoleone il grande sconfitto, il fascismo portatore di dolore e distruzione. Non siamo una grande città dove l’attenzione si è concentrata intorno ai grandi eventi che l’hanno sconvolta, siamo una città di provincia con un grande passato a cui ispirarsi per creare nuove occasioni di crescita, senza dimenticare la strada fatta. Qualche famiglia nobile abita ancora i suoi palazzi, come i Jacod, ora ridotti all’ultimo erede maschio. Un’eredità che, come cittadinanza, non abbiamo mai imparato a valorizzare e studiare quando ancora si poteva, prima che diventassero pezzi da museo, o storie da passeggiata estiva per le vie del centro storico, o una delle tante case da ammirare per una schiera di turisti.

Alcuni anziani durante una passeggiata

Ma è la storia ancora più recente che spesso dimentichiamo, dandola per scontata, dimenticando però, il grande ruolo che ogni generazione ha. Quello di accumulatori di ricchezza culturale-tradizionale, quasi di carattere ereditario. Non sono il sangue o il DNA i vettori di questa ricchezza, ma il sudore e l’amore per ciò che di bello ha il nostro territorio e la voglia di metterlo a disposizione del prossimo, per far sì che altri se ne innamorino e si inneschi quello che viene chiamato «circolo virtuoso». Io non lo definirei né circolo né virtuoso, semplicemente: rispetto e gratitudine. Spostare presepi pesantissimi, accendere luci, spostare tavoli, preparare cucine e cucinare per tutti, anche per chi non si conosce. Fare del bene per il piacere di farlo.

«Amici di Piazza» è il loro nome, qui sulla collina di cui sono innamorati e a cui non riescono ancora, dopo tanti anni, a restituire l’amore che essa ha dato loro. Tuttavia, in ogni piccolo o grande comune o città, ci sono, è un dato di fatto. Non si mettono in mostra, ma senza di loro mancherebbe quell’attenzione al dettaglio che si noterebbe subito. Dalle fioriere addobbate, alla cartellonistica chiara anche ai più piccoli.

Essere anziani in una comunità piccola e stratificata come quella attuale genera due tipologie di vita cittadina da residente di lungo corso. Ci sono gli «Amici», quelli che negli anni hanno colonizzato ogni angolo della città e lo hanno fatto proprio, come la propria sedia al bar, il proprio posto all’ombra degli alberi, cercando sempre di sistemare ciò che non funziona o è antiestetico per tutti. Esiste poi l‘altro stile di vita cittadino: quello passivo-aggressivo, che sostanzialmente non si rende conto che senza il lavoro volontario e disinteressato degli altri la propria via e il proprio ecosistema sarebbero meno belli, puliti e vivi. Il cittadino passivo-aggressivo critica il lavoro del volontario attivo e così il bruco della passività si insinua e diviene crisalide, e alla sua maturità si ottiene un altro cittadino passivo, che non si rende conto del danno che sta provocando. Ogni volontario che abbandona la sua causa equivale a una serie infinita di piccole azioni che però fanno la differenza.

Ed è qui che si inserisce il problema generazionale e il bisogno che ogni generazione si faccia portavoce di un passato che fu e di un futuro che ci dovrà essere, ma che senza la storia non sarà altro che una misera commedia vuota e senza radici. Le storie, le tecniche, i luoghi vanno preservati. Il ruolo fondamentale di ogni generazione è di ascoltare, criticare (per capire se qualche processo si può migliorare) e imparare quella ricchezza che quasi sicuramente, purtroppo, verrà dispersa e perduta per sempre. L’importanza delle memorie storiche è inimmaginabile.

«Ma Michele, come mai vieni a farti giorni e giorni di cucinate per i vari eventi e non te ne stai a casa a fare il pensionato?», chiedo.
«Sai Marwan, io ho iniziato a lavorare quando avevo quattordici anni, ho sempre lavorato nel ristorante dei miei, poi diventato mio e di mia sorella, un plin in più o in meno non fa differenza. Poi, cosa faccio tutto il giorno in casa, non sono mica un bogianen!  E mi piace quello che faccio insieme ad altri volontari, perché fa del bene a tutti».

«Ma tu non fai già del volontariato? Vai a preparare da mangiare in Caritas…».
«Sì, ma è diverso come approccio. Credo nell’una e nell’altra cosa, finché reggo cerco di portarle avanti entrambe».

Spesso le giovani generazioni vengono accusate di essere disilluse, lontane dalla realtà e pronte ad andare lontano, in mondi nuovi e complicati. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci racconti dove viviamo tutti i giorni, quali sono le tradizioni del territorio che come cittadini saremo tenuti a curare e preservare per le generazioni future.
Abbiamo tanto bisogno di passato e di futuro!

– Marwan Chaibi

“La nostra è una città fortunata, costellata di memorie storiche che si sono sempre messe in prima linea per raccontare, raccogliere e costruire occasioni per celebrare il passato e il presente. Storie di Reali transitati per la nostra piccola città, il vicino mausoleo, Giolitti che aleggia nell’ombra dei discorsi dei più anziani, Napoleone il grande sconfitto, il fascismo portatore di dolore e distruzione. Non siamo una grande città dove l’attenzione si è concentrata intorno ai grandi eventi che l’hanno sconvolta, siamo una città di provincia con un grande passato a cui ispirarsi per creare nuove occasioni di crescita, senza dimenticare la strada fatta.”

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