Un giornale in carcere: “Abbiamo raggiunto l’impossibile”

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Claudio Lamponi è un detenuto del carcere di Opera, diventato giornalista-editore. Il periodico si chiama Mabul ed è scritto interamente dai reclusi del penitenziario milanese. Il progetto è nato all’interno di una cella ed è stato realizzato grazie a detenuti e volontari.

di Claudio Lamponi, B.Liver

Claudio Lamponi è un detenuto del carcere di Opera, diventato giornalista-editore. Il periodico si chiama Mabul ed è scritto interamente dai reclusi del penitenziario milanese. Il progetto è nato all’interno di una cella ed è stato realizzato grazie a detenuti e volontari.

Il mio incontro con i B.Liver: “alieni impazziti”

Non posso iniziare questo articolo senza raccontare la mia prima riunione di redazione con i B.Liver.

10 gennaio, finalmente, in Viale Cassala dopo alcuni tentativi riesco a incontrare un gruppo di persone che considero «alieni impazziti».

Alieni, perché dopo aver letto molti dei loro articoli mi sono reso conto che tanti di loro hanno delle storie alle spalle e hanno affrontato lotte interiori che non si possono capire se non ci sei passato.

Un po’ entrare in un altro mondo, dove il dolore è il fattore comune, mentre la voglia di vivere ogni istante e la volontà di creare relazioni unisce gli abitanti, che con il loro linguaggio riescono a farti sentire uno di loro. Impazziti, invece, perché solo un matto riesce a guardare l’impossibile e ad avere il coraggio di raggiungerlo.

Ecco chi sono i B.Liver: un gruppo di persone amiche pronte ad affrontare qualsiasi sfida, coinvolgendo chiunque gli passa accanto. Ed io ero lì con loro.

La mia prima riunione di redazione

Si inizia la riunione con una piccola introduzione, gli argomenti del giorno sono tre: l’emancipazione femminile ai nostri giorni, disaster day, progetti e sogni. Avevo le dita incrociate, speravo che Sofia, Giancarlo ed Elisa non mi chiamassero a parlare riguardo i primi due argomenti.

Parlare di donne, per me che sono stato escluso dalla società negli ultimi 15 anni e un minimo contatto con l’altro sesso, anche solo verbale, è solo un vago ricordo. Non mi sentivo di esprimere un’opinione, anche perché la società è cambiata molto e a dire il vero ancora non mi ci sono del tutto ambientato.

Il disaster day, quello sì che era ben chiaro, ho dei ricordi di alcuni appuntamenti partiti male, solo uno li eclissava tutti. Ho preferito non parlarne, ci sono momenti della nostra vita gestiti così male che è meglio non condividerli in pubblico.

I miei sogni e i miei progetti

Finalmente arriva il momento di parlare di «progetti e sogni», non che avessi una quantità di cose interessanti da dire, sicuramente avevo qualcosa in più rispetto agli altri due argomenti.

Sono sempre stato un sognatore, anche tra i banchi di scuola durante le lezioni, io sognavo. Non sempre i sogni erano nobili o vantavano le migliori intenzioni, ricordo ancora quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande, rispondevo: il ginecologo. Un sogno impossibile da realizzare perché, come già detto, la voglia di studiare era minima. Sognavo di diventare grande in fretta mentre oggi voglio solo fermare il tempo.

Poi la parola sogno è stata sostituita da progetto, il tempo è passato lasciandomi nulla tra le mani, non c’era più il tempo di sognare, ora bisognava realizzarsi. Non è affatto semplice: sognare è un antidolorifico, bilancia le tue emozioni, fa dimenticare i momenti peggiori.

Mabul è un giornale che aiuta noi detenuti a riallacciare i fili

Oggi mi prendo cura di Mabul, qualcosa di mio che sto costruendo per affrontare il mondo reale, qualcosa che aiuti me e i miei compagni a collegarci con la comunità che ci circonda. Mabul è un giornale che, grazie alla continua ricerca di articoli, aiuta noi detenuti del carcere di Opera a riallacciare i fili.

Un progetto che prevede, già dalla sua prima bozza, mille difficoltà, un’idea che oltrepassa la soglia del sogno. Quindi, ho sempre bisogno di ricordarmi quanto nella realtà sognare sia importante.

Sogno, ma senza sollevarmi dal suolo.

La copertina del primo numero di Mabul.
La copertina del primo numero di Mabul.

Come il sogno di realizzare un giornale in carcere diventa realtà

Inizia tutto inviando email di aiuto da una cella, raccontavo questa mia idea grezza ad amici ed ero sempre sommerso da domande che non avevano una risposta chiara.

Come si fa a pensare di creare un giornale rinchiuso in una stanza, con solo a disposizione un servizio email? Sognando! Scomponendo il sogno in tanti piccoli obiettivi realizzabili.

Ormai ci siamo, manca poco, il sogno e diventato realtà. Una realtà che si scontra con le difficoltà vere, che possono essere spesso più difficili da oltrepassare: autorizzazioni, burocrazia, valutazione del progetto da Enti istituzionali riguardo le possibili conseguenze. Una decisione che spetta ai piani alti dell’istituto e al sistema penitenziario. Ormai c’è poco da sognare, bisogna solo attendere e incrociare le dita.

Dimenticavo. L’idea di questo progetto nasce all’interno di una cella ed è soltanto grazie al supporto di volontari amici che mi hanno teso la mano e spesso anche il braccio, che il sogno ha iniziato a prendere forma. Oggi siamo supportati da associazioni che operano in più carceri italiane, aziende, istituzioni e giornalisti professionisti, tutti uniti a seguire un gruppo di persone ristrette che hanno voglia di farsi sentire. Qual è il mio sogno oggi? Coinvolgere te che stai leggendo. Scrivici su mabul.cloud.

“Come si fa a pensare di creare un giornale rinchiuso in una stanza, con solo a disposizione un servizio email? Sognando! Scomponendo il sogno in tanti piccoli obiettivi realizzabili.”

– Claudio Lamponi

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