Di Martina Dimastromatteo
Finito il liceo, vai all’università. Una volta laureata, fai uno stage e poi cerchi un buon posto di lavoro. Fai carriera. Nel frattempo mantieni tutte le relazioni del caso e ti fidanzi. Poi arriva il momento del sì e allora via col matrimonio. E non fai in tempo ad essere sposata che subito inizi a sentirti dire: «Allora? Quando ci fate un nipotino?», «Tra quanto pensate di allargare la famiglia?», «Ma un frugoletto? Mica vorrete aspettare ancora molto!». Quadretto canonico. Ma se uno non li volesse dei figli? E non è questione di plurale: c’è chi non ne vorrebbe nemmeno uno. È così sbagliato non desiderare di essere genitore? C’è chi, invece, ci nasce, con lo spirito materno/ paterno, e sente dentro di sé quell’impulso che spinge a mettere al mondo una nuova vita. Io, ad esempio, non mi sono sentita sempre così. Per la mia esperienza, il desiderio di diventare madre, ma ancora prima di costruire una famiglia – indipendentemente dal numero di figli -, è nato vivendo una relazione autentica e profonda. C’è chi, però, pur avendo un compagno, una compagna, non vuole saperne. Perché? Penserete. Il punto è proprio questo: credo non ci sia bisogno di chiedersi il perché. È una scelta come tante altre. Ed è giusto rispettarla.
Tuttavia esistono ancora tantissimi tabù a riguardo, e non solo in Italia. No kids for me, thank you! È questo il titolo del documentario di Linda Nyman che è stato presentato alla scorsa edizione del Festival Visioni dal Mondo. Linda è una giovane regista finlandese e, fin da adolescente, non ha mai sognato di voler essere madre. Dopo un periodo di studi lontana dalla Finlandia, ha deciso di tornarvi per fare «coming out» tra la sua famiglia e i suoi amici. Con No kids for me, thank you!, Linda ha cercato di capire come mai, specialmente per le donne, dichiarare di non volere dei bambini sia considerato ancora un tabù. Nel documentario si ritrovano momenti della vita quotidiana di Linda, in cui si confronta con la madre, il padre, i fratelli. Nessuno comprende a pieno la sua scelta, anche chi tra di loro la accetta. Queste conversazioni sono intervallate da vere e proprie interviste ad alcuni finlandesi che, proprio come la regista, non vogliono avere figli.
Un uomo sulla quarantina, una donna single, una coppia. Sono tutti diversi, ognuno con la propria storia alle spalle, ma uniti da questo sentimento comune. Ogni intervistato racconta la difficoltà del vivere la propria decisione nella vita di tutti i giorni: c’è chi ha dovuto interrompere delle relazioni, chi si scontra continuamente con i dogmi culturali di chi non concepisce una donna completa, se non come madre. Perché si è così legati agli stereotipi? È giusto che si arrivi a doversi schierare e giustificare tanto, per una scelta così personale e arbitraria?