Di Eleonora Prinelli
Marina Abramovic è la performance artist più controversa e, allo stesso tempo, più celebrata al mondo, nota per aver rivoluzionato l’ambito dell’arte concettuale. Con le sue performance – fatte di verità, passione e persino pericolo – esplora gli aspetti più intimi del genere umano, ricordandoci che solo affrontando le nostre paure possiamo cambiare noi stessi e il mondo intero.
Solitamente l’arte si serve della finzione per comunicare, come al cinema o a teatro. Nel suo caso invece, l’arte diventa esperienza del reale. Da dove è nato il bisogno di mostrare la realtà attraverso la performance art?
«È una lunga storia. Sin da bambina sentivo di essere un’artista, cominciai a dipingere molto presto. A 14 anni feci la mia prima esibizione: era la raffigurazione pittorica dei miei sogni. Sognavo moltissimo e al risveglio trascrivevo tutto su carta. Mi rendevo conto che le cose mi venivano già date nel mondo onirico e mi chiedevo: “Perché non dipingerle?”. Così iniziai a rappresentare i miei sogni e, dopo di essi, anche altri soggetti. Tra i miei preferiti c’erano le nuvole e il cielo. Amavo sdraiarmi sull’erba a guardare le nuvole arrivare e poi dissolversi. Ricordo che un giorno, mentre osservavo il cielo senza nuvole, vidi sbucare all’improvviso degli aerei. Erano una quindicina e creavano delle bellissime linee bianche sul cielo azzurro, come un disegno per effetto dell’aria e della pressione. In quel momento un dipinto astratto si sviluppò davanti ai miei occhi, prima di cancellarsi e tornare a lasciare libera la visuale. Questo suscitò in me una sorta di rivelazione spirituale, che mi fece pensare: “Perché dovrei ridurmi a dipingere qualcosa di bidimensionale, chiusa nel mio studio, quando potrei servirmi dell’acqua, del fuoco, del cielo o del mio stesso corpo per fare arte?!”. Dopo quell’esperienza non riuscii più a dipingere in studio. Iniziai a lavorare con me stessa, realizzando performance davanti al pubblico, dove nulla era finzione e tutto era reale».
Le Performance Di Marina Abramović
In molte delle sue performance lei ha esplorato il tema della fragilità, rendendosi vulnerabile e spingendosi oltre i suoi limiti. Come è stata in grado di superare le sue paure?
«Ogni essere umano ha paura di qualcosa: di provare dolore, di soffrire, di morire. La maggior parte delle persone non ama affrontare queste tematiche, cerca di evitarle. Nel mio caso, invece, le metto in scena con la performance: è il mio modo di esorcizzarle. Perché è solo nel momento in cui affrontiamo le nostre paure che ce ne liberiamo davvero. Per farlo servono determinazione, forza di volontà e coraggio; cose che non arrivano mai da sole. Vanno coltivate nel tempo, finché un giorno ti svegli e dici: “Bene, non ho più paura”».
Nella sua arte lei mette in gioco tutto, persino la sua vita. In Rhythm 0 ha rischiato di morire per amore della verità. Come può questo concetto, sublimato da quella performance, entrare nelle semplici vite di ciascuno di noi?
«Ogni singolo essere umano è un esempio a sé stante. Di base però, la gente ha paura di cose semplici. Possiamo fare una lista di ciò di cui abbiamo paura, iniziando dalle cose più facili sino alle più difficili. E poi dobbiamo avere il coraggio di affrontarle. Tendiamo sempre a fare le cose che ci piacciono, evitando ciò che non amiamo. Ma così facendo, non cambiamo mai. Continuiamo a ricadere sempre negli stessi schemi, a ripetere noi stessi. Mentre dovremmo fare proprio ciò che non conosciamo e che ci spaventa. Certo, non al punto di rischiare la vita! Io l’ho fatto perché sono un’artista. Ma le cose più semplici si possono affrontare nella vita quotidiana. Una volta fatte, si potrà andare avanti a cambiare sé stessi».
Affrontare La Paura
Dobbiamo uscire dalla comfort zone, quindi…
«Certamente. Posso prendere come esempio il cancro? È un argomento di cui la gente non ama parlare, perché fa paura. Questo è esattamente il motivo per cui dovremmo parlarne: perché ci mette a disagio. Quando si ha un tumore ci sono due alternative: c’è la possibilità di guarire o di morire. Ma se si vive ogni giorno con la paura di morire, non ci si gode la vita che si ha a disposizione. È fondamentale metterci tutta la propria forza di volontà, energia e speranza, nel credere che il corpo possa stare meglio per davvero. Quell’energia e quella speranza faranno la loro parte nel processo di guarigione. E sarà una parte incredibilmente importante. Questo concetto è valido per chiunque, non solo per chi è malato. Penso che il dolore vada affrontato senza cedere all’autocommiserazione, che ci sottrae forze ed energie. Ognuno di noi si deve chiedere quotidianamente: “Questo mi fa soffrire, è un dato di fatto. Ma cosa posso fare per stare meglio e rendere ogni giorno il più importante della mia vita?”. Sprechiamo la nostra esistenza dietro a delle futilità, invece che concentrarci a darle un senso».
Lei ha dichiarato più volte di non aver voluto dei figli, perché ciò avrebbe compromesso la sua carriera. Pensa che essere una fonte d’ispirazione nel mondo dell’arte, e non solo, possa rappresentare per lei una forma di «maternità alternativa»?
«Assolutamente. Ho così tanti “figli” in questo mondo! Non ho figli biologici, perché mi sono sempre dedicata anima e corpo alla carriera. E non avevo il tempo di farli: correvo da un capo all’altro del pianeta, come una nomade moderna. Tuttavia, ho sempre avuto studenti sparsi per il mondo che seguono e studiano la mia attività artistica. Dedico loro così tanto tempo ed energia per aiutarli a sviluppare il proprio lavoro, che è come se fossero figli miei… Indirettamente ho tutte queste cose, e ne sono felice».
Quindi rinunciare ad avere dei figli non è stato un sacrificio?
«No, non lo è stato. Un sacrificio è quando si vuole fare carriera e, al contempo, avere dei figli. Allora entrambe le cose ne soffrono. Se si sceglie una sola delle due, non c’è sofferenza. Io sono sicura della scelta che ho fatto».
Il Ruolo Della Donna E Il Sacrificio
Pensa che solitamente le donne debbano sacrificarsi più degli uomini nel corso della vita?
«Sì, decisamente. L’uguaglianza di genere paradossalmente ci ha dato molto più lavoro da fare. Fino agli anni 50, le donne stavano a casa a prendersi cura dei figli, mentre gli uomini lavoravano tutto il giorno. La famiglia era pressoché felice. Oggi la donna deve badare a tutto ciò, oltre a dedicarsi alla carriera. È un inferno, perché l’uomo non assolve a quella parte di funzione che prima era a carico della donna, e le relazioni familiari ne risentono».
Lei ha sempre esplorato la dimensione del corpo, specialmente quello della donna. Cosa pensa della condizione femminile nella società di oggi?
«Dal mio punto di vista la donna è una supereroina. Il semplice fatto che possa creare la vita nel proprio grembo è un potere enorme, trasversale a tutti gli ambiti sociali. Basti pensare alle donne scienziate, astronaute, presidenti… Oggi la donna non ha più paura di avere successo in campi tradizionalmente maschili, e ciò è incredibile. L’immagine del corpo femminile nella società invece, è tutta un’altra storia. Il modo in cui lo si ritrae nella moda, ad esempio, è totalmente sconnesso dalla realtà. Ci dicono come dovremmo apparire, e non come siamo».
Quali sono i prossimi passi nella sua carriera?
«Ho appena concluso una grande opera intitolata Vita E Morte di Maria Callas, che speriamo di poter inaugurare anche al Teatro San Carlo di Napoli, non appena sarà cessata l’emergenza Covid. Riguarda un tema che tratto da molti anni: la morte in nome dell’amore. Oltre a ciò, ho in agenda un’importante esibizione alla Royal Academy di Londra il prossimo anno: After life. Sarò una delle pochissime artiste donna ad esibirsi occupando l’intero spazio della galleria. Era da 250 anni che non accadeva, quindi è un’enorme opportunità per me, ma anche una grande responsabilità».
Il Tema Dell’Amore
Ha nominato l’amore: penso che la maggior parte delle sue performance trattino questo tema, insieme a quello del dolore. Cosa sono per lei amore e dolore?
«Penso che nella vita sia fondamentale provare l’amore incondizionato. Non si tratta dell’amore che provi per chi ti sta vicino – come il tuo partner, i tuoi figli o i tuoi genitori -, bensì per colui che ti è completamente estraneo. L’amore incondizionato è per l’intera umanità e va coltivato. Il dolore non è altro che la perdita di questo amore».
È ciò che ha provato con The Artist is Present al MOMA, giusto?
«Esattamente, e mi ha cambiato la vita. È ciò che suggerisco a tutti, con il cuore in mano. Ma per poterlo riconoscere, devi prima di tutto amare te stesso».
Lei è diventata famosa in tutto il mondo perché la sua arte è umana, vicina al cuore delle persone. Cos’ha imparato in tutti questi anni di esperienza? Come potremo «salvare» l’umanità?
«Cambiando noi stessi! È facile criticare le cose per come stanno ed essere insoddisfatti di tutto, ma l’unico modo per cambiare ciò che ci circonda, è cambiare noi stessi. Se cambi te stesso, allora puoi cambiare migliaia di altre persone».