Sport e tecnologia: supporto o Doping Tecnologico

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Sport e tecnologia, quando si può paralre di supporto e quando di doping tecnologico? Un fenomeno che con l’avanzare del progresso diventa sempre più frequente.

di Giovanni Ravasi

Da sempre sport e tecnologia sono andati di pari passo. Pensiamo all’evoluzione continua dei materiali e come sono mutati nel corso dei decenni, partendo dagli sci, prima di legno e ora di alluminio, fino ai palloni, prima di pelle con prominenti cuciture e poi con la valvola a iniezione e di materiali sintetici.

La tecnologia sta facendo passi da gigante con tecniche sempre più all’avanguardia per supportare il mondo dello sport.
Tutto ciò per rendere l’intrattenimento sempre più spettacolare e l’allenamento più accurato in ogni sua fase. Un esempio? Alcuni atleti professionisti hanno la possibilità di studiare ogni possibile scenario di infortunio in gara e di prepararsi alla tensione pre-gara, grazie all’utilizzo della realtà virtuale, magari calzando le Smart Shoes, calzature fornite di sensori che registrano dati sulla distanza percorsa, sul numero di passi effettuati e sulla postura, con lo scopo di raccogliere informazioni mai rilevate in precedenza.
La tecnologia permette sia una maggiore accuratezza nell’analisi legata ai risultati, sia un supporto nell’indagine della situazione psicologia dell’atleta.

Il Doping Tecnologico

E se si superasse il limite creando un divario tra gli atleti? Si parlerebbe di un fenomeno che negli ultimi vent’anni si è diffuso nelle più varie forme: il Doping Tecnologico.
L’utilizzo di tecnologie che in qualche modo contribuiscono al miglioramento illecito delle prestazioni di un atleta, minando la correttezza della competizione, è una pratica che purtroppo si muove di pari passo con lo sviluppo tecnologico dello sport e che non sempre è facile da esporre e denunciare.

Sono numerosi i casi in cui il risultato di una gara è stato frutto di una commistione tra l’effettiva bravura dell’atleta e il supporto di strumenti che gli hanno permesso di partire da un gradino superiore rispetto ai suoi avversari, e se oggi lo sappiamo è perché fortunatamente queste scorrettezze sono state scoperte.

Gli esempi di doping tecnologico sono numerosi, da costumi da nuoto con inserti in poliuretano che permettono di restare più facilmente a galla, a piccoli motori nascosti nel telaio delle biciclette per agevolare la pedalata, fino ad arrivare a scarpe che rendono il corridore più leggero e veloce.
Se in alcuni casi l’abuso della tecnologia dunque è veramente dannoso per la competizione, in altri, tuttavia, è necessario riconoscere le effettive capacità fisiche dell’atleta rispetto al supporto tecnologico.
Nel 2019 il maratoneta keniota Eliud Kipchoge è sceso sotto il muro delle due ore nella maratona di Vienna, un risultato che nessuno aveva mai ottenuto prima. Questo primato, però, è stato messo in dubbio perché l’atleta avrebbe corso utilizzando un modello di scarpe che, secondo le stime, è in grado di migliorare l’economia della corsa del 4% e per questo è stato accusato di doping tecnologico.

Supporto tecnico o doping tecnologico?

La domanda che sorge è se sia sensato credere che le scarpe abbiano realmente fatto la differenza, o se invece l’abbia fatta la preparazione del corridore, che aveva studiato alla perfezione le condizioni esterne ed era stato supportato dai compagni durante tutta la corsa, oltre la sua indubbia bravura.

È importante valutare a fondo il supporto tecnico e creare un regolamento chiaro che detti i parametri oltre i quali si possa parlare di doping tecnologico, altrimenti il rischio è quello di gridare allo scandalo ogni qualvolta viene stabilito un nuovo record.
Una domanda sorge però spontanea: il tessuto del costume da bagno, il materiale degli sci e i supporti che la tecnologia fornisce sono così fondamentali per mantenere il valore intrinseco dello sport?

Per rispondere bisogna comprendere quanto tali innovazioni influenzino il vero e proprio protagonista dello sport, che è l’uomo. Ciò che dobbiamo evitare è di abbandonarci a tecnicismi e perdere la vera essenza delle discipline sportive, la parte umana di intuito e sentimento che contraddistingue le attività fisiche che svogliamo, come il rapporto con avversari e compagni e una valutazione dell’allenamento basata sulle considerazioni che facciamo noi mediante un’autoanalisi, non solo una mera valutazione di dati svolta da uno strumento.

Auto-analizzarsi significa conoscere i propri limiti, la propria mente e la propria persona per rendere poi al meglio delle proprie abilità. Nessun marchingegno assumerà questo ruolo, neanche tra cent’anni.
La tecnologia deve essere di supporto per migliorare la nostra esperienza sportiva, non deve prendere il posto del cuore, della passione e della fratellanza, sostituendola con numeri più adatti a computer e altri aggeggi metallici. Lo sport, in fin dei conti, rimane un’attività prettamente umana e ci auguriamo che si mantenga così anche in futuro.

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