Il Bullone alla Camera dei deputati: come aiutare chi aiuta i ragazzi a trovare lavoro

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Bill, fondatore della Fondazione Bullone, racconta alla Camera dei deputati l'attività della Fondazione, che aiuta i ragazzi ormai fuori dal periodo critico delle cure a superare il "sentirsi malati" e collaborando con le aziende per promuovere inclusione e responsabilità sociale.
Una foto dell'intervento della Fondazione Bullone alla Camera dei deputati.
Una foto dell'intervento della Fondazione Bullone alla Camera dei deputati.

Il Bullone: una Fondazione che aiuta ad andare oltre la malattia imparando il senso del dovere

Questa Fondazione nasce con l’intento di far lavorare i ragazzi. Arrivano da noi, noi li accogliamo senza alcuna forma di giudizio o merito, spesso non vogliamo nemmeno sapere troppo della loro malattia, l’importante è che quando arrivano siano fuori dal periodo critico delle cure, perché nessuno di noi è medico. Noi siamo uno strumento attraverso il quale essi possono andare oltre la malattia, entrando nei meccanismi del fare, meccanismi che li portano a non sentirsi vittime della loro sofferenza, a non sentirsi soltanto dentro alle loro patologie, ma che provano a farli uscire dal «sentirsi malati».

I ragazzi si aggregano, si formano, imparano a fare delle cose, soprattutto in ambito di giornalismo e scrittura, imparano il senso del dovere. Le aziende hanno aspettative e noi dobbiamo stare dentro a queste aspettative.

Quindi cosa fa questa Fondazione parlando di lavori con le aziende? Porta tutta la conoscenza, la competenza, le esperienze vissute dentro a situazioni particolari e porta un valore aggiunto per gli altri. In questa società aziendale, in cui bisogna sempre più sottoscrivere e dare voce agli ESG, alla diversità e inclusione, alla responsabilità sociale d’azienda, senza però avere chiaro come farlo, con chi farlo, con che voce portarlo, noi diventiamo uno strumento attraverso il quale le aziende riescono effettivamente a capire e a dare un valore a queste persone che non devono essere compatite e assistite dovendo trovare loro «qualcosa da fare», ma facendole lavorare con uno scopo e valorizzando le loro capacità e le loro competenze, che sono tante, perché, anche se in molti casi non si vede, queste persone «sono state in guerra» e le esperienze che hanno vissuto hanno fatto acquisire loro delle capacità umane che normalmente si farebbe fatica ad avere, quindi nascono collaborazioni bellissime con aziende importanti.

Per esempio, collaboriamo con Barilla per raccontare tutte le attività che fanno nel campo del sociale, abbiamo insegnato alla Nestlé che cos’è la D&I, adesso con Sky stiamo facendo un percorso di sensibilizzazione per i loro dipendenti. Quindi, cerchiamo di far sì che le aziende possano essere un motore di cambiamento, magari attraverso organizzazioni come la nostra e attraverso degli esseri umani che hanno avuto la fortuna/sfortuna di vivere cose differenti e che riescono ad aprire delle porte dove si possono scoprire pepite che altrimenti non si sarebbero potute vedere. Ecco, credo che noi portiamo una sorta di fioritura all’interno di quei giardini che si pensa non possano avere dei fiori, e invece i fiori ci sono e spesso hanno dei profumi straordinariamente buoni.

Io ho fatto sempre e solo l’imprenditore e il mio modo di pensare è un po’ quello: non bisogna ragionare sulle sanzioni per le aziende, ma sulle opportunità. Le aziende devono vedere in questo mondo delle opportunità, per questo bisogna spingerle a sfruttarle a livello imprenditoriale.

-Bill Niada

Noi siamo uno strumento attraverso il quale essi possono andare oltre la malattia, entrando nei meccanismi del fare, meccanismi che li portano a non sentirsi vittime della loro sofferenza, a non sentirsi soltanto dentro alle loro patologie, ma che provano a farli uscire dal «sentirsi malati».”

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