di Pietro Lenzi, B.Liver
Il cambiamento climatico è un nostro problema. In questo articolo Pietro Lenzi analizza i motivi che ci impediscono di contrastare efficacemente il surriscaldamento globale.
Emissioni di CO2 e morte: un legame millenario
Nel 300 a.C Alessandro Magno spaventava gli elefanti dei suoi nemici con torce a petrolio.
Nel 4000 a.C il petrolio veniva già impiegato per l’asfalto e, successivamente, utilizzato dagli antichi Egizi per l’imbalsamazione delle mummie. Tra idrocarburi, emissioni di CO2 e morte è perdurato, nel corso dei millenni, un innegabile e raggelante legame.
La curva di Keeling, grafico utilizzato spesso come modello che traccia le emissioni di CO2 nell’atmosfera durante la storia fino a 800mila anni fa, può renderci più chiara l’evoluzione del cambiamento climatico nel corso dei millenni.
Grazie ai dati ricavati da carotaggi nel ghiaccio prima del 1958, si è potuta ottenere una linea spezzata più o meno monotona con ampiezza ridotta, a causa dell’alternarsi di ere glaciali e interglaciali. Queste sono causate sostanzialmente dalla variazione periodica dell’orbita terrestre intorno al sole nel corso di tempi incompatibili con la durata della vita umana.
Il parere della comunità scientifica sul problema climatico
Se si confronta, però, l’andamento del grafico di Keeling con quello del Global Carbon Project, dove si considera l’attività umana più recente fino al 2018, si nota la crescita repentina e senza precedenti delle emissioni. Il grafico sembra una mazza da hockey stesa.
Il parere della comunità scientifica globale è pressoché unanime: la colpa è, in misura molto consistente, dell’essere umano.
“Il parere della comunità scientifica globale è pressoché unanime: la colpa è, in misura molto consistente, dell’essere umano.”
Pietro Lenzi
Troppi fattori si sovrappongono. L’aumento drastico delle emissioni è proprio coinciso con la moderna era industriale e segue la tendenza di consumo dei combustibili fossili.
Inoltre, vicissitudini politiche ed economiche hanno impattato, seppur minimamente, sulla repentina crescita di emissioni (vedi COVID con il lockdown).
L’evidenza scientifica, guardando ai dati del passato, sembra essere incontrastabile e le persone stentano a cambiare stili di vita e sono granitiche, pur essendoci minacce ingenti in arrivo.
L’aumento di pandemie, l’inondazione di luoghi a noi cari, l’aumento dei prezzi del cibo che compriamo, l’aria che diventerà irrespirabile (in alcune zone come della Pianura Padana siamo già a un ottimo punto) e l’acqua che mancherà sono solo alcuni, pochissimi dei problemi in cui incorreremo di enorme importanza sociale, economica e politica.
Le consegunze del cambiamento climatico: il caso del Bangladesh
Prendiamo in esame il caso del Bangladesh presentato recentemente anche dai maggiori giornali italiani. 500mila persone all’anno partono dal Bangladesh per spostarsi nelle baraccopoli delle grandi città, come la capitale Dhaka, per condizioni meteorologiche estreme (70 per cento dei residenti degli slum della capitale si è trasferito a causa delle sfide ambientali).
Il Paese si trova a pochi metri sopra il livello del mare e l’acqua salina invade i campi di riso la cui coltura impiega una fetta consistente della popolazione ed è fonte di sussistenza per più di 100 milioni di bengalesi. I monsoni tra maggio e luglio sono sempre più devastanti e l’abbondanza d’acqua porta con sé malattie come colera, diarrea e malaria.
Le emissioni di CO2 di altri Paesi e il riscaldamento globale mondiale danneggiano pesantemente e sempre più spesso Paesi che non hanno nemmeno la capacità economica di fronteggiare la crisi. Nazioni che non compaiono neanche tra i maggiori responsabili della crisi climatica.
Emblema degli effetti del surriscaldamento globale, il Bangladesh è la rappresentazione realistica di quello che potrebbe accadere a molti altri luoghi del mondo, anche significativamente più vicini a noi.
Lo scenario futuro: le previsioni dell’IPCC sul riscaldamento globale
Come potremmo agire senza sapere che cosa potrà accadere in futuro?
L’alto grado di incertezza riguardo al complesso di conseguenze legate al cambiamento climatico viene riconosciuto anche dal maggiore intermediario mondiale tra ricercatori scientifici che si occupano di clima e i governi delle nazioni: l’IPCC o Intergovernmental Panel on Climate Change. Nei suoi rapporti il requisito di riduzione delle emissioni stabilito dall’IPCC è calato dal 2007 al 2014, mentre nel 2018 è tornato a un orientamento più allarmista con l’imperativo di limitare l’innalzamento della media globale a 1,5 gradi anziché 2 gradi.
È estremamente complicato prevedere il futuro, anche se spesso ci vengono forniti gli scenari più ottimistici.
Le previsioni vengono sempre effettuate con stime di probabilità ragionevoli basate su modelli matematici. Ma è veramente possibile valutare in quanto tempo gli uomini cominceranno a interessarsi realmente al problema climatico?
Le idee di Chomsky e Franzen per contrastare il cambiamento climatico
Chomsky, intellettuale statunitense e professore di linguistica al MIT di Boston, nel libro Minuti contati, crisi climatica e green new deal di Chomsky e Pollin, propone un approccio assicurativo al cambiamento climatico: bisogna impegnarsi fin da subito per proteggere noi stessi dalla minaccia e grave eventualità di una catastrofe ecologica imminente.
E se non ci saranno cambiamenti effettivi devastanti nei prossimi anni, oppure non ci sarà via di scampo, la soluzione per il forte dubbio sarà probabilmente una scommessa come quella di Pascal. Bisognerà tentare delle azioni il più possibile giuste per il solo motivo che sono scelte buone, aldilà che ci sia la salvezza eterna o che riusciremo a evitare il disastro climatico.
In ottica meno utopistica, più pessimistica verso una possibile trasformazione radicale della natura umana, si potrebbe seguire quanto suggerito da Franzen nel libro E se smettessimo di fingere?.
L’emerito scrittore e saggista americano propone di smettere di conservare la speranza di vincere la guerra per cominciare a «combattere battaglie più piccole e locali con qualche realistica speranza di vincere». Forse così, anche senza stravolgere completamente le nostre vite, potremmo effettivamente agire con più concretezza per ottenere più velocemente obiettivi pratici nella quotidianità. Altrettanto fondamentali per combattere la crisi climatica.
Disobbedienza civile e movimenti di attivisti: quanto contano per rallentare il riscaldamento globale?
Quanto conta la disobbedienza civile per sopperire ai danni del riscaldamento globale?
Le proteste devono essere effettuate a favore del popolo e del cambiamento come movimenti di attivisti d’esempio, che hanno ottenuto conquiste in ambito ambientale, come quelli sorti nel Mediterraneo Occidentale (Spagna, Francia e Italia) per contrastare le trivellazioni di petrolio e gas naturale.
Il loro scopo dovrebbe essere quello di stimolare una riflessione e persuadere le persone a generare abbastanza clamore tra i politici, perché le proposte vengano prese in considerazione.
Quando le manifestazioni degli attivisti ambientali si scontrano contro la stessa gente per cui lottano, si crea un grande fraintendimento.
Come può un gruppo di attivisti essere supportato dalle persone quando è di ostacolo alle loro attività quotidiane? Perché imbrattare opere d’arte (seppur danneggiando effettivamente solo le cornici, i quadri presi di mira erano protetti da lastre di vetro, ndr) per i propri ideali
L’arte è atemporale, mentre dovremmo lottare qui e ora nel presente contro l’inerzia verso prese di posizione reali e concrete dei governi.
Non occorre danneggiare la bellezza. La notizia centrale non dovrebbe essere l’atto di vandalismo, ma la crisi a cui stiamo andando incontro e nella quale ci troviamo indubbiamente anche ora, in questo istante.
“La notizia centrale non dovrebbe essere l’atto di vandalismo, ma la crisi a cui stiamo andando incontro e nella quale ci troviamo indubbiamente anche ora, in questo istante”
Pietro Lenzi