Ci siamo interrogati sul discorso domanda-offerta, trasportandolo al di fuori del suo normale contesto.
Ci siamo interrogati sul discorso domanda-offerta, trasportandolo al di fuori del suo normale contesto. La tematica l’ha introdotta Alessandra e nasce da un libro che parla di un’aspettativa nelle relazioni. Così è nata l’idea di cercare i campi dove tendiamo ad avere questa visione, dove ci viene richiesto qualcosa e dobbiamo offrirlo.
Sofia: Maddi l’hai sentita questa domanda sulla scuola?
Maddalena: Ultimamente ci stanno chiedendo tanto, ma è giusto che la scuola lo faccia per il mio bene. Non è un ambiente facile per nessuno, ed è normale che ogni nostra richiesta non possa venire esaudita. Allo stesso modo però, non si vede l’impegno nel cercare di venirci incontro.
Lara: A me viene in mente una domanda-offerta a livello personale. A volte sono io la prima a chiedere a me stessa di fare tante cose contemporaneamente e di farle tutte bene. Mi complico la vita da sola, compromettendo passioni e hobby, perché non ho più tempo di fare nulla.
Alessandra: Penso a una cosa che ho appreso durante gli anni di studio, quando la malattia mi ha imposto un rallentamento: è più importante un volto che un voto.
S: Il tema del rallentare per la malattia è importantissimo. Spesso il fuori non riesce ad ascoltare e a capire perché è importante fermarsi ogni tanto, per la società è sempre tutta una corsa.
M: E la paura di star rallentando troppo? Serve tenere alta l’asticella per spingere di più, anche se aumenta lo stress?
S: Per la testa è facile fermarsi e questo diventa un lasciarsi andare che non va bene. Imporsi richieste un pochino più alte è bello, è una sfida nella crescita personale. Come in tutte le cose ci vuole equilibrio e ascolto di sé. Mi ricordo un momento, durante una riunione, dove parlavamo di mercato. I consumatori possono cambiare la domanda, perché dipende da loro. È ovvio che ci vuole un movimento di tante persone, però noi abbiamo un piccolo potere che, diventando collettivo, ha la possibilità di rompere alcuni schemi.
M: Quindi qual è il ruolo che potrebbero avere gli altri?
A: Sai, molte delle persone a cui voglio bene tendono a fare tutto e non lasciano spazio agli altri. Invece, a volte bisogna fare meno – non perché tu non lo sappia fare da solo, ma perché non è sano – e lasciarsi aiutare.
M: Dove trovo il confine per capire se è utile agire o no, nel rispetto dell’altro?
L: Da un lato dipende molto da come l’altra persona sta in quel momento. Sembra una cosa banale, ma ho imparato che è fondamentale ascoltare attivamente, lasciando che l’altro sia totalmente se stesso. Solo dopo che hai ascoltato ti puoi permettere di dare un consiglio. Poi ci sono momenti in cui alcune cose si possono affrontare e altri in cui si peggiorerebbe la situazione. È un equilibrio instabile, in continuo cambiamento. La capacità di stare insieme in questa incertezza fa la differenza per trovare una strada giusta per uscirne.
S: Concordo in pieno, però a volte è giusto anche smuovere e stimolare alla reazione. Nei miei momenti di debolezza avere qualcuno che mi «pressasse» è stato molto utile. Ho lottato tantissimo e una delle domande più difficili per me è stata quella della maternità. Dentro avevo questa cosa fortissima che mi faceva pensare di essere sbagliata, invece col tempo mi sono resa conto che nella mia storia personale non avevo ancora avuto la vocazione. A volte ci facciamo domande che nascono da convenzioni e da ruoli che crediamo di dover avere, invece è bello scoprire la diversità. La vera domanda è capire quali sono le domande giuste.
A: Non so come rispondere, perché mi sono sempre posta una domanda molto diversa. Una delle frasi che mi piace di più è: «impara a dare quello che prendi, lascia sempre più di quello che c’era». Cosa lascio in un posto dove ho preso?
M: Hai lasciato la tua impronta, che è tanto e va bene a prescindere, perché è tua. Poi sapranno gli altri prendere a loro volta e lasciare.
L: Spesso sento il bisogno di fare domande per avere certezze, per sapere cosa sta per succedere. L’ho notato quando sono andata a fare il Dialogo nel Buio, all’Istituto dei Ciechi. Nel buio totale ero completamente spaesata, il non sapere mi faceva paura.
S: Sono con te, per qualsiasi cosa debba fare, parto con mille domande, mille aspettative. Quando ho troppa aspettativa, mi rendo conto che perdo il momento, rimango chiusa nel mio schema mentale e non vivo quell’opportunità.
M: L’opposto di questo è la situazione in cui vai senza farti aspettative, quando dai senza chiedere. Questo rende più felici, o è solo incoscienza?
S: Penso che lasciarsi andare, vivere quel momento, sia la cosa più importante, ma non ci si deve scollegare da quello che si è. Da una parte c’è il mettersi in gioco, dall’altra c’è il valorizzare quello ti piace, cosa ti fa bene e cosa no.
Giancarlo: Vi racconto come ho risposto alla mia domanda che cercava sicurezza. Avevo un prof di religione, che mi ha insegnato tre parole: analisi, tattica, strategia. L’analisi è quando metti sul tavolo gli elementi di discussione, poi fai la tattica e la strategia per decidere come comportarti.
M: Il dubbio che mi rimane è che se sto a pensarci troppo, poi «passa il treno» e lo perdi. Farsi un piano in mente può caricare troppo le aspettative. Se non va come pensavi, cosa fai?
G: Non devi mai avere il piano, però se non sei organizzato perdi sempre. Se c’è il sole metto la maglietta, se piove prendo l’ombrello. Ti devi adeguare alle cose, ma ci sono anche cose che dipendono da te. Che cosa dipende da te? E che cosa non dipende da noi? Una malattia dipende da noi? No! Il denaro dipende da noi? No! Il tempo dipende da noi? No!
A: Il modo di affrontare una malattia si!
G: Solo se sei strutturato, con analisi, tattica e strategia. L’unica cosa che dipende da noi sono le nostre convinzioni, lo sguardo sugli altri e il credere. Tutto è dentro questo incastro magnifico della vita.
L: In Bolivia, quando ho lavorato in un carcere minorile, un ragazzino aveva finito di scontare la sua pena e quindi poteva uscire, ma si mise a piangere. Mi disse: «Qui fuori non ci sono tante possibilità, non ho tanta scelta. O uccidi qualcuno e finisci in carcere, o vieni ucciso. Tutte le scelte della mia vita sono determinate dal posto in cui sono nato». L’idea che non abbia potuto scegliere fa arrabbiare.
G: Pensiamo all’agente che salva il bambino dal mare: questo fa scattare in noi esseri umani un processo di identificazione del se fossi stato al suo posto, che nel gioco della domanda-offerta, se viene saltato non ci permetterebbe di comprenderlo a pieno. Come si fa a spiegare? Che possibilità hanno i giovani di migliorare la loro posizione? L’Italia oggi è un Paese che non ti permette di sperare. Abbiamo il dovere di rompere gli schemi per dare a tutti una possibilità. Per quel bambino salvato nella domanda-offerta c’è in ballo la vita. E per tutti quei giovani che cercheranno un lavoro sono le opportunità. Pensiamo all’atto di togliere l’1% ai super ricchi per darlo ai giovani.
M: Mi verrebbe spontaneo pensare se è giusto togliere loro questi soldi, visto che se li sono guadagnati. Non passiamo dalla parte del torto?
G: Il punto è che tu hai guadagnato tanti soldi, perché non ne puoi dare un po’ di più? Non è che tu non devi rimanere ricco, ma data la tua fortuna potresti donare.
M: Cosa potrebbe far scattare questo sistema di domanda-offerta? Solo una disgrazia?
L: C’è sempre la questione degli equilibri, per cui devono esserci i super ricchi, che si sentono superiori e non donano per prepotenza e i super poveri. È uno squilibrio di poteri che deve cambiare.
G: Pensiamo alla storia di una nostra ragazza sieropositiva dal giorno zero. Qui ci si scontra con una terza via, come fai a vivere in questo modo? La domanda-offerta forse è nel mistero della vita, ci vuole fede per spiegarlo.
M: È come se lei dovesse rispondere a una domanda troppo grande, ma dove c’è una domanda grandissima, vi sarà anche una grande offerta.
G: Infatti lei sta offrendo, ci sta dando tanto. Che cosa c’è nella domanda-offerta del ricco/povero, malato/sano, che non sappiamo?
A: Dentro a tutte queste domande c’è l’uomo, che non è Dio. Non è solo povero, non è solo malato, è un insieme che non scegli tu. Puoi pensare che le domande a cui devi rispondere siano sbagliate, ma non le hai scelte tu.
L: È una di quelle domande che non hanno una risposta, quelle domande ricche che ci portiamo sempre dentro, interrogandoci.
A: Paradossalmente mi viene da pensare: perché io ho questa fede smisurata e l’altro no? Perché io sono qui e non su un barcone?
L: Questa dovrebbe essere la chiave per smetterla anche solo di pensare di poter lasciare la gente in mezzo al mare. A me viene spontaneo chiedermi chi sono io per decidere la vita di una persona. È la domanda che dovrebbe far cambiare gli equilibri.
G: Bisogna avere fede per sentirsi su un barcone, o può anche un laico?
A: Secondo me non è la fede che educa, ci sono tante persone diverse da me che non hanno la fede, però si interessano dell’altro, così come ce ne sono altre che vivono come credenti e poi non guardano in faccia il povero. Non è la fede che ti porta sul barcone, ma l’empatia.
M: Sono d’accordo, credo in Dio, ma non penso che questo mi dia una marcia in più, o mi renda migliore di altri. Di sicuro la fede può guidare all’attenzione verso l’altro, perché c’è di fondo un messaggio di amore e di pace.
G: Fra domanda e offerta, pensando al barcone nel Mediterraneo, cosa vi viene in mente? Cos’è la domanda e cos’è l’offerta?
M: L’offerta è la tua persona, che, a prescindere, può dare qualcosa. La domanda nel caso del barcone è una richiesta di vita, ci sta chiedendo una chance, anche se è sbagliato che debba chiedercelo, dovrebbe essere gratuita e garantita.
A: Qualcosa devi seminare per forza, quello che tu fai spesso non lo vedi, è seminare sperando che qualcun altro sappia annaffiare quel campo e far crescere qualcosa. Io non posso salvare il mondo, però posso lasciarci un seme.
L: Le persone che affrontano il viaggio sul barcone chiedono il diritto di esistere. La domanda-offerta, poi, la possiamo cambiare noi nel nostro piccolo. La cosa che mi viene da dire è che ognuno di noi lascia qualcosa e inevitabilmente sta già cambiando il mondo. Da soli non possiamo cambiarlo, ma le piccole cose lo rendono già diverso da prima, quindi servono e trasformano.