Quanti di noi almeno una volta nella vita hanno pronunciato queste parole: «sogno la favola» oppure ancora «vorrei vivere come nelle favole», ma siamo proprio sicuri che non sia già così?
Vivo in un piccolo paesino fra le colline piemontesi, ho sette anni e ancora non so che le fiabe che stanno popolando la mia cultura di bambina, sono invece un breviario di quella che sarà la mia esperienza umana. Non me ne accorgo, perché quello che vedo nei cartoni animati che le rappresentano, è una storiella naif in cui il bene vince sul male perché l’amore tutto può.
Vivo a Milano, ho trentasette anni e so che il viaggio che ho fatto da quella bambina di sette anni a questa donna di trentasette, è stato tutto fuorché «favoloso».
Se solo avessi letto qualche fiaba in più…
C’è un libro di Silvano Petrosino, filosofo e professore ordinario di antropologia filosofica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che si chiama Le fiabe non raccontano favole. Una difesa dell’esperienza, che parla del «viaggio della donna», il passaggio da bambina a donna, un viaggio umano in cui si incontrano ostacoli e difficoltà e lo fa analizzando tre fiabe classiche: Cappuccetto Rosso, Biancaneve e Cenerentola.
Ce ne parla durante un incontro al Bullone. Ci penso.
Cappuccetto Rosso mi avrebbe sicuramente dato qualche strumento in più per fronteggiare il distacco dalla placenta materna al diventare donna. Nel momento stesso in cui sto scrivendo questo articolo, svolgendo il mio lavoro, mi rendo conto che sono protagonista della mia vita, ho delle responsabilità, sono come Cappuccetto Rosso al centro della scena della mia vita, devo decidere cosa fare, dove andare, con chi viaggiare e devo fare esperienza di tutto in prima persona, attraversando tutto quello che ne comporta: gioie e dolori, paure e soddisfazioni, perdite e conquiste.
Sarò mangiata dal lupo o mangerò? Abbandonare le sicurezze e diventare donna, rischiare, percorrere una strada, forse smarrirsi, amare, trasgredire e sentirsi sola. Il mondo qui fuori è un «bosco» immenso e noi siamo animali in mezzo ad altri animali, l’istinto e la ragione.
L’essere umano è un animale complesso, ma basta poco per perdersi, il fascino della seduzione ci guida come Cappuccetto verso il lupo e ci fa perdere la direzione. Ancora penso, cerco risposte e rubo le parole a un grande pensatore: continuerò a farmi scegliere o finalmente sceglierò?
«L’esperienza umana è complicatissima ed estremamente personale, ma la grande letteratura dà voce ad alcuni snodi di questa esperienza», spiega Petrosino, «l’uomo non è un semplice vivente e l’esperienza umana non è riducibile all’esperimento. La cosiddetta nascita naturale (il venire alla vita) non garantisce affatto quell’accesso alla maturità (il venire all’umanità) che contraddistingue, o dovrebbe contraddistinguere l’essere adulto».
Se avessi letto Biancaneve forse avrei trovato un modo per indagare cosa sia il femminismo: «non sempre l’uomo è nemico della donna, non sempre la donna è amica della donna», scrive Petrosino. L’esperienza umana anche in questo caso è molto più complessa, stratificata, in Biancaneve è proprio una donna a ostacolare la maturazione di un’altra donna.
Se avessi letto Cenerentola e conosciuto la vera storia della scarpetta d’oro che per essere indossata richiede un sacrificio marchiato dal sangue, avrei fatto scelte diverse? «Tagliati le dita del piede, quando sarai regina non dovrai camminare», dice la madre alla figlia. Raggiungi l’obiettivo, ad ogni costo. Ad ogni costo, quante volte ce lo diciamo o ce lo dicono.
«Raggiungere gli obiettivi ad ogni costo e questo costo in genere è la propria vita», afferma ancora Petrosino, «ma quest’amputazione fisica o metaforica non lascia indenni. Rimangono segni concreti che ci rendono ottusi, cattivi. Ognuno di noi si inganna sulla propria esperienza». Se guardo alla mia esperienza non posso dargli torto. Quante parti di me ho tagliato via per andare avanti?
Esperienza, verità, finzione.
E allora cosa ci insegnano queste fiabe, qual è la morale?
Mi risponde ancora Petrosino: «accogliere la vita, ma accogliere la vita vuol dire anche accettare il fallimento».
Un’ultima domanda rivolta al professore ci interroga su questo grande fraintendimento del perché pensiamo che le fiabe siano storielle per bambini. Perché non si dice la verità ai bambini? Cos’è giusto raccontare a questi piccoli umani che un giorno saranno adulti in una società sempre più complessa e nella quale nessuno si prende più la responsabilità di insegnare.
«La vita umana è drammatica, siamo onesti, a noi il male piace e ai bambini le fiabe vanno raccontate così come sono, perché nelle fiabe è tutto scritto. Non vanno spiegate, perché lo spiegato è il comprendere dell’adulto e il tentativo dell’uomo di separare il bene dal male. Ma la separazione non deve avvenire mediante una cancellazione, semmai attraverso la responsabilità personale o la libera scelta».