Di Fiamma Colette Invernizzi e Edoardo Hensemberger
Fiamma: Lui da un lato, io dall’altro. Sono trascorsi più di 400 giorni dal primo lockdown. In tutto questo tempo ci saremo visti una volta sola, all’aperto, alla fine della scorsa estate, e una dozzina di volte su zoom, spesso per dibattere e trovarci in accordo nella nostra discordia. Nonostante tutto ci siamo abbracciati, senza pensarci. Ci sediamo, lui si toglie la mascherina e io, con una punta di scetticismo, faccio lo stesso. Siamo senza mascherina e non sono sicura di essere d’accordo. C’è una parte di me che pensa che dovremmo indossarla, dato che nessuno dei due ha fatto la seconda dose del vaccino. Non ci crederai, ma sono ancora entrata nell’ottica del «sono vaccinata e quindi posso non preoccuparmi». Prima pensavo a me, mentre ora so che posso essere portatrice asintomatica. Tu sei per il liberi tutti?
Edoardo: Con il Covid-19 ci vuole una percentuale maggiore di attenzione in tutto, però penso che tra vaccinati si possa allentare la guardia. Io credo che il vaccino possa rappresentare la fine di questa storia. Prima il mio pensiero era di stare attento a non prendere il Covid-19 e tutte le attenzioni erano legate a quel pensiero. Le mascherine, il disinfettante, la distanza. Come si suol dire: «ognuno per sé e Dio per tutti».
F: E com’è cambiato il tuo pensiero, dopo il vaccino?
E: L’attenzione è la stessa, ma sento semplicemente meno il bisogno di proteggermi; posso abbassare la guardia. Ovviamente senza andare a mettere a rischio gli altri.
Sono fatto così, nella mente anticipo le cose belle. Con il vaccino vale la stessa cosa, io ho fatto solo la prima dose, eppure anticipo la bellezza della sensazione di essere vaccinato completamente, facendo sparire lo strato di agitazione dato da un comportamento che potrebbe oggi essere visto come «illegittimo». Un sollievo impagabile.
F: Ti capisco, ma con me questa anticipazione non sta funzionando. Non riesco a sentirmi ancora libera, anche perché la maggior parte delle persone che ho vicine sono lontane dal fare il vaccino. Siamo ancora pochi, se ci pensi. È come se vivessi una libertà a metà, in cui non so bene come comportarmi. E avere una libertà a metà è come non averla, no?
E: Ed è proprio qui che la vediamo in maniera opposta. Io penso che sia comunque stupendo sentirsi più liberi e legittimati a fare tutto, ora che ricomincia la vita che conoscevamo. È una questione di tranquillità mentale. Le regole valgono ancora per tutti, sia chiaro, però poter essere fuori dal sistema è una cosa che mi piace molto.
F: Certo, capisco il privilegio, ma mi ci devo abituare.
E: Siamo entrati nell’ultimo anno in un clima di stress e ansia continua, che il vaccino per me ha disteso molto. Come quando a giugno finisci la scuola e ti ritrovi al lunedì che è un giorno di vacanza. Il vaccino ha alimentato le speranze di tutti, portandosi dietro anche tanti rischi, perché dopo un anno di pausa fa paura ricominciare a vivere. Siamo tutti speranzosi in vista del mare di possibilità che pensiamo ci attenda, crediamo che cambierà tutto. Non è scontato che succeda, però.
F: In un anno come questo abbiamo anche avuto tempo per pensare e prendere coscienza di certe situazioni che ci facevamo andar bene e che ora sentiamo strette. Un po’ come uscire dalla bolla pandemica, alzare la mano e avere il coraggio di dire ad alta voce che vogliamo di più e possiamo fare di meglio. Dobbiamo riuscire a mescolare la speranza a un’aspettativa dichiarata.
E: Però c’è un rischio enorme di farsi male, che è esattamente il problema che io intravedo nella speranza.
F: Ma senza questo rischio rimarremmo immobili.
E: Quest’anno e mezzo di pandemia ha creato in tutti una speranza, senza eccezioni, e questa stessa speranza che ci ha tenuto a galla, ne schiaccerà tantissimi. Sono tanti quelli che usciranno da questa situazione e penseranno che in fondo non stavano così male.
F: Però allo stesso modo farà fiorire di più altre persone.
E: Ci hanno dato a tutti un «buono speranza». Hanno tenuto in piedi il sistema togliendoci le libertà poco alla volta, perché adattassimo la nostra vita a una condizione che peggiorava pian piano. Non pensi sia stato più facile da accettare, in questo modo?
F: Non ne sono sicura. Immagina se, al contrario, ci avessero detto subito che la situazione sarebbe stata dura per qualche anno. Coprifuoco e restrizioni. Certamente all’inizio sarebbe stato un trauma maggiore, tutti avremmo fatto progetti diversi, con prospettive differenti, a lungo termine. Così è stato uno stillicidio, di settimana in settimana. Una «certezza della pena» sarebbe stata dura da mandare giù, all’inizio, ma poi avrebbe reso le cose più semplici.
E: È anche tanto una questione di carattere, sai? A una botta così pesante, in un colpo solo, magari molti non avrebbero retto. A piccole dosi invece il trauma lo superano più o meno tutti.
F: Ci hanno fatti abituare al trauma…
E: Se guardi indietro ovviamente ti rendi conto di quello che ci hanno tolto, ma ti accorgi anche di come sarebbe stato impossibile sottrarlo all’improvviso e per un lungo tempo.
F: E tu pensi che il vaccino ci restituirà tutto quello che abbiamo perso, tutto insieme? Io mi sento come se zoppicassi ancora, tra le certezze di ciò che ci hanno tolto e le incertezze di ciò che ci restituiranno. Però forse la bellezza (e la speranza) sta nel pensare che magari otterremo anche qualcosa di più di quello che avevamo…
E: Se ripensi alla scorsa estate, però, ci abbiamo tutti messo pochissimo a tornare alle abitudini, alla libertà, a vedere gli amici, come se nulla fosse successo.
F: Per questo motivo sarà anche bello e interessante osservare e capire come e quanto ci accorgeremo di ciò che è successo. Abbiamo una nuova consapevolezza? O si tratta di aspettativa? O è una speranza rigenerata, ancora più forte e concreta?
E: Sai come la penso, sulla speranza: se può generare incertezza e dolore, alla fine, con che coraggio uno pensa di sperare veramente?
F: Il problema della speranza è che genera sempre delle emozioni. Alcune possono essere molto positive – un nuovo lavoro o un nuovo farmaco – e possono generare entusiasmo e gioia. Allo stesso modo, però, la stessa speranza è in grado di corrodere queste emozioni trasformandole in rabbia e frustrazione, portandoti a pensare che sia quasi meglio non sentire nulla. Uccidere la speranza per prima, così da non avere poi più niente da perdere, è un ragionamento che capisco, ma con cui non sarò mai d’accordo.
E: Il problema è che non puoi impedire a te stesso di sperare, perché appena ricevi un input dall’esterno che ti accende, appunto, una speranza, per quanto tu cerchi di ritenere impossibile lo scenario che desideri, finisci per rimanerci male quando effettivamente non succede.
F: Però è proprio questo il bello, il sentirsi vivi grazie alla speranza. È vero, ti condanna, ma allo stesso tempo ti salva; se non vivessimo con quella luce sarebbe la solita noia. E a noi non piace la noia, no?