Attimi di ordinaria eccellenza – la risata di un nonno e due ricercatori italiani

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Non scorderò mai la prima volta che vidi mio nonno ridere

Di Tommaso Mondadori

 Non scorderò mai la prima volta che vidi ridere mio nonno. Accadde all’improvviso, in una serata estiva nella casa al mare in Toscana, guardando insieme I Blues Brothers. Rimasi stupefatto, fino a quel momento pensavo che una persona così seria non potesse ridere. Fu proprio nel corso di quell’estate che ebbe inizio la consuetudine delle nostre conversazioni. Io bussavo al suo studio verso sera, lui mi apriva la porta e dopo esserci salutati con uno dei nostri baci nonneschi, che consistono nel baciarsi quattro volte il dorso e il palmo della mano, cominciavamo a parlare di tutto. Passavamo dai resoconti della giornata, a piccole curiosità, fino ad argomenti scientifici e storici che mi interessavano già da piccolo. Col tempo i nostri discorsi si sono estesi ai più svariati temi e mi hanno trasmesso un amore assoluto per la cultura, instillando in me una voglia di conoscere senza fine, simile a quella di Edipo. È nato così il mio amore particolare per la filosofia, di cui il nonno è diventato la guida nelle prime riflessioni sulle grandi domande.

Dal nonno ho imparato l’importanza delle regole, decisive per la propria formazione e per il rapporto che si è consolidato tra di noi. Il rispetto degli orari (a partire da quelli in cui si mangia e si va a letto), la condotta da tenere (dal tono consono della voce, alla capacità di ascoltare gli altri), in una parola, l’educazione. L’anno scorso per il suo compleanno lo stavamo festeggiando al ristorante. C’era molta confusione: basta dire che eravamo otto nipoti. In poco tempo si era creato un caos assoluto in cui non si capiva più quello che si diceva. La situazione stava degenerando. A un certo punto cominciai a osservare il comportamento di mio nonno. Il suo sguardo mi sembrava irritato e allo stesso tempo disorientato, come un animale fuori dal suo habitat naturale. Allora capii quanto è fondamentale per lui il silenzio: una vera e propria arte che non tutti sanno apprezzare. E infatti il nostro rapporto è fatto anche di silenzi, perché il silenzio comporta un momento di riflessione che mi ha insegnato a placare la mia impulsività. Non potrò mai dimenticare quella bellissima risata davanti alle peripezie di John Belushi e Dan Aykroyd, risata alla quale mi unii con un po’ di ritardo, stupito e felice; ogni volta che la ricordo torno all’immagine indelebile di mio nonno Salvi che porterò sempre con me, inseparabile dalla persona che mi ha aiutato a diventare. 

L’eccellenza c’è: parte dall’Italia, gira il mondo e qualche volta, con fatica, torna a casa.

Di Andreina Swich

Cielo e mare, stelle e pesci. Questi i due mondi scelti dai miei figli: uno infatti è diventato astrofisico, l’altra biologa marina. Per un genitore avere figli impegnati nella ricerca è sicuramente motivo di grande orgoglio. Ma non sempre la via è priva di ostacoli. 

Le loro, va detto, non sono storie di eccezioni, sono anzi la dimostrazione che l’Università italiana nel suo complesso è davvero garanzia di eccellenza. I nostri studenti sono guidati da grandi teste e lavorano in buone strutture, dove è possibile crescere e appassionarsi nel proprio campo d’azione e la loro preparazione è indiscutibilmente apprezzata all’estero. Terminate la laurea magistrale, entrambi i miei figli hanno iniziato il loro percorso nella ricerca vincendo un posto per un Phd (dottorato di ricerca), l’astrofisico in Italia, la biologa in Inghilterra. 

L’astrofisica, scienza meravigliosa nella quale l’Italia eccelle da decenni col contributo di scienziati di fama mondiale, richiede oggi una dedizione totale senza alcuna garanzia di sicurezza di un futuro non precario, con magri stipendi a fronte di grande impegno. Ma come è noto in Italia non si investe in ricerca. Oggi chi tenta la strada della ricerca dopo il Phd ha la scelta tra incarichi di breve durata come assegnista, o vincendo un post-doc, o borse di studio in giro per il mondo. Per poter tornare, il ricercatore affronta, per anni, tanta incertezza in attesa di un concorso. In alternativa affronta la sfida del mercato del lavoro portando le sue competenze fuori dall’accademia. (Questa è stata infine la scelta di mio figlio). 

Paradossalmente la biologa espatriata in Inghilterra, patria di eccellenza nello studio della tossicologia e dell’inquinamento delle acque, si è imbattuta nella scarsa professionalità e competenza di un polo universitario. Insomma, la nostra eccellenza si è scontrata con l’inefficienza di altri Paesi e la scelta finale è stata quella del fratello.

«Una bella testa ci ha lasciato», dice il Professor Peppo Gavazzi, già docente di astrofisica extra-galattica dell’Università Bicocca di Milano, rimpiangendo e un po’ rimproverando mio figlio, «per fortuna succede che qualcuno torni: un brillante studioso, mio ex allievo, dopo anni di successi all’estero, ha vinto il posto da professore ordinario in Italia a soli 36 anni». 

L’eccellenza c’è: parte dall’Italia, gira il mondo e qualche volta, con fatica, torna a casa.

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