Beniamino Pagliaro, intervista all’autore di “Boomers contro Millennials”

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Il giornalista di Repubblica Beniamino Pagliaro riflette su come le generazioni facciano fatica a comunicare. Leggi l'intervista!
Beniamo Pagliaro

di Federica Margherita Corpina, B.Liver

Il giornalista di Repubblica Beniamino Pagliaro, autore del libro Boomers contro millennials, riflette su come le generazioni facciano fatica a comunicare. Smettiamo di dire «Studia tanto e andrà tutto bene ».

Scontro generazionale. O generazioni contro, restando al titolo del tuo ultimo libro, Boomers contro Millennials. Partirei da quello, o meglio da un elemento che vi fa qualche comparsa: il tema dell’analisi.

A ben guardare, il processo di risanamento di questa frattura, somiglia più a una psicoterapia che a una cura farmacologica. Nell’ambito della salute mentale, infatti, prima di compresse, punture e caccia alla causa scatenante, viene la consapevolezza.

Vorrei chiederti, dunque, se e in quale misura è stata raggiunta tale consapevolezza, nell’ambito di questo conflitto? La nostra società si è già seduta di fronte all’analista per affrontare un primo colloquio, o tenta di creare altre bugie e tenere in piedi, pur se visibilmente zoppe, quelle già dette?

«Facendo dell’analista una metafora del confronto con la realtà, direi che no, la nostra società si ostina ancora a non guardarla in faccia.

I numeri parlano, eppure lo scontro generazionale è così silenzioso, così sottotraccia e poco organizzato, che non si sente la necessità di dargli dignità politica. È un circolo vizioso, e spezzarlo richiede coraggio; anche perché è spesso più facile mettersi in moto soltanto quando le circostanze si fanno emergenziali.

L’errore forse più grande è quello di non considerarlo un problema di tutti. Singolarmente, un po’ alla volta, cresciamo, e tendiamo a trascurare la fatica che abbiamo fatto per ottenere un mutuo, o il tempo che abbiamo impiegato a trovare un lavoro. Ma le conseguenze sono innegabili, e si ripercuotono inevitabilmente anche sulle generazioni a venire.

I redditi dei cosiddetti Millennials, per fare un esempio, sono incredibilmente bassi. Così bassi che è difficile anche solo pensare di accendere un mutuo per mettere su casa. Così bassi che è più facile andarsene. E le previsioni non promettono miglioramenti: negli anni dal 2030 al 2045, infatti, la spesa per pagare le pensioni sarà troppo alta per pensare di poter spendere in altro.

Ma, per quanto ogni volta la storia possa rischiare di ripetersi, la beffa è che il Paese comunque reggerà: the show must go on, pure se a scapito dei soggetti più deboli».

“I numeri parlano, eppure lo scontro generazionale è così silenzioso, così sottotraccia e poco organizzato, che non si sente la necessità di dargli dignità politica.”

Beniamino Pagliaro

Mantenendo il parallelo, in termini freudiani si potrebbe parlare di «rimosso» e «resistenza». Qual è la realtà intollerabile che il sistema ha interiormente cancellato per proteggersi dalla verità? A cosa è dovuta questa resistenza a riconoscere un problema che viene più comodamente travestito da scontro generazionale, con il conseguente risentimento che inevitabilmente ne deriva?

«Citavo prima la soglia del 2045: quello che succederà allora non sarà che il frutto di una misura politica adottata nel 1992, quando ci si rese conto che il calcolo dell’assegno pensionistico sulla base delle ultime retribuzioni non solo era un metodo poco meritocratico, ma pure economicamente insostenibile.

Ecco che si passa allora a un sistema di tipo contributivo, che sancisce una corrispondenza più equa tra ciò che si fa e ciò che si ottiene (oltre a non incoraggiare strategiche promozioni dell’ultimo mese). L’intervento, anche in questo caso, viene messo in atto in un momento di profonda crisi; dal 2045 ne vedremo i benefici.

Ma si tratta di ambiti, questi, in cui la capacità di cambiare è limitata da un continuo braccio di ferro tra buona volontà e inerzia, ed è quasi sempre quest’ultima ad avere la meglio.

Se poi ci aggiungiamo la tendenza tipicamente italiana a omaggiare con nostalgia i tempi passati e il pregiudizio negativo nei confronti del futuro, il blocco è inevitabile».

Restando in tema di cancellature. Se, sulle orme dell’artista Emilio Isgrò, potessi cancellare gran parte del tuo testo, quali parole lasceresti emergere dal bianco di tutto il resto per affidare loro il difficile compito di portare il peso e il senso dell’intero libro?

«Dipende. Probabilmente opterei per un’opera personalizzata, selezionando i contenuti in base al target: fondamentale mi sembra, ad esempio, mostrare, a chi non la ritiene ancora una realtà possibile, come si lavora nel mondo contemporaneo.

Quanto alle singole parole, il titolo stesso del libro avrebbe potuto contenerne una di rilevanza cruciale, che salverei allo scopo di negarla: “Contro l’inerzia”. Cosa ci diranno, d’altronde, quelli dopo di noi, se ci limitiamo ad accontentarci senza fare niente per provare a cambiare le cose?».

Cosa ci diranno, d’altronde, quelli dopo di noi, se ci limitiamo ad accontentarci senza fare niente per provare a cambiare le cose?“.

Beniamino Pagliaro
Beniamino Pagliaro (Trieste, 1987). Giornalista, caporedattore a La Repubblica e fondatore di Good Morning Italia. Oggi è responsabile della redazione di Torino de La Repubblica. È stato responsabile dello sviluppo digitale de La Stampa, ha lavorato per l’Agenzia ANSA (2008-2015). Si occupa di economia digitale, ha pubblicato diversi libri. Illustrazione di Chiara Bosna.

A pagina 141 del tuo libro, riporti una frase di Lorenzo Pregliasco: «C’è una dose di diffidenza e paternalismo molto significativa finché non hai almeno cinquant’anni». Ho riscontrato questa diffidenza in ambito medico, per fare un esempio: pazienti che si rifiutano di affidarsi a un chirurgo perché giovane e donna, o la neurologa da cui vado a visita che senza neppure conoscerlo giudica con scetticismo l’operato del mio psichiatra perché «è giovanissimo». Ma quand’è che la paura del nuovo e del cambiamento, che assume in questi casi la forma (estrema) della sfiducia nel giovane, smette di essere una sana prudenza e si trasforma in un ostacolo pericoloso?

«Quasi subito. Non c’è salvezza per chi si lascia ancora traviare dall’età, dal genere, o simili. È una forma di discriminazione che non ha senso e che non ci possiamo permettere. Atteggiamenti del genere rischiano l’etichetta “colpevole” anche quando ci si impegna a non additarne uno».

Non c’è salvezza per chi si lascia ancora traviare dall’età, dal genere, o simili. È una forma di discriminazione che non ha senso e che non ci possiamo permettere

Beniamino Pagliaro

Pagina 127: «Passiamo oltre, e il peso dell’indifferenza va tutto sulle spalle della generazione successiva». Mi viene in mente un detto: la Terra non è un’eredità ricevuta dai nostri padri, ma un prestito da restituire ai nostri figli. Cosa ne pensi?

«È così. È cresciuta l’attenzione al dove e come viviamo, per cui il detto è quasi di moda. Ricordo bene, però, come i primi a battersi per le questioni ecologiche venissero presi in giro; così come i primi a battersi per la parità dei generi o per la parità razziale.

Il problema generazionale da questo punto di vista, è più inafferrabile e allo stesso tempo, paradossale, perché in una società in cui i giovani stanno male sono tutti a risentirne».

“in una società in cui i giovani stanno male sono tutti a risentirne

Beniamino Pagliaro

Torno un’ultima volta a Freud, partendo da una tua domanda: «ma se è tutto così chiaro, se è tutto così in fondo prevedibile, perché non sembra avere alcun impatto sulle decisioni che prendiamo?».

Mi ricorda un po’ la coazione a ripetere: l’insistere in un’azione che non sembra perseguire il principio di piacere. È simile all’atteggiamento che si ha nei confronti del cambiamento climatico, portato ai suoi estremi nel film Don’t Look Up. Ma c’è qualche forma di soddisfacimento immediato nel perpetrare queste non-soluzioni, che contribuisce a minimizzare persino una cometa?

«Purtroppo : l’incentivo a non fare c’è, ed è innegabile. Non è un vero vantaggio, chiaro. Ma se, ad esempio, si intervenisse con una legge a semplificare un mercato del lavoro che consente innumerevoli forme di precariato, qualcuno di certo finirebbe per stare meno bene di come sta.

È un po’ quello che sta succedendo in Francia: li ammiriamo quasi, i francesi, mentre si battono contro la riforma che li manderebbe in pensione a 64 anni piuttosto che a 62. Quello di Macron, tuttavia, è soltanto buon senso: qualcuno, d’altronde, quei trent’anni di bella vita a cui al giorno d’oggi puoi ambire dopo la pensione, dovrà pur pagarli. Non è molto freudiano, è più utilitaristico».

In conclusione, se a quel contro da cui siamo partiti, come tu stesso suggerisci, sostituissimo una e congiunzione, cosa ne ricaveremmo? La distanza è davvero tale da essere avversativa? O la solitudine di un bambino è la stessa di quella di un’ottantenne?

«È impensabile poter fare da soli. E d’altronde un partito politico che rappresenta soltanto una generazione non è un partito politico che vince.

Il tema è affrontabile solo impegnandosi a siglare quel patto generazionale di cui ogni tanto si parla, ma che in fondo non è stato mai fatto, o è stato piuttosto confuso con altro (tipo la riforma per andare prima in pensione).

Non è questione di destra o sinistra: nessuno fa niente perché il sistema ci ha abituati a non fare niente, privilegiando sempre altre urgenze. E sebbene sia difficile, a queste condizioni, essere ottimisti, la speranza è che, nel momento in cui ricopriranno sempre più numerosi ruoli di responsabilità, i giovani non si lascino prendere dalla sindrome dell’impostore e trovino il coraggio di non dimenticare la strada fatta per arrivare sin lì».

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