Eda Gjergo «Un futuro nello spazio, in altri pianeti»

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Eda Gjergo interpretata da Chiara Bosna
Eda Gjergo interpretata da Chiara Bosna

Eda Gjergo, la pupilla di Margherita Hack, oggi ricercatrice presso l’Osservatorio di Trieste, ci parla nell’intervista della sua storia e di come vede il futuro.

di Alice Nebbia

Tenacia, determinazione e una grande passione: le stelle. Così Eda Gjergo, la giovane scienziata con un curriculum d’eccellenza e una formazione avvenuta tra l’Italia e gli USA, racconta al Bullone la sua storia, il suo percorso, il futuro della scienza e della tecnologia e l’incontro folgorante con l’illustre scienziata Margherita Hack e insieme a lei la pubblicazione del libro Così parlano le stelle.

Eda, ci racconta la sua storia?

«Sono nata in Albania, mio papà è mancato quindici giorni dopo la mia nascita. Durante la prima infanzia mi sono trasferita con mia mamma in Italia su una nave panamense. Non avevamo nulla. Mia mamma non sapeva la lingua; io conoscevo un pochino d’italiano perché la babysitter che mi seguiva in Albania era italiana. Crescendo ho potuto constatare la forte integrità morale di mia madre, che con grande serietà e umiltà si è adattata a svolgere diverse mansioni in un Paese, come l’Italia, che era in grado di offrirci maggiori opportunità rispetto al mio Paese natio. Sono stata accolta a braccia aperte dal popolo italiano e sono grata in tutti i sensi per tutto quello che ci ha donato. Ho spesso riflettuto e la ricchezza culturale che ho ricevuto in Italia è imparagonabile. Ho frequentato le scuole medie e il liceo a Firenze. Ho avuto professori di filosofia, storia e letteratura che con tanto orgoglio parlavano della tradizione culturale e artistica del Paese. Allora mi chiedevo che senso avesse parlare d’orgoglio per qualcosa che non avevano fatto loro. Con il tempo mi sono resa conto che l’orgoglio consiste nella responsabilità di preservare una tradizione culturale e assicurarsi che le generazioni future possano beneficiare di quello che è stato tramandato. Mi sono poi trasferita in America, dove ho frequentato l’università e poi nuovamente in Italia, a Trieste, per il dottorato. In questo lungo percorso di formazione, per me è stato folgorante l’incontro con la scienziata Margherita Hack».

Eda e Margherita

Chi era Margherita?

«Ho visto Margherita durante un episodio di In viaggio nel cosmo di Piero Angela, dove Margherita era ospite insieme a Franco Pacini. Ne sono rimasta subito colpita. Mia mamma, che ha sempre supportato la mia passione verso la matematica e le scienze, mi ha incoraggiata a contattarla e la scienziata mi ha subito risposto. A quei tempi Margherita dirigeva la rivista di scienze e cultura, l’Astronomia. La grandezza di Margherita stava nella sua grande sensibilità verso le persone più piccole e meno importanti della società. Ho capito come sapesse guardare ben oltre le costruzioni sociali e mettersi davvero in sintonia con ogni essere umano. Anche con gli animali. Aveva un livello d’empatia straordinario, una grande purezza e gentilezza d’animo. Spesso non mi sento all’altezza di tutta l’ispirazione che ho avuto. Anche Aldo, marito di Margherita, è stata una persona molto interessante, un motore silenzioso ma motivante nelle scelte della moglie».

Come è nata la sua passione per la scienza?

«Era il luglio del 1994, allora avevo cinque anni. La cometa Shoemaker-Levy 9 era precipitata sopra Giove; se ne parlava al Tg, persino su Topolino. Mi aveva colpito un’affermazione che contestualmente era stata pronunciata: “Il Sole è una stella…” Davvero? Com’è possibile? Ne dovevo capire di più. Allora ho iniziato ad appassionarmi all’astronomia, a legger d’un fiato un atlante che la mamma mi aveva regalato e, quando ho capito che dietro a questa scienza si celavano veri professionisti ed esperti, mi sono detta: “Questo è quello che voglio fare, voglio diventare astronoma”. È stato un percorso impegnativo, ma grazie a tutte le persone che mi hanno sostenuto, in particolare mia madre e Margherita, sono riuscita a proseguire, ad adattarmi a ritmi frenetici, a perseverare».

Nella foto Eda Gjergo insieme a Margherita Hack

Rapporto uomo-tecnologia

Come immaginerebbe Margherita Hack il rapporto dell’uomo con la tecnologia?

«Margherita era una persona molto abitudinaria, amava la natura, si svegliava alla stessa ora, faceva la stessa colazione, usciva con il suo amato cane e, una volta di ritorno, leggeva. Al mattino leggeva e al pomeriggio scriveva. Amava le sue abitudini, i suoi ritmi. Aveva un rapporto molto sobrio con la vita e usava le tecnologie come supporto a ciò che serviva per vivere la vita piena, per godere delle cose semplici. La lezione più grande che mi ha dato è stata di semplificare, sia nella vita quotidiana, sia nel pensiero scientifico. Cercare di capire l’essenza delle cose. Non amava essere bombardata da troppe informazioni che poi andavano ad offuscare il pensiero. Credo che la dipendenza dalle tecnologie, che ormai si è creata, non avrebbe scalfito minimamente Margherita, perché lei sapeva distanziarsi, sapeva recuperare il contatto umano, sapeva respirare aria fresca».

Come lo immagina lei, invece?

«Sono di natura una persona abbastanza ottimista. Anche se il nostro futuro prossimo, per via dei cambiamenti climatici e altri problemi di natura politica potrebbe essere catastrofico, ho molta fiducia nell’ingegno umano. Penso, ad esempio, alle ricerche che si stanno portando avanti per il problema della plastica, in particolare della microplastica presente negli oceani e in molti pesci. Recentemente, un gruppo di scienziati ha scoperto che vi sono alcuni microbi in grado di metabolizzare la microplastica e quindi, anche se alcuni esseri umani sono responsabili di un certo declino, altri sono riusciti a trovare una nuova via di salvezza. È comunque una nostra responsabilità non chiudere gli occhi su quanto accade, per il bene delle generazioni future. Ho fiducia che fin tanto che la cultura verrà preservata, almeno da una parte di persone, questi attacchi all’umanità e al pianeta potranno essere risolti».

Eda Gjergo (Tirana, 1989) Giovanissima incontra Margherita Hack di cui diventa allieva prediletta. Si laurea in Matematica e Astrofisica negli Stati Uniti; prende il dottorato in Fisica a Trieste e attualmente lavora all’Università  di Wuhan.

Il futuro nello spazio

Per lei l’avatar è qualcosa di disumanizzante?

«Lo si può vedere da diverse prospettive. Potersi nascondere dietro un’identità che altri non conoscono, da un lato è liberatorio, anche se, nelle mani sbagliate, questo può portare ad un ambiente estremamente tossico e pericoloso. Da un altro punto di vista, per persone molto timide o che non hanno l’opportunità di esprimere certe idee nella vita quotidiana, questo può consentire di esplorare determinate convinzioni o insicurezze. Credo comunque, che l’avatar possa essere visto sia come uno scudo, sia come un ostacolo nel comportarsi come dovremmo comportarci, ossia avere delle interazioni dirette, guardare una persona negli occhi, avere una serie di stimoli che possono essere percepiti solo dal subconscio. Stimoli che, diversamente, vengono persi».

Il presente che verrà, secondo lei, sarà sulla Terra o nello spazio?

«Mi auguro nello spazio! Certo le persone che andranno a colonizzare un nuovo pianeta, dovranno avere lo stesso spirito d’intraprendenza di altri esploratori del passato. Mi incuriosisce l’idea del turismo spaziale e mi sono spesso domandata se potrò essere testimone di qualcosa di simile nel corso della mia vita. L’idea dell’ingegno umano di espandersi nello spazio, nel “vicino più vicino”, mi affascina sempre».

Un’ultima domanda: in questo futuro sempre più tecnologico, ci sarà ancora spazio per le emozioni, per un sentire autentico?

«Siccome le tecnologie non sono il mezzo ideale per vivere le emozioni appieno, credo che questo possa far rendere conto all’umanità quanto sia importante la relazione umana. Spero che l’assenza delle interazioni, generata spesso dalle tecnologie, consentirà alle persone di dare più importanza ai rapporti umani, personali e sociali».

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