Pensieri-salvezza: “Dedicarsi ai più fragili è il rischio da correre per sopravvivere”. Intervista ad Arnoldo Mosca Mondadori

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La B.Liver Eva ha intervistato Arnoldo Mosca Mondadori per parlare di pensieri-salvezza: fede, arte, cura sociale e metamorfosi. Insieme, hanno discusso il valore dell’ascolto e dell’umanità, e come la bellezza possa trasformare le persone, soprattutto quelle emarginate.
Un concerto con gli strumenti ricavati dai barconi dei migranti.

La bellezza che salverà il mondo

Arnoldo Mosca Mondadori (Milano, 1971). Editore, saggista e poeta, curatore dell’opera mistica della poetessa Alda Merini. È segretario generale della Fondazione Benedetta
D’Intino
e membro del CdA della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. È presidente
della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti.
Illustrazione di Chiara Bosna.

In questo numero del Bullone, uno dei temi affrontati è quello dei «pensieri-salvezza», cioè quegli attimi, persone, opere d’arte che nel momento del bisogno ci sussurrano: «sei salvo». C’è stato un momento in cui qualcuno, o qualcosa è stato per lei un pensiero-salvezza?

«Se mi devo aprire e dire il vero, fin da piccolo ho avuto il dono di incontrare una persona meravigliosa, la “Persona” che più mi conosce e che più io conosco. È Gesù. Passeranno forse ancora 100 o forse 1000 anni per avvicinarci alla semplicità di questo essere vivente, che è stato sempre la Luce della mia vita. E non si tratta di «religione», ma di Persona viva. Se sapessimo che il cristianesimo non è una religione ma è una persona…».

E invece, è mai successo di essere lei il pensiero-salvezza di qualcuno?

«Se lo sono stato o lo sono non è per merito mio. Credo che ognuno di noi sia solo uno strumento. Ritorno ancora al mistero della luce: se ci apriamo alla luce, all’amore, possiamo portare agli altri ciò che abbiamo ricevuto».

Questo tema racchiude in sé anche il tema della cura, dello stare accanto, e riguarda anche persone che vivono ai margini, che hanno commesso errori, che si ritrovano sole. È d’accordo?

«Certamente. Bisogna stare vicino soprattutto a chi è scartato, a chi è ritenuto un nulla per la società del consumo in cui siamo immersi. Questo mi interessa, e con la mia Fondazione cerchiamo di stare vicini a persone detenute, a persone rifugiate, a madri lasciate sole che hanno figli da crescere, a persone che provengono dalla dipendenza o che hanno fatto gravi errori. Ho in mente tanti volti di persone che erano nel buio, soprattutto persone detenute, e che grazie al lavoro hanno ritrovato dignità. Purtroppo viviamo in un Paese, in un mondo dove si ha paura di attuare riforme, si ha paura di rischiare».

Parlando di «stare accanto», lei è stato amico e collaboratore per più di dieci anni di Alda Merini. C’è una poesia, o una frase, che è stato un «salvagente» nel momento del bisogno?

«Sì, è una poesia che mi ha dettato al telefono:

Io che sono vicina alla morte,

io che sono lontana dalla morte,

io che ho trovato un solco di fiori

che ho chiamato vita

perché mi ha sorpreso,

enormemente sorpreso

che da una riva all’altra

di disperazione e passione

ci fosse un uomo chiamato Gesù.

Io che l’ho seguito senza mai parlare

e sono diventata una discepola

dell’attesa del pianto,

io ti posso parlare di lui.

Io lo conosco:

ha riempito le mie notti con frastuoni orrendi,

ha accarezzato le mie viscere,

imbiancato i miei capelli per lo stupore.

Mi ha resa giovane e vecchia

a seconda delle stagioni,

mi ha fatta fiorire e morire

un’infinità di volte.

Ma io so che mi ama

e ti dirò, anche se tu non credi,

che si preannuncia sempre

con una grande frescura in tutte le membra

come se tu ricominciassi a vivere

e vedessi il mondo per la prima volta.

E questa è la fede, e questo è Lui,

che ti cerca per ogni dove

anche quando tu ti nascondi

per non farti vedere».

Uno dei progetti di Casa dello Spirito e delle Arti è Metamorfosi, un percorso di cambiamento sia per i detenuti che trasformano il legno dei barconi di Lampedusa in strumenti musicali, ma forse anche per l’intera società, per cambiare la narrazione e la visione delle persone detenute. Se gli strumenti di questa orchestra potessero parlare, che cosa racconterebbero?

«Con questi strumenti musicali cerchiamo di dare una voce ad ogni persona migrante che in questo momento sta fuggendo dal suo Paese a causa della guerra e della povertà. La musica riesce a toccare i cuori più duri, a superare divisioni politiche e religiose. Anche persone che la pensano diversamente da me, quando ascoltano gli “strumenti del mare” rimangono colpite. In qualche modo assisto a come davvero “la bellezza può salvare il mondo”, perché arriva dritta alla coscienza».

Tornando ai pensieri-salvezza, il tema è collegato quindi alla relazione, all’incontro, ma anche al «mettersi in ascolto». Come società come possiamo metterci in ascolto anche nei confronti di persone o gruppi sociali che spesso non vengono ascoltati, quale può essere il primo passo verso la nostra, collettiva, «metamorfosi»?

«Come dice Papa Francesco, viviamo in una “cultura dello scarto”, a cui non importa nulla delle persone fragili. Per essere concreti bisognerebbe come prima cosa spostare il budget che si spende per le armi e iniziare a creare luoghi di accoglienza per gli stranieri, carceri dignitose, luoghi di bellezza per ospitare chi soffre a livello psichico. Ascoltare i bisogni inascoltati e rischiare tutto su questo. Come individui, come politici, come società tutta. Penso che sia necessario rischiare tutto sull’umanità ferita».

Durante un incontro a Rondine – Cittadella della Pace, lei ci mostrò il violino con il filo spinato di Jannis Kounellis, un’opera che rappresenta la prigionia, ma anche la libertà e la bellezza che possono nascere da esperienze dolorose. L’arte, la cultura, la bellezza, ci possono quindi salvare? C’è stato un quadro, un’opera, una composizione che l’ha risollevata, in un momento di dolore?

«Gli artisti sono secondo me le “antenne del Cielo”. Cerco sempre di collaborare con i veri artisti, perché hanno nelle vene il mistero».

– Arnoldo Mosca Mondadori

Con la mia Fondazione cerchiamo di stare vicini a persone detenute, a persone rifugiate, a madri lasciate sole che hanno figli da crescere, a persone che provengono dalla dipendenza o che hanno fatto gravi errori. Ho in mente tanti volti di persone che erano nel buio, soprattutto persone detenute, e che grazie al lavoro hanno ritrovato dignità. Purtroppo viviamo in un Paese, in un mondo dove si ha paura di attuare riforme, si ha paura di rischiare.

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