Intervista a Don CLaudio Burgio, sacerdote e fondatore dell’Associazione Kayros, che dal 2000 accoglie giovani in situazione di disagio.
Don Claudio, il tema del prossimo numero del Bullone è l’ascolto. I ragazzi sanno mettersi in ascolto?
«Sulla base della mia esperienza, posso dire che i ragazzi di oggi fanno una gran fatica ad ascoltarsi e ad ascoltare. Sono chiusi in un individualismo esasperato, ma hanno dentro un vulcano di emozioni che non sanno decifrare e che non pensano di poter condividere con l’adulto».
Perché non condividono queste emozioni con l’adulto?
«L’adulto è percepito dal ragazzo come irrilevante, per quello preferisce governare le sue emozioni in autonomia, senza, peraltro, quasi mai riuscirci. Le esplosioni di rabbia, i gesti estremi, i fatti di reato non sono altro che la punta dell’iceberg della situazione interiore che i ragazzi stanno vivendo».
È vero che i ragazzi di oggi vivono un malessere più intenso dei giovani del passato?
«Sì e non solo per l’isolamento cui ci ha costretto la pandemia. Credo che questo dimorare sempre più esteso nella tecnologia non aiuti i ragazzi a dare significato alle loro emozioni, a quello che vivono e a ciò che accade loro intorno. A questo si aggiunga il fatto che il mancato dialogo con l’adulto impedisce loro di rielaborare tanti vissuti emotivi».
In tutto questo, qual è la chiave attraverso cui l’adulto può entrare in dialogo con il ragazzo?
«Innanzitutto, l’adulto non deve porsi come presenza ingombrante. Su questo vi lascio una parola greca cui sono molto affezionato: epochè, ossia sospensione del giudizio, ovvero la precondizione essenziale per entrare in contatto con il ragazzo. Molte volte, invece, l’adulto tende a giudicare sulla base del suo vissuto».
Oltre a sospendere il giudizio, l’adulto cosa deve fare?
«Deve impegnarsi a essere presenza quotidiana, costante, interpellando il ragazzo sulla sua vita, sulle sue relazioni e, persino, sulla sua musica. Sembra banale, ma entrare nella vita dei ragazzi significa anche ascoltare ciò che ascoltano loro, capendo quali sono i temi ai quali si sentono più vicini. L’adulto deve farsi presenza discreta e curiosa, mai giudicante».
Ha ancora senso insistere sul controllo?
«Non insisterei troppo sulla dimensione del controllo, ma su quella del dialogo, che può instaurarsi anche fra persone che partono da presupposti valoriali differenti. Del resto, il dialogo che non si costruisce tra esseri differenti è un monologo senza frutto».

Perché gli adulti fanno fatica a costruire questo dialogo?
«Gli adulti fanno fatica a comprendere che i ragazzi di oggi vivono in un altro tempo rispetto a quello in cui sono vissuti loro e, dunque, a capire di non poter più fare riferimento alle loro esperienze di adolescenti passati. Come adulti dobbiamo impegnarci a reinventare un nostro ruolo. In questo, l’ascolto diventa decisivo, perché l’adulto che presuppone di sapere è già fallito, non verrà mai ascoltato».
Come appare oggi l’adulto agli occhi dei ragazzi?
«Da quel che mi dicono i ragazzi, oggi l’adulto appare molto retorico, convenzionale, ripetitivo, incapace di intercettare i problemi e la realtà odierna, perché presuppone di sapere, senza entrare nella vita dei ragazzi».
L’adulto appare anche fragile?
«Sì, la sua fragilità sta proprio nel suo essere convenzionale, retorico. L’adulto di oggi ripete schemi appresi nella sua adolescenza, ma svuotati di ogni significato. Spesso non riesce a trovare il senso delle cose che dice e questo non lo rende certo un testimone credibile. Poi, questa fragilità si può manifestare in tanti modi, con l’esercizio del controllo, dell’autoritarismo, ma anche assimilandosi alla vita dei più giovani. Ci sono tanti genitori che si assimilano alla vita dei figli e quando le generazioni coincidono la trasmissione dei valori non può che diventare incerta e pericolosa».
Ha parlato di genitori che si assimilano ai figli. Ritiene sia fondata la narrazione per cui non esiste più la figura del «padre», ossia un punto di riferimento per il figlio?
«Nel nostro tempo, manca l’adulto nella forma della testimonianza e di certo il “padre” è una figura sociale totalmente assente. Nel tentativo di recuperare questo ruolo molti adulti tendono a esercitare una “paternità” molto autoritaria espressa attraverso una forza dispotica che viene negata dai più giovani. È bene, invece, che l’accompagnamento si esprima su altri livelli, ossia attraverso la testimonianza e l’esempio, senza nascondere le proprie fragilità. La fragilità dell’adulto non va nascosta perché può diventare terreno di confronto con i giovani. Certo, il padre oggi è un po’ più fragile rispetto al passato, ma può educare se dà un senso alla fragilità. Manifestare fintamente sicurezze ostentate non fa altro che rendere l’adulto insignificante, e lontano agli occhi dei giovani».
Il giovane, dunque, ha bisogno di un adulto che sia per lui testimone credibile?
«Sì e la mancanza di testimoni credibili fa sì che i ragazzi subiscano il fascino di figure estreme, eroiche. Non a caso, nei più giovani, sta emergendo prepotente il tema della guerra».
Si spieghi meglio…
«Sto notando che la guerra sta avendo un’eco molto forte nei ragazzi, quasi che sia necessario combattere per trovare la propria identità. L’adolescenza è già, in generale, un tempo in cui si commettono azioni avventate, ma l’idea di dover rafforzare il proprio io attraverso esperienze limite, come è appunto la guerra, è un sentimento che sta crescendo proprio perché i ragazzi non trovano negli adulti una consistenza».
Perché proprio il ricorso alla guerra?
«Perché corrisponde alla guerra che i ragazzi hanno dentro. Sembra che percepiscano la guerra come una via per dare consistenza alle loro emozioni negative e, in qualche modo, risolverle. Peccato, però, che queste emozioni non si risolvono e, anzi, determinano un’escalation del male, delle condotte aggressive… Il nodo, comunque, rimane sempre il tema identitario».
Quali sono le domande identitarie a cui i giovani non trovano risposte?
«I ragazzi si chiedono cosa stiano a fare al mondo. In questo tempo in cui gli adulti hanno fatto fuori tutte le istituzioni storiche, il senso di Stato, la famiglia, la religione, i ragazzi si trovano immersi in un vuoto anche ideologico, privi di riferimenti etici, ma al contempo bisognosi di dare un senso alla propria identità».
Ha parlato di religione. Ha ancora senso parlare di fede ai ragazzi?
«I ragazzi hanno in sé domande di fede molto forti attraverso cui tentano di trovare risposta alle loro domande esistenziali che paradossalmente sono più forti ora che in passato. Bisogna, però, stare attenti perché quando la domanda di fede nasce come una richiesta identitaria, sono molto forti i rischi di radicalizzazione. Alla fine, l’estremismo dà consistenza all’adolescente fragile. Detto questo, però, se la domanda di fede è autentica ed è ben accompagnata può diventare una scoperta importante per il ragazzo».
La società di oggi ha chiaro il disagio che stanno vivendo i ragazzi?
«Se ne sta cominciando a parlare, però sia la Chiesa sia la politica stanno affrontando il problema con soluzioni di corto respiro, senza lungimiranza, senza progetti che vadano oltre l’emergenza del momento e, quindi, senza riuscire a cambiare il panorama».
Se dovesse proporre degli interventi, da dove partirebbe?
«Dalla scuola, senza dubbio. La scuola ha bisogno di ripensarsi completamente nel suo modello educativo, affiancando alla figura dell’insegnante un vero e proprio esercito di educatori. Alla fine, nella scuola si vivono dinamiche relazionali importanti che vanno accompagnate, così che la scuola possa diventare una palestra di vita, in cui sviluppare un senso etico saldo. Poi, il sapere si trasmette veramente solo se le relazioni sono buone».
Lei vive anche la realtà degli istituti di pena per minori, lì cosa serve?
«Servono riforme che ripartano dalla Costituzione. Vero è che la Costituzione è un cammino, però perché questo cammino proceda è necessario fare scelte politiche lungimiranti, senza seguire l’onda emotiva di un momento».
– Don Claudio Burgio
“Sembra banale, ma entrare nella vita dei ragazzi significa anche ascoltare ciò che ascoltano loro, capendo quali sono i temi ai quali si sentono più vicini. L’adulto deve farsi presenza discreta e curiosa, mai giudicante.”