Parole che cambiano: al bene serve una pubblicità per le stagioni e le festività

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La B. Liver Federica riflette su come il bene, con un pizzico di ironia e dolcezza, possa essere una forza potente e quotidiana, capace di trasformare il mondo.
bene brucia calorie federica corpina
"Se tutti fossimo Attila (nome del gatto, di nome appunto, non di fatto immagino) sarebbe subito disarmo globale". Immagine realizzata con sistema di intelligenza artificiale Bing Image Creator.

Parole che cambiano:la delicatezza disarmante del bene

Diciamoci le cose come stanno: il bene – è evidente – non si vende bene, se mi abbuonate il gioco di parole, e «a Natale puoi», ma forse già dal natale dei Natali, non basta più. Anche perché, anche qui, con la massima sincerità: perché mai non «potremmo» pure tutto il resto dell’anno? Siamo fatti così, noi animali umani: ci serviamo del tempo perché ci serva su un piatto d’argento (magari lo stesso su cui spolveriamo di zucchero a velo il pandoro dopo il pranzo del venticinque) occasioni per fare le cose. Ma visto che i mali del mondo non circoscrivono le loro manifestazioni soltanto alla seconda metà di dicembre di ogni anno, sarebbe forse ora di cambiare claim. Anche perché – di nuovo, poi la smetto – siamo davvero tutti più buoni, per questo Santo Natale?

Al bene, insomma, serve una buona pubblicità, qualcosa che tenga botta alle stagioni e alle festività, che valga dal grazie al mattino al bar, dopo il caffè al banco, fino alla discesa ordinata dall’ultimo treno della M qualcosa, di ritorno a casa. E poi fino a Gaza, Kiev, Sana’a.

Ora, cos’è che fa vibrare le nostre pigre e privilegiate antenne a prescindere da tutto, ma proprio tutto, persino dall’inspiegabile fame che ci sveglia prima di quando sperassimo la domenica mattina, dopo e nonostante la pizza della sera prima? Ma la dieta, ovviamente! E non venite a dirmi che non avete mai ceduto a frasi incomprensibilmente seducenti come «perdi venti chili in tre ore mangiando soltanto gelato per settantadue», «scopri come bruciare calorie stando seduto», «rimettiti in forma dopo le feste terminando i pasti con sei fette di ananas», «preparati alla prova costume inalando gli spruzzi di pompelmo mentre lo spremi, sempre e comunque fuori stagione». C’è chi ha cliccato, almeno una volta nella vita, su annunci del genere (anche meno dichiaratamente grotteschi, per carità), e chi mente.

E se iniziassimo a spacciare per vero che pure fare il bene, alla stregua di prendere le scale al posto del povero e disgraziato ascensore, brucia calorie? Che poi, a dirla tutta, al contrario della fuffa venduta al prezzo di digiuni e compromessi rapporti col cibo, questa cosa, un poco vera è! Un poco tanto. Ma in che senso, chiederete (non è detto eh) voi. Nel senso che essere buoni costa fatica. Perché richiede un certo impegno rispondere con gentilezza a una polemica scortese al lavoro, o raccogliere da terra una carta che non siamo stati noi a gettare (e non parlo solo dello sforzo fisico di abbassarsi per prenderla), o ancora cedere il proprio posto a sedere sui mezzi a qualcuno che sentiamo possa averne più bisogno di noi in quel momento.

Okay, tutto buono e benedetto (e che binomio azzeccato, tra l’altro, in questo particolare periodo dell’anno), ma fermarsi ad aiutare un anziano con le buste della spesa per strada non metterà certo fine alle guerre oltreoceano, né guarirà il mondo dalle sue altre storture, direte – ancora?! – voi. Vi risponderei inoltrandovi il video del gatto della sorella della mia persona, se questa fittizia conversazione si stesse tenendo su whatsapp.

Ma non è questo il caso, per cui mi assumerò l’onere di descrivervelo in una maniera che sia quanto più visualizzabile possibile. Il cellulare riprendeva la sua mano stuzzicare per gioco il muso del suo gatto, ma, mentre lei lo incitava a mordicchiarla, lui, sdraiato sulle sue gambe, le poggiava la zampa sul braccio, e apriva la bocca in un morso di una dolcezza e delicatezza disarmanti. Le ho scritto proprio così, in risposta al video: «è di una delicatezza disarmante». E, dopo aver digitato quelle sillabe, colta da una specie di epifania, ho riflettuto sulla coppia di parole che senza troppo pensarci avevo accostato per esprimere ciò che quell’immagine mi aveva suscitato. Le ho commentate con lei seduta stante, perché non volevo che quel mio pensiero si smarrisse: mi sembrava importante. Così importante che lo riporto qui: «che è bellissimo come concetto ora che ci penso, se tutti fossimo Attila (nome del gatto, di nome appunto, non di fatto immagino) sarebbe subito disarmo globale».

– Federica Margherita Corpina

“Al bene, insomma, serve una buona pubblicità, qualcosa che tenga botta alle stagioni e alle festività, che valga dal grazie al mattino al bar, dopo il caffè al banco, fino alla discesa ordinata dall’ultimo treno della M qualcosa, di ritorno a casa. E poi fino a Gaza, Kiev, Sana’a.

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