Animenta con voi: amici che se ne vanno, amici che restano, quando ti ammali è così

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Martina, 18 anni, si sente sola e abbandonata durante la sua lotta contro la bulimia. Nonostante la difficoltà di essere accettata con il suo disturbo, spera di trovare amici che la apprezzeranno per ciò che è. La storia riflette la sfida di affrontare i disturbi alimentari in una società che li considera ancora un tabù, e l'importanza di avere amici che accettano incondizionatamente.
"Non riuscivo a mangiare davanti a qualcuno, e sapere che lei conosceva il mio problema mi metteva ancora di più a disagio; provava a farmi mangiare forzatamente davanti ad altre persone. (…) alla fine, ho smesso di andare e in poco tempo ho perso tutti gli amici che avevo". Immagine generata con sistema di intelligenza artificiale Bing Image Creator.

Le storie di Animenta: quando la malattia porta via anche le amicizie più solide

Martina è una ragazza di 18 anni che si sente sola. Anch’io mi ci sono sentita, soprattutto a 18 anni, nel pieno della malattia. Ma non lo ero.

Ho avuto la fortuna di avere amici comprensivi, stimolanti sotto certi punti di vista, ma anche simbiotici e non ho mai capito se questa parte possa essere considerata una fortuna o no. Sicuramente ho avuto attorno qualcuno capace di aggirare la mia solitudine. Martina, invece, non ha avuto la stessa fortuna: «Quando mi sono ammalata di Bulimia i miei amici non se ne sono accorti subito… io neanche glielo avevo accennato. (…) Il problema è stato quando hanno iniziato a notare comportamenti strani». Le uniche persone che io abbia mai conosciuto che hanno cambiato atteggiamento dopo aver «visto» la mia malattia, sono state persone transitorie, effimere, di passaggio. Mai realmente importanti. «La mia migliore amica sapeva tutto, ma ha fatto finta di niente e piano piano si è allontanata. Non rispondeva più ai miei messaggi, non mi chiedeva più di uscire. (…) poi ho iniziato a vedere le foto che postava sui social e mi sono accorta che mi stava escludendo, non capivo perché».

Come dico sempre, in questa società i Disturbi del Comportamento Alimentare sono ancora considerati un tabù impronunciabile, alla stregua di una parolaccia che i bambini non devono dire. «Quindi le ho chiesto di vederci per parlare. Ci siamo viste, e lei mi ha detto che sapeva tutto perché mia madre le aveva chiesto un aiuto, non sapendo cosa fare. (…) mi disse che la mettevo a disagio, ma che mi voleva bene».

Così, pareva che le due avessero risolto. Ma la malattia di Martina è al suo apice, e spesso rifiuta inviti agli aperitivi. «Non riuscivo a mangiare davanti a qualcuno, e sapere che lei conosceva il mio problema mi metteva ancora di più a disagio; provava a farmi mangiare forzatamente davanti ad altre persone. (…) alla fine, ho smesso di andare e in poco tempo ho perso tutti gli amici che avevo».

Quando mi ammalai di Anoressia nervosa, i miei amici mi invitavano a cenare con loro quasi ogni giorno. Non si sono mai posti il problema se mangiassi o meno, per loro era importante solo la presenza. Fu una fortuna che, credo, in parte mi fece da salvagente.

«Oggi sono ancora sola… mi ferisce sapere che la persona che credevo mia amica non ha saputo accettarmi comunque. Io lo avrei fatto», mi dice Martina, «Significa che non valeva la pena», le rispondo. «Con la malattia va meglio… ora spero di potermi ricreare un giro di amici».

E mi piange il cuore. Perché vorrei tanto abbracciare Martina e dirle che dei veri amici l’avrebbero voluta con loro con o senza il Disturbo. E allora le dico: «Sì, vedrai che riuscirai a farti degli amici che ti apprezzeranno per ciò che sei».

– Cristina Procida

“E mi piange il cuore. Perché vorrei tanto abbracciare Martina e dirle che dei veri amici l’avrebbero voluta con loro con o senza il Disturbo. E allora le dico: «Sì, vedrai che riuscirai a farti degli amici che ti apprezzeranno per ciò che sei».”

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