Anna Abatematteo: hikikomori termine giapponese utilizzato per indicare un fenomeno che riguarda soprattutto i ragazzi tra i 14 e i 30…
Hikikomori è un termine giapponese utilizzato per indicare un fenomeno che riguarda soprattutto i ragazzi tra i 14 e i 30 anni. Quando decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi. Abbiamo intervistato Anna Abatematteo, pedagogista esperta del fenomeno e impegnata attivamente all’interno dell’associazione Hikikomori Italia genitori ONLUS.
Vorremmo porre attenzione su questo fenomeno sociale cercando di capire, prima di tutto, di che cosa si tratta.
«È un fenomeno che nasce in Giappone, ma che in realtà appartiene a tutti i Paesi economicamente avanzati. Il termine, si riferisce al fenomeno per cui i ragazzi tendono all’isolamento sociale. Questo a causa di una profonda fatica nel portare avanti le richieste pressanti della comunità. Richieste che molto spesso riguardano studio e lavoro, per esempio».
Anna Abatematteo sul come risolvere questa patologia
Quali possono essere le dinamiche che portano questi ragazzi all’isolamento sociale?
«I ragazzi Hikikomori sono estremamente sensibili ai grandi temi della vita e con un’intelligenza notevole che li porta spesso a provare disagio. Quindi a nascondersi dal mondo sociale per sentirsi “al sicuro”, mantenendo i contatti con l’esterno quasi esclusivamente in modo virtuale. La maggior parte di questi ragazzi è anche vittima di bullismo da parte dei coetanei per le loro caratteristiche fisiche o legate alla personalità. Non ultimo, c’è l’aspetto familiare, in cui spesso entrano in gioco genitori molto protettivi e richiestivi, o al contrario, particolarmente assenti».
In questi due anni abbiamo vissuto tutti quanti l’isolamento legato alla pandemia. Che cosa è cambiato per questi ragazzi?
«Ci sono due risposte, perché potremmo suddividere i ragazzi in due gruppi. Chi era isolato e voleva rimanere in quella condizione. Tirando un sospiro di sollievo nel poter evitare le continue richieste della società o della famiglia. Chi invece cercava di uscire dalla situazione di isolamento iniziando a riprendere le normali attività sociali. Così si è visto costretto ad interrompere un percorso che a fatica stava intraprendendo. La pandemia ha quindi determinato sia aspetti positivi che negativi, a seconda del percorso individuale di ogni ragazzo».
Hikikomori approcci e altro
Qual è l’approccio terapeutico? Lei ha qualche storia di speranza da raccontarci?
«Si tratta prevalentemente di interventi di tipo sistemico-relazionale. Non si lavora solo sul ragazzo, ma anche su tutto il sistema familiare. I genitori sono spesso disperati perché non sanno come aiutare i loro figli, quindi primariamente si cerca di offrire loro supporto gratuito. Abbiamo avuto dei ragazzi che dopo mesi e mesi di isolamento sociale all’interno della propria cameretta, hanno deciso di incontrare di nuovo i genitori. Di uscire con loro per un gelato. Di fare una passeggiata e quindi pian piano di riappropriarsi della normale vita di adolescenti, ritrovando i propri obiettivi di vita».
Noi in che modo possiamo aiutare concretamente?
«È importante sensibilizzare il territorio attraverso la partecipazione a convegni. Con il volontariato, la distribuzione di opuscoli dal medico di famiglia, a scuola o in università, organizzare eventi. La scuola è un importante campanello d’allarme. Noi come associazione abbiamo preso contatti con il MIUR. Si è accorto del fenomeno e ha deciso di definire delle linee guida di intervento per tutti i ragazzi Hikikomori a scuola. Aderire alla campagna di sensibilizzazione è perciò importantissimo».