Gemma, 18 anni e 11 in ospedale: “Stare con me stessa è stata la vera sfida”

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La B.Liver Gemma racconta la convivenza con la sua malattia: ricoverata a sette anni per un tumore al cervello, Gemma condivide le sue sfide, dall'autostima alla vita sociale, sperando di ritrovare un'estate spensierata.
Foto di Gemma Rutherford.

Gemma ha scoperto a 7 anni di avere un tumore al cervello

L’estate è una stagione meravigliosa: tra vacanze e divertimento non ci si annoia proprio mai… a meno che non ti scoprano un tumore al cervello e non ti chiudano in ospedale per tutta l’estate. Questo è quello che è successo a me e non è una bella storia da raccontare, ma ve la racconterò lo stesso.

Il 15 Luglio 2013, all’età di sette anni, è il giorno in cui sono stata ricoverata all’ospedale Bambino Gesù di Roma.

Non era male, ero in stanza con un bambino molto simpatico che aveva più o meno la mia età e c’era anche un pagliaccio molto divertente, se non fosse che sia io che mia mamma pensavamo che sarei rimasta lì per poco, e invece eccomi qui, a diciotto anni, con undici anni di ospedali e interventi alle spalle!

Negli anni successivi ho cominciato le cure, tra cui la radioterapia, in cui le radiazioni prodotte uccidono le cellule tumorali, e la chemioterapia, che uccide i residui di cellule tumorali e che, tra i tanti effetti collaterali, provoca la perdita di capelli.

Adesso uno dirà: «va beh, ma ormai sei guarita no?» Ecco… no, o meglio: forse all’apparenza sono guarita, ma dentro di me ripenso a quel giorno, a quel maledetto giorno in cui avrei potuto rimanerci stecchita, e forse sarebbe stato meno peggio che sopportare tutto quello che ho sopportato fino ad oggi, e non è ancora finita.

La gente mi guarda stranita come se non capisse bene come comportarsi con me, perché oggi si sa che se non riesci a stare in equilibrio, a giocare a palla, a usare due mani, o a fare qualsiasi cosa come gli altri, allora hai meno valore.

Ed è proprio qui che crolla la mia autostima e penso: «a che cosa è servito tutto il mio sforzo? Tutto quello che ho fatto finora è stato vano? Come faccio ad essere accettata?».
Una marea di domande mi passano per la testa, sono nel caos più totale, un loop di emozioni e poi… il vuoto: non so nemmeno più io cosa provare.

Il mio aspetto, le mie capacità: tutto è cambiato e sinceramente, pur avendo avuto enormi aiuti per affrontare ogni giorno della mia vita, aver ricevuto regali e fatto bellissime vacanze di ogni tipo, so per certo che non sarò mai completamente «guarita», perché dentro di me sento che sono diversa e che non mi accetteranno mai gli altri se prima non riuscirò ad accettarmi io.

Forse non riuscirò mai a fare sport come gli altri, a lavorare come gli altri, o a fare qualsiasi cosa come gli altri, ma è proprio questo il punto, io non sono come gli altri!
Magari posso fare le cose con degli aiuti, ma vedere che tutti mi guardano come se fossi impedita (inconsapevoli di quello che ho passato), mi continua a ferire profondamente.

Dentro di me sento come il ticchettio di una bomba con la miccia sempre accesa, che esplode ogni volta che mi arriva anche solo un pensiero qualsiasi quando rivedo le mie immagini di quando stavo bene, o quando vedo delle stories su Instagram di ragazzi della mia età in gruppo che si divertono, mentre io sono sempre a casa da sola…

Convivere con me stessa è una delle cose più difficili che devo affrontare e sapere che quell’estate avrei potuto godermi la vacanza, giocare con i bambini della mia età e fare castelli di sabbia, al posto di stare chiusa in un ospedale…

Sono sempre andata avanti, certo, ma cos’altro avrei potuto fare?

La scelta non era semplice, avevo sette anni quando mia mamma ha dovuto scegliere. Certo, senza cure non sarei qui a raccontarlo…

Foto di Gemma Rutherford.

È come se un vaso molto delicato fosse caduto da un aereo e fosse stato riattaccato con dello scotch. Capite bene però che lo scotch non aggiusta, ma ripara temporaneamente e prima o poi si stacca.

Ecco, in questa metafora io sono il vaso, il tumore è l’aereo e lo scotch sono tutte le persone che mi hanno aiutata fino ad ora e che continuano a farlo, ma prima o poi forse se ne andranno anche loro.

A settembre e novembre del 2023, io e mia mamma siamo andate fino Monaco di Baviera per incontrare un rinomato chirurgo plastico. Il dottore mi ha fatto due interventi, uno al viso e uno all’occhio, e da lì la mia vita sta ricominciando.

Ora che ho sistemato il viso (anche se non completamente), voglio iniziare ad avere gli amici che non ho mai avuto, avere una vita sociale ed essere apprezzata per quello che sono, facendomi valere e senza essere solo la bambina «strana» e «diversa».

Il solo vedere le vittorie degli altri mi fa sentire male, come se fosse una cosa in più che io non posso fare: potrebbe sembrare invidia ma non lo è, o almeno lo è ma per un motivo. Per farvi un esempio: quando avevo quattro anni facevo danza classica e mi piaceva tantissimo, ma ho dovuto lasciarla per fare ginnastica artistica per il solo motivo di stare con mia cugina. Certo, mi piaceva tantissimo ed ero anche molto brava, ma se solo avessi saputo che non avrei più avuto tempo per danzare, non avrei mai fatto quella scelta.

Forse un modo per riprendere a ballare ci sarebbe anche, ma ci pensate cosa significherebbe riprendere dopo tanto tempo con un fisico diverso, senza equilibrio e con una faccia che non riesci a guardare nemmeno tu allo specchio?

Vedere una ballerina bella e brava e pensare che avrei potuto essere anch’io così, mi fa stare malissimo: ho dovuto abbandonare una mia passione per colpa di questo cazzo di cancro e quindi mi chiedo «perché lei ha potuto andare avanti e io no? Cos’ho fatto io per meritarmi questa vita?».

Non ho le risposte a queste domande, e molto probabilmente non sarò mai quella ballerina, ma, forse un giorno potrei tornare a vivermi l’estate come andrebbe vissuta: con spensieratezza e divertimento.

L’estate è una stagione meravigliosa. E sono sicura che tornerà ad esserlo anche per me.

– Gemma Rutherford

“Dentro di me sento come il ticchettio di una bomba con la miccia sempre accesa, che esplode ogni volta che mi arriva anche solo un pensiero qualsiasi quando rivedo le mie immagini di quando stavo bene, o quando vedo delle stories su Instagram di ragazzi della mia età in gruppo che si divertono, mentre io sono sempre a casa da sola.”

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